30 gen 2009

FIRMA L'APPELLO

Italia: petizione a Silvio Berlusconi

data di pubblicazione dell'appello: 1.7.2008

status dell'appello: attivo

Presidente del Consiglio dei Ministri
Silvio Berlusconi
Palazzo Chigi
Piazza Colonna 370
00187 Roma
Fax (+39) 06 6794569

Egregio Presidente Berlusconi,

dando seguito alle raccomandazioni presentate in occasione della Giornata internazionale per le vittime della tortura, desidero chiederLe di ribadire pubblicamente la natura assoluta del divieto di tortura e mi permetto di ricordarLe gli obblighi del governo italiano:

1. introdurre nel codice penale il reato di tortura e ratificare il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura;

2. condannare pubblicamente le rendition, accertare il coinvolgimento dell'Italia in tali pratiche illegali, collaborare alle inchieste e ai procedimenti giudiziari in corso e alle indagini internazionali;

3. non fare affidamento sulle "assicurazioni diplomatiche" fornite da altri governi, secondo le quali le persone espulse dall'Italia non saranno torturate dopo l'arrivo;

4. rendere le norme del c.d. decreto Pisanu sulle espulsioni conformi agli standard internazionali sui diritti umani in materia di tortura e annullare le espulsioni già effettuate in assenza di tali garanzie;

5. assicurare che l'applicazione delle norme sull'effetto sospensivo nei casi di ricorso contro il diniego dello status di rifugiato, previste dalla legislazione sull'asilo entrata in vigore il 5 novembre 2008, costituisca una effettiva garanzia contro il refoulement e contro la tortura.

Distinti saluti.

FIRMA L'APPELLO QUI:

http://www.amnesty.it/flex/FixedPages/IT/appelliForm.php/L/IT/ca/187

29 gen 2009

ATTENTI ALL'INGANNO

È crudele che la politica inganni l’opinione pubblica alimentando nei cittadini l’equivoco alla base delle polemiche sugli arresti domiciliari chiesti dalla Procura di Roma per il violentatore di una ragazza a Capodanno, come se costui l’avesse fatta franca per il solo fatto di essere oggi agli arresti a casa invece che in carcere.

Nell’ordinamento vigente, infatti, la custodia cautelare non è affatto l’anticipazione del futuro «castigo» che il «colpevole » meriterà per il delitto commesso, non è un antipasto della punizione, non è il modo di risarcire la parte lesa per il male patito e la collettività per l’infrazione alle regole. La punizione per il dolore arrecato alla vittima, la pena equa per il delitto commesso, la sanzione che potrà disattendere le giustificazioni «buoniste» abbozzate dall’indagato (ero drogato, non ero in me, sono pentito), vanno chieste alla sentenza del processo, non adesso, alla carcerazione del giovane. La custodia cautelare in carcere, invece, è solo uno strumento utilizzabile dai magistrati, per un limitato periodo di tempo e se ve ne sia motivo ricavato da specifici elementi, per tutelare la genuinità delle indagini dal pericolo di inquinamento delle prove, per neutralizzare il pericolo che l’indagato fugga, per contenere il rischio che ricommetta il reato.

Tre esigenze cautelari che, nel caso dell’indagato romano (reo confesso, incensurato, facilmente controllabile nell’abitazione dei genitori) il pm ha valutato soddisfatte già dagli arresti in casa in attesa del processo. Soluzione che, ad esempio, potrebbe invece non essere percorribile per un italiano con precedenti penali specifici; o per lo straniero sospettato di uno stupro, che potrebbe restare in carcere a motivo non di un discrimine etnico, ma dell’assenza di un domicilio certo che lascerebbe permanere il pericolo di irreperibilità e quindi di reiterazione del reato. Tutto ciò la politica sa benissimo, ma si guarda bene dallo spiegarlo ai cittadini. Anzi continua a smarrirli e disorientarli, per esempio alimentando l’illusione per cui, se «è la legge sbagliata», allora «la si cambierà» in modo che per reati gravi come lo stupro la carcerazione prima del processo «sia obbligatoria»: è una presa in giro, giacché chi la propone sa bene che la Consulta ha più volte rimarcato che contrasterebbe con i principi costituzionali qualunque norma che stabilisse per alcuni reati l’automatica applicazione della custodia cautelare in carcere, ribadendo invece che in base a quei principi deve essere sempre lasciato al giudice uno spazio di valutazione dell’indagato-concreto nel caso-concreto. Ma l’assurdità e al tempo stesso la contraddizione più clamorose arrivano da quella politica che, negli arresti domiciliari all’indagato per stupro, censura l’assenza di «pene esemplari senza pietà » (come da destra il ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna), o si duole che «così passi un messaggio di non gravità dello stupro» (come da sinistra la sua collega del Pd, il ministro-ombra Vittoria Franco).

Assurdo, perché il compito dei magistrati non è lanciare «messaggi» sui «fenomeni», e nemmeno produrre «esemplarità», ma giudicare singole persone in casi concreti. E contraddittorio, perché una magistratura che lanciasse «messaggi», o producesse «esempi», farebbe non il proprio lavoro ma supplenza della politica o della sociologia: cioè proprio quello che la politica critica, e a ragione, quando è la politica a subire quella «messaggistica» o quegli aneliti di «esemplarità» che talvolta affiorano nelle pieghe di provvedimenti giudiziari confusi, sovrabbondanti, sproporzionati. Più utile forse del rituale invio di ispettori ministeriali alla Procura di turno, forse sarebbe dare concretezza ai tante volte annunciati, e altrettante volte rimandati o tenuti a bagnomaria, interventi pratici per velocizzare la celebrazione dei processi. Anche nel caso dello stupro romano, infatti, è su questo terreno che si giudicherà davvero la capacità dello Stato di dare una reale risposta alla ragazza violentata: non sulla manciata in più o in meno di giorni in carcere preventivo per il suo violentatore adesso, ma sulla rapidità di approdare al dibattimento, di celebrarne con le ordinarie garanzie il giudizio, e di assicurare l’effettività della pena definitiva.

di Luigi Ferrarella

fonte www.fuoriluogo.it

25 gen 2009

LIBERTA', LIBERTA'


Fuga di massa
al Cpa di Lampedusa


"Libertà, libertà". Il grido arriva improvviso, fortissimo. Poi, in via Roma, la strada principale del paese, sbuca il corteo. "Ci sono i clandestini", urla un vecchio, il sorriso senza denti stampato sul volto legnoso. "Sono fuggiti tutti", gli fa eco una donna, tra il divertito e il preoccupato. La massa umana attraversa il corso. Sono quattrocento, forse seicento. Si muovono compatti. Si riversano per la piazza principale, sciamano per le strade circostanti. Urlano: "Basta Guantanamo, basta spaghetti". Si guardano intorno con l'aria di turisti un po' spaesati, ma appaiono determinati. Stanchi ma combattivi. Uno chiede. "Ma questa Lampedusa è un'isola? Quanto dista dall'Italia?". Un altro: "Quando ci trasferiscono sul continente?".
La fuga dal Centro di prima accoglienza (Cpa) è iniziata intorno alle dieci di mattina, in modo spontaneo. Esasperati dalle condizioni di degrado in cui li lasciano, dal cibo sempre uguale, dall'indeterminatezza della loro situazione, gli immigrati hanno scavalcato le recinzioni. Lo hanno deciso così, senza mettersi d'accordo tra loro, senza darsi un segnale. La rivolta degli arabi del centro, per lo più tunisini, non ha un leader, né un piano prestabilito. E' figlia della rabbia e della spossatezza. "Non ne possiamo più di vivere in quella situazione. Siamo ammassati. I bagni sono orribili. Nella nostra camerata c'è una puzza che non si respira", racconta Waheb, 29 anni compiuti, un padre in Francia che vorrebbe raggiungere e già 24 giorni di permanenza in quel Cpa in cui sarebbe dovuto rimanere al massimo 48 ore.

Capiscono la solidarietà di questa popolazione. Si fanno tradurre gli striscioni che campeggiano sulla facciAlcuni sono venuti in paese, altri si sono sparpagliati per le campagne. Il centro è rimasto vuoto; all'interno solo un centinaio di cittadini sub-sahariani che non si sono uniti alla protesta. All'arrivo del corteo la popolazione, riunita in piazza per decidere le prossime mosse contro il ministro dell'interno Roberto Maroni, rimane interdetta. Poi scoppia un applauso fragoroso. "Amici", gridano in coro alcuni cittadini. "La nostra lotta è la vostra lotta. Il nostro nemico è lo stesso: lo stato assassino". Così, i "clandestini" si uniscono all'assemblea. I discorsi vengono tradotti in arabo. Alcuni di loro sono chiamati sul palco. Il sindaco Bernardino De Rubeis, temendo che la situazione possa sfuggirgli di mano, li esorta a rientrare nel Cpa, perché "questo è l'unico modo che avete per essere mandati in Italia". Lo stesso fanno altri. "Vi siamo vicini, ma dovete tornare al centro. Altrimenti non sappiamo che cosa può succedere". I tunisini sembrano perplessi. Non ata del municipio: slogan contro Maroni, contro il prefetto generale per l'immigrazione Mario Morcone, contro la senatrice lampedusana Angela Maraventano, complice di Maroni, traditrice dell'isola. Gli immigrati non sanno bene che fare. Se ne stanno in piazza ad ascoltare, a godersi un po' di libertà, complice anche il sole che è tornato a splendere sull'isola. "Vogliamo andare via, vogliamo essere trasportati in Italia", gridano alcuni. Una rivendicazione che si è fatta sempre più pressante dopo che l'altroieri il Viminale ha riattivato per i cittadini sub-sahariani i ponti aerei per i centri di accoglienza sparsi sul territorio nazionale. Sono partiti in circa 500, ma nessuno dei tunisini, che il ministero degli interni vorrebbe invece rispedire indietro.

La rabbia di Lampedusa, scatenata dalla decisione di Maroni di istituire un Centro di identificazione e di espulsione (Cie) nell'ex base Loran della Marina mercantile, si somma a quella dei "clandestini", che non ne possono più di rimanere nell'attuale centro di accoglienza sovraffollato e vogliono essere trasportati via. In quello che sembra un tentativo di saggiare la resistenza dell'isola, il ministero degli interni ha infatti deciso che gli immigrati chiusi nel Cpa sarebbero rimasti anche un mese, invece degli normali due giorni. Così, la struttura è arrivata al collasso, giungendo a contenere fino a 1840 persone, invece delle 800 massime previste. Un'iniziativa che ha fatto esplodere la protesta duplice e complementare della popolazione autoctona e degli immigrati, che hanno trovato un'inattesa complicità in una richiesta comune: ponti aerei verso altri centri in Italia. L'avamposto degli sbarchi rifiuta di essere trasformato in un carcere a cielo aperto, come vorrebbe il ministero degli interni, e si scopre solidale con "questi ragazzi fuggiti per trovare un futuro migliore", come sottolinea un signore di mezz'età che scambia frasi in francese con un gruppetto di loro.
Loro, i "ragazzi fuggiti", non sanno bene che fare. Chiedono come si fa a farsi mandare soldi dai parenti. Dicono di non voler tornare al centro. Dopo un'oretta di impasse, con il sindaco sempre più in difficoltà che invita la popolazione a tornare a casa, la situazione si sblocca grazie all'intervento di un giovane imprenditore che si improvvisa capopopolo. Salvatore Cappello prende il megafono e esprime agli stranieri la solidarietà sua e della popolazione di Lampedusa, garantisce loro che "saranno portati in Italia in uno o due giorni con un aereo". E al grido di "basta pasta, oggi si mangia cous-cous", riesce a convincere gran parte dei fuggitivi a tornare al centro. Il corteo si riforma in pochi minuti e riparte in senso inverso. Sempre al grido di "libertà, libertà", gli immigrati attraversano di nuovo il paese. Cappello e altri lampedusani li accompagnano. I carabinieri lasciano passare, i celerini si scansano. La sfilata si dirige verso al contrada Imbriacola, dove è il Cpa, a circa un chilometro di distanza. Dopo una ventina di minuti, il gruppo raggiunge lo spiazzo antistante il centro. Alcuni entrano al volo, altri esitano. Non si fidano: non vogliono andare oltre se i carabinieri non lasciano entrare anche alcuni di quei lampedusani che si sono mostrati solidali. Questi ultimi cercano di varcare l'ingresso, i funzionari del Viminale non lo consentono. Tra le forze dell'ordine e i manifestanti italiani sale la tensione. "La prossima volta andateli a recuperare voi", grida Cappello, rivendicando il merito di aver riportato i fuggiaschi in modo pacifico. L'atmosfera si scalda. Un'ambulanza che vuole premere e farsi largo tra la folla viene presa d'assalto e distrutta. Parte qualche manganellata. Volano parole grosse tra i carabinieri e gli abitanti. Poi pian piano il clima si stempera e torna la calma. Ma è una calma apparente: sia i lampedusani che gli immigrati hanno decretato una tregua, in attesa di vedere se il Viminale appronta il ponte aereo o se invece sarà necessario ripetere azioni dimostrative.

Nel frattempo, la città rimane spenta. I negozi chiusi, un po' per lo sciopero generale a oltranza deciso contro Maroni, un po' perché "con tutti questi clandestini in giro non si sa mai". In questa situazione di caos, divagano voci incontrollate di immigrati ubriachi, di tentativi di suicidio, di furti. Si diffonde una certa psicosi, che però non intacca la solidarietà autoctoni-clandestini. Per le strade, si muovono ancora gruppetti di maghrebini. Un pulmino della guardia di finanza si aggira alla ricerca dei fuggitivi. Ogni volta che ne incrocia qualcuno, l'autista fa un fischio e lo invita a salire. Gli immigrati tornano nel Cpa. A sera, eccetto qualche decina, sono quasi tutti rientrati. Ma è un rientro temporaneo. Domani è un altro giorno e se il governo non recede dai suoi propositi, se non si decide a trasferire gli immigrati in altri centri sul continente, se non fa una qualche marcia indietro sul centro di identificazione, la miccia è destinata ad accendersi di nuovo.

22 gen 2009

VERITA' E GIUSTIZIA


Chiesta a Trieste la condanna dei quattro poliziotti imputati dell'omicidio colposo di Riccardo Rasman. Nel processo con rito abbreviato, il pm Montrone ha chiesto nove mesi di reclusione per due degli agenti e quattro mesi per gli altri due. Per la famiglia di Rasman, parte civile, ha chiesto una liquidazione provvisionale del danno morale per 50mila euro. La difesa, invece, ha chiesto il proscioglimento. L'udienza è stata quindi rinviata al 29 gennaio per le repliche e la camera di consiglio per la sentenza. Era il 26 ottobre del 2006 quando la polizia venne chiamata da alcuni vicini di Rasman perchè stava lanciando petardi dal balcone. Il giovane, 34 anni, s'era ormai calmato quando arrivò la volante che, al corrente del disagio psichico di Rasman, anziché chiamare il centro che lo aveva in cura, sfondò la porta terrorizzandolo. Soffriva di sindrome schizofrenica paranoide da quando aveva impattato la ferocia del nonnismo sotto le armi. Quel giorno stava festeggiando, con la radiolina a tutto volume e un paio di petardi, la chiamata a fare il netturbino. Ballava svestito sul terrazzo. I suoi vicini preoccupati chiamarono il 113. Ma Rasman si spaventerà alla vista delle divise. Due vigili del fuoco buttarono giù la porta con un piede di porco. Il ragazzone (1,85 per 120 chili) tenta di difendersi, getta a terra l'unica donna tra i poliziotti accorsi. Finirà pestato con un manico di piccone e quel piede di porco che gli aveva scardinato l'uscio. Imbavagliato, legato alle caviglie col fil di ferro, ammanettato. Non basta: gli agenti gli saliranno sul dorso. Lui rantola e morirà soffocato. Scrive Valerio Vangelisti: «Le pareti attorno paiono quelle di una macelleria». Il percorso verso l'archiviazione, quasi certa, si interrompe quando i legali della famiglia chiedono un supplemento di perizia. Haidi Giuliani, allora senatrice Prc, fece un'interrogazione. Uno dei legali è lo stesso che ha seguito il caso Aldrovandi. Le analogie sono impressonanti nella dinamica e negli effetti dell'arresto. Rasman è morto, stando all'accusa, per un'asfissia posturale determinata da una prolungata pressione sulla schiena. I vicini lo hanno sentito rantolare a lungo prima di morire. Solo allora i quattro agenti lo voltarono. Nell'ottobre 2007 il pm aveva chiesto l'archiviazione - i quattro sarebbero intervenuti nell'adempimento di un dovere - ma l'opposizione all'archiviazione ha portato a questo processo che, grazie al rito abbreviato, comporterà, nel caso di condanna, lo sconto di un terzo della pena.

TUTTO A SPESE DELLO STATO

Lo psiconano è in campagna elettorale in Sardegna. Con che auto blu? Con che risorse? Con che guardie del corpo? Con che stipendio? Con che elicotteri? Con quali concessioni televisive abusive? Con quale tempo, visto che è pagato per fare il presidente del Consiglio? Con quale faccia, visto che, per la sua carica, dovrebbe rappresentare tutti gli italiani? Con quale aerei dello Stato? Con quali funzionari dello Stato che percepiscono uno stipendio pubblico? Con quali pressioni sull’ENI per un’occupazione di stampo elettorale in Sardegna? Con quali assenze dal Parlamento dove non è mai presente? Chi gli paga cappuccino e brioches a Cagliari? Sono anche quelli a rimborso spese?
Un Presidente del Consiglio non può fare campagna elettorale con le risorse pubbliche. Un presidente del Consiglio non dovrebbe occuparsi a tempo pieno delle elezioni regionali, in Abruzzo prima e in Sardegna ora. Un Presidente del Consiglio dovrebbe impegnarsi a risollevare un Paese ormai allo stremo, non usare le risorse degli italiani per fare campagna elettorale permanente.
La Corte dei Conti non ha nulla da dire? E la Corte Costituzionale? E Morfeo Napolitano non monita? Brunetta, così attento e feroce con l’assenteismo dei dipendenti pubblici, lo sa che il suo capo non si presenta mai alla Camera e usa le pubbliche finanze per fare il piazzista? Ne proporrà il licenziamento? Quanti ministri si è portato in Abruzzo Berlusconi per dare sostegno alla testa di legno Chiodi? Quanti ne porterà in Sardegna? Tremorti che parla ai pastori. I ministri a cercare voti invece di lavorare per l’Italia… In modo così sfacciato non si era mai visto.
Un presidente del Consiglio in campagna elettorale è in grado di fare ogni promessa e imporre al Governo di mantenerla. Il suo avversario non può. Che senso hanno delle elezioni immorali? Una pagliacciata degna di un piazzista? Lo psiconano si batte usando TUTTE le risorse della Nazione (non le sue). Soru solo la sua reputazione. Fortza Paris!

da www.beppegrillo.it



PACCHETTO (in)SICUREZZA


APPELLO PER UNA MOBILITAZIONE CONTRO IL PACCHETTO SICUREZZA

Il 19 gennaio prossimo comincerà in Senato la discussione del "Pacchetto sicurezza",

che colpisce in primo luogo le persone migranti.

Se il pacchetto sicurezza sarà approvato chi è senza permesso di soggiorno:

non potrà più andare al Pronto Soccorso e ricevere cure mediche perché il

medico sarà obbligato a denunciarlo/a.

non potrà più riconoscere figli e figlie, sposarsi e iscriversi al servizio sanitario

nazionale (perché non potrà iscriversi all'anagrafe).

non potrà più ricevere e inviare soldi a casa perché il gestore del money transfer

sarà obbligato a denunciarlo/a.

Inoltre per chi entra in Italia senza il permesso di soggiorno è prevista la detenzione

nei CIE (ex CPT) fino 18 mesi, perché il pacchetto sicurezza introduce il reato di

ingresso illegale nello stato.

Anche chi ha già un permesso di soggiorno sarà colpito/a dalle norme del pacchetto

sicurezza:

verrà introdotto il permesso di soggiorno a punti: chi commetterà reati, sia penali

che amministrativi, perderà i punti fino a perdere il permesso di soggiorno.

per rinnovare o richiedere il permesso di soggiorno bisognerà pagare una tassa

di 200 euro.

per iscriversi all'anagrafe, oltre al permesso di soggiorno, sarà necessario avere

l'idoneità alloggiativa, cioè dimostrare di vivere in una casa che risponde alle

caratteristiche richieste dalla legge. Questa norma colpisce, oltre alle persone

migranti, anche senzatetto, occupanti di casa e chiunque non possa permettersi

un'abitazione idonea.

Questa necessità di sicurezza esplode mentre il governo decide di sostenere le banche

e le aziende in crisi, invece di pensare a politiche sociali a favore di tutti/e coloro che

vivono e lavorano nel nostro paese, migranti e non. L'unica immigrazione che piace

alla politica italiana è quella legata al lavoro domestico: su 150.000 ingressi consentiti

con l'ultimo decreto flussi, 104.000 circa sono riservati a colf e "badanti". Nella società

della sicurezza i figli e le figlie delle persone migranti andranno a scuola in classi

separate da quelle dei bambini e delle bambine italiane.

La loro risposta alla crisi è il governo della paura. La nostra risposta è un grido:

NOI NON ACCETTIAMO LA SOCIETÀ DEL RAZZISMO,

DELLO SFRUTTAMENTO E DEL CONTROLLO!

lunedì 19 gennaio >> sit-in sotto il Senato, dalle 10:00 a Piazza Navona

sabato 31 gennaio >> manifestazione a Roma, ore 14:30 a Piazza

Maggiore

Rete contro il pacchetto sicurezza

pacchettosicurezza@anche.no

http://nopacchettosicurezza.noblogs.org/



21 gen 2009

CHI DI CASA FERISCE, DI CASA PERISCE

A casa Berlusconi devono essere terrorizzati da Di Pietro. E’ bastato che toccasse il 15% in Abruzzo e collezionasse 1 milione di firme contro la legge Alfano, perché Il Giornale di famiglia scatenasse una campagna forsennata per gabellarlo come l’epicentro dell’inchiesta “Global Service” a Napoli. Peccato che, a parte un paio di sciagurate raccomandazioni tentate dal figlio Cristiano, l’ex pm sia del tutto estraneo all’indagine, che coinvolge invece gente del Pd e del Pdl. Dal 19 dicembre all’11 gennaio Il Giornale gli ha dedicato titoloni in 17 prime pagine su 21, mentre in Italia e nel mondo accadeva di tutto. Fior da fiore, fra i titoli più succulenti: “Tutti gli intrallazzi del clan Di Pietro”. “Gasparri: Di Pietro coniglio”. “Rivolta dei fan di Di Pietro”. “Di Pietro jr. si dimette, ora tocca a Tonino”. “Bondi: non vorrei mai mio figlio in politica”. “Di Pietro, il giallo dei rimborsi elettorali”. “Di Pietro nei guai vuol depistare e sforna referendum”. “La verità sulle case di Di Pietro”. Come se i presunti “intrallazzi” su rimborsi e immobili non fossero già stati archiviati dal Gip di Roma il 14 marzo 2008. Il Giornale anzi scrive il contrario: “La Procura decise di rinviare a giudizio anche la tesoriera di Idv, Silvana Mura”, più Di Pietro. Invece la Procura chiese di archiviarlo, mentre la Mura non fu nemmeno indagata.

In fatto di case, poi, gli editori di nome e di fatto dovrebbero suggerire al Giornale un pizzico di prudenza. Paolo Berlusconi confessò proprio a Di Pietro le stecche pagate alla Cariplo per rifilarle tre immobili Edilnord invenduti (alla fine fu ritenuto concusso). E sulle magioni di Silvio c’è materia per una Treccani. La villa di Arcore soffiata a prezzi stracciati a un’orfana minorenne, per giunta assistita da Previti. Il falso in bilancio amnistiato per i terreni di Macherio. Gli abusi edilizi a Villa Certosa, sanati dal condono varato dal padrone di casa. Eppoi questa campagna ne ricorda un’altra, sferrata nel 1995-’97 sempre dal Giornale, allora diretto da un maggiorenne, Vittorio Feltri. Di Pietro minacciava di entrare in politica con un partito tutto suo, dopo aver respinto le offerte di destra e sinistra. Il 23 dicembre ‘95 l’house organ sparò in prima pagina un’intervista al faccendiere craxiano latitante Maurizio Raggio: “Dal Messico gravi accuse a Di Pietro. Raggio: Pacini Battaglia diede una valigetta con 5 miliardi a Lucibello per Di Pietro”. E così per due anni: corrotto, concussore, venduto. Nel ’97, subissato di cause perse in partenza, Paolo Berlusconi risarcì l’ex pm con 400 milioni di lire. Feltri si scusò in prima pagina: “Caro Tonino, ti stimavo e non ho cambiato idea”. Nella 2 e nella 3, un lungo autodafè (“Dissolto il grande mistero: non c’è il tesoro di Di Pietro”) informava i lettori che “Di Pietro è immacolato”, la campagna del Giornale era una “bufala”, una “ciofeca”. E la nota “provvista” miliardaria? Mai esistita. Ma ormai l’immagine del simbolo di Mani Pulite era devastata. Infatti ora si replica.

fonte l'Espresso in edicola
http://voglioscendere.ilcannocchiale.it

20 gen 2009

OPERAZIONE ANTIBIVACCO

Alemanno manda i carabinieri in centro e i collettivi autorganizzati gli fanno le ronde. Ieri sera infatti nella Capitale sono diventate operative le ordinanze che impediscono di «emettere grida, schiamazzi e canti», «sostare per consumare cibi o bevande» oltre che «utilizzare questi luoghi come luoghi di deiezione», «bivaccare e sistemare giacigli», «gettare carte o qualsiasi tipo di rifiuti» per le strade del centro storico. L'ordinanza, che si applica anche sul litorale di Ostia, ha effetto immediato e è stata emanata senza il coinvolgimento dei residenti (quartieri di San Lorenzo e del Pigneto inclusi). «Queste ordinanze sono solo l'ennesimo tentativo di cambiare il volto del centro della nostra città per farne una vetrina in mano al consumismo e alla speculazione, senza risolvere nessun problema davvero» scrive il collettivo autorganizzato degli studenti e le studentesse di Roma-occupanti di via Induno nell'annunciare le ronde di protesta volte a «denunciare eventuali abusi di potere, e dall'altra per testimoniare se - come sembra fino ad ora - la attività di controllo sia solo finalizzata non al "rispetto delle regole" e tantomeno alla "vivibilità del centro" ma solo a cacciare qualche solito noto dalla vetrina del centro (con il paradosso di dare la caccia ad un ragazzo che beve una birra su uno scalino, o ad un venditore di rose, ed invece essere tolleranti con risse e spaccio all'interno di costosi locali)». Parallelamente ieri pomeriggio il collettivo ha iniziato un'attività di volantinaggio per promuovere una assemblea aperta del quartiere Trastevere per venerdì 23 gennaio, alla quale stiamo invitato tutte le realtà associative, tutti i residenti, i lavoratori, i frequentatori, gli animatori, gli studenti, i rappresentati delle istituzioni locali. La paura paventata dai ragazzi è che quelle ordinanze andranno a incentivare «un uso del quartiere sempre più consumista ed alienato. Non si fa nulla - continuano - per incentivare una socialità diversa e la produzione culturale, da sempre caratteristiche del quartiere (spazi culturali aperti, piazze attrezzate, servizi). E non ci stupisce, se questa è la idea del quartiere di Alemanno e del nuovo Prefetto, tutta in mano a costosi ed esclusivi locali ed ai turisti, il 12 dicembre gli studenti ed i ragazzi del quartiere che hanno occupato simbolicamente gli stabili abbandonati in via Induno per chiedere che quello spazio divenisse una risorsa per tutto il quartiere, abbiano trovato come risposta duecento agenti antisommossa, trenta identificati, minorenni portati in commissariato».

fonte www.osservatoriorepressione.org

GOOD MORNING AMERICA!


Oltre due milioni di persone sono attese domani, a Washington, per la cerimonia di insediamento di Barack Obama, 44esimo presidente degli Stai uniti e primo afroamericano ad insediarsi alla Casa Bianca. Un mandato difficile che cade in uno dei periodi più bui della storia americana. Una difficoltà di cui lo stesso Obama è ben consapevole: "La nostra nazione è in guerra, la nostra economia è in crisi, milioni di americani hanno perduto i loro posti di lavoro o le loro case". E’ lucido Barack ma anche fiducioso: "Nel corso della nostra storia, è stato chiesto solo ad una manciata di generazioni di affrontare sfide serie come quelle di oggi e non sarà facile. Ci vorrà più di un mese o di un anno, e probabilmente ce ne vorranno molti. Lungo la strada vi saranno battute d'arresto e false partenze, e giorni che metteranno alla prova la nostra determinazione come nazione ma sono ottimista che gli Stati Uniti riusciranno a resistere e che il sogno dei nostri padri fondatori andrà avanti”.
Insomma, “We are one” e quindi ce la faremo. E veramente l’America sembra una cosa sola in questi giorni di festeggiamenti (il cui budget, 150 milioni di euro, è stato peraltro fortemente criticato dai repubblicani). Lo hanno dimostrato le centinaia di migliaia di persone che, giunte da ogni parte degli States, si sono ritrovate ieri davanti al Memorial Lincoln per assistere ai festeggiamenti in onore di Barack. Ed è proprio a Lincoln, il presidente “che abolì la schiavitù e che salvò l’Unione” che va uno dei primi pensieri di Obama: “Senza di lui questo giorno non sarebbe stato possibile”. Ma nel parco del Memorial risuona anche un’altra voce, quella di Martin Luther King: “Qui – dice Obama – ancora si riflette il sogno del reverendo King e la gloria di un popolo che marciò e diede il sangue perché i suoi figli potessero essere giudicati non dal colore della pelle ma dal contenuto del loro carattere”.
“We are one” ribadisce Barack mentre si appella all’unità del Paese in nome del superamento di ogni differenza: tutti insieme “democratici e repubblicani, bianchi e neri, asiatici e latinos, gay e non, insieme possiamo farcela”.
“We are one”, Obama lo dice e lo ripete mentre a cantarlo sono le “stelle” che si esibiscono sul palco “in suo onore”. Da un magico Boss che apre il concerto con le note di “The rising” e lo chiude, insieme a Pete Seeger, con quelle di “This land is our land”, da Aretha Franklin agli U2, da Stevie Wonder a Beyoncé, da Tom Hanks a Denzel Washington.
Un bagno di folla per Obama che da dopodomani, però, sarà costretto ad affrontare tutte le difficoltà del suo mandato: la guerra in Iraq e Guantànamo, la sanità e la recessione, l’istruzione pubblica e l’integrazione razziale. Ce la farà e da dove dovrebbe cominciare? Per ora si “limita” ad affermare: «C'è una intera generazione che crescerà dando per scontato che il più importante ufficio al mondo è occupato da un afroamericano. Questa è una cosa radicale. Cambia il modo in cui i bambini neri guardano a se stessi. E cambia anche il modo in cui i bambini bianchi guardano ai bambini neri. Io non sottovaluterei la forza di questo». Non è poco come inizio.

da www.ilmanifesto.it

16 gen 2009

L'ITALIA NON E' UNO STIVALE. E' UN ANFIBIO DI CELERINO

G8 Genova: Viaggio nel blog riservato dei poliziotti tra orgoglio e sfoghi, rabbia e lunghe confessioni "Nessuna vergogna per i giorni del G8"


«Cari colleghi, riteniamo giusto rammentare, per senso di responsabilità, che DoppiaVela è uno spazio per i poliziotti messo a disposizione dalla polizia di Stato. Le critiche, le lamentele, le segnalazioni di disservizi, anche se esternate in modo aspro ma corretto, fanno parte delle normali dinamiche di dialogo tra l´amministrazione centrale e i singoli dipendenti. Trovano dunque una sede naturale all´interno del portale che non può, però, garantire spazi che la normativa vigente attribuisce ad altri soggetti…».

Ogni volta che entrava in quella benedetta chat intranet, Drago ne gustava la dimensione perversa. A cominciare da quel nome un po´ ingessato - DoppiaVela, la sigla della centrale operativa nelle comunicazioni radio - e dal post politicamente corretto che metteva sull´avviso i naviganti. Perché la verità era che lì dentro si poteva finalmente essere un po´ guardoni e un po´ scorpioni. Masturbarsi dietro un avatar, leggendo l´illeggibile o scrivendo l´inconfessabile. Divorarsi a vicenda - sì, proprio come scorpioni in bottiglia - soltanto per scoprirsi più soli nella propria rabbia.Finita sulle prime pagine dei giornali con sei rotondi anni di ritardo, la «macelleria messicana» del dottor Fournier era stato un potente lassativo. Il forum era impazzito. Genova, troppo lontana e spaventosa per sembrare ancora vera, era diventata solo l´occasione per un outing collettivo. La prova, ammesso ce ne fosse bisogno, che il tempo era stato una pessima medicina. Che odio chiama odio.

G. DA ROMA Ecco che spunta fuori un nostro bel funzionario, che da buon samaritano riaccende fiamme polemiche e propositi dinamitardi. Che, sicuramente, nelle prossime manifestazioni gli antiglobal metteranno in atto perché più autorizzati che mai. Ma quando la finiremo di fare sempre queste mere figure e inizieremo a tenere la bocca chiusa?Per Aspera ad astra.

N. DA ANZIO Fournier poteva e doveva risparmiarsi la frase a effetto, «macelleria messicana». Adesso, per i colleghi ci sarà la solita Santa Inquisizione mediatico-politica.Unus sed leo.

I. DA GENOVA Ma questo Fournier dov´era durante gli scontri? Ancora non l´ho capito. Era fra i manifestanti? Ha respirato lacrimogeni? O aveva una mascherina? Secondo me si è messo a cantare perché non gli hanno dato nessuna promozione.

P. DA BARI È ancora in polizia o ha chiesto di passare alla politica?Sono pronto a mostrare il petto e non voglio essere bendato. Ma tu hai il coraggio di guardarmi negli occhi? E che cazzo, mostra ai più di essere uomo. Barcollo ma non mollo.

D. DA LA SPEZIA Colleghi, basta di parlare di questo soggetto. È penoso e noi lo stiamo aiutando nella sua viscida campagna elettorale.A.

DA CAGLIARI Genova, presente con orgoglio e senza nulla da nascondere. Posso testimoniare di Bolzaneto! Non si tratta di essere grandi e non è veramente falsa modestia… è solo servizio! Ero al VI reparto mobile di Genova.

L. DA SALUZZO Io c´ero. VI reparto mobile. Tanto orgoglio, tanta rabbia!

C. DA ROMA Non capisco perché non vogliate parlare degli errori commessi. Qui si tratta di dire chiaramente:I colleghi che gridavano Sieg Heil ci fanno vergognare, o no?I colleghi che avrebbero minacciato di stupro le signorine antagoniste meritano la nostra esecrazione, o no?I colleghi che si accanivano con trenta manganellate sul primo che passava senza sapere se era solo un povero illuso pacifista o un violento vero, hanno sbagliato, o no?La collega che al telefono con il 118 di Genova, riferendosi alla Diaz, parla di «Uno a zero» dimostra di essere intelligente?Su queste cose non ci può essere ambiguità!!!L´esistenza è battaglia e sosta in terra straniera.

E bravo il nostro C., pensò Drago. Stai a vedere che ora gli vanno addosso i padovani. Se ne stanno zitti da troppo tempo. Ma è più forte di loro. Se c´è da far vedere chi ce l´ha più duro, loro non sanno resistere. Rinfrescò la chat. Solo per vincere una scommessa troppo facile.

E. DA PADOVA Caro C., rispondo alle tue domande:"I colleghi che gridavano Sieg Heil ci fanno vergognare, o no?"No. Non mi vergogno del fatto che in polizia ci siano dei coglioni. Non più del fatto che ci siano in Italia. Sono fiero di essere celerino e italiano, nonostante loro!"I colleghi che avrebbero minacciato di stupro le signorine antagoniste meritano la nostra esecrazione, o no?"No. Per questa domanda, oltre a valere la risposta sopra, concedimi anche il beneficio del dubbio. Chi prenderebbe seriamente un tentativo di violenza a una capra malata? Il popolo antagonista non brilla certo per l´attaccamento all´igiene! Non credo a quello che, sicuramente in malafede, sostengono questi personaggi!"I colleghi che si accanivano con trenta manganellate sul primo che passava senza sapere se era solo un povero illuso pacifista o un violento vero, hanno sbagliato, o no?"No. Pur essendo convinto assertore della totale inutilità di infierire su un manifestante inerme (questo è l´unico sbaglio, sprecare le forze su uno solo), sappi che è impossibile farsi rivelare dal manifestante durante la carica, se è un «povero illuso pacifista» o meno. È inoltre abbastanza difficile, dopo ore di sassaiole subite, magari con fratelli feriti anche gravemente, beccare uno dei personaggi che ti stanno avanti e picchiarli solo un pochettino. Quello che dico è che il povero illuso, visti gli stronzi che stavano con lui, poteva tornarsene a casa invece di manifestarci insieme! Se gli è andato bene fare da scudo per questi delinquenti, allora non si può lamentare di subirne le conseguenze! Che poi qualche collega si sia comportato come un qualsiasi essere umano sotto stress non mi sembra né incomprensibile né disdicevole. Sicuramente qualcuno avrà commesso sbagli. Sai quanti poliziotti c´erano a Genova? Di sicuro non mi vergogno per i loro errori!"La collega che al telefono con il 118 di Genova, riferendosi alla Diaz, parla di «Uno a zero» dimostra di essere intelligente?"No. Ma come si dice a Roma, ‘sti cazzi! Hanno messo a ferro e a fuoco una città, rischiando di farci fare una figura di merda a livello internazionale, provocando danni, feriti, spese enormi e si preoccupano della frase di una telefonista? Non mi vergogno per quello che ha detto. Mi vergogno perché oggi la madre di un teppista imbecille, dimostrando una mancanza di scrupoli e un cinismo degni di una Kapò, è riuscita a farsi eleggere senatrice della Repubblica; perché un partito italiano ha fatto intitolare un´aula all´imbecille!Non voglio i soldi di questi politici. Non voglio i soldi da questo governo (e da un altro come questo). A difendermi ci penso da me, con l´aiuto di Dio e dei fratelli celerini, che mi stanno accanto e non mi tradiscono nel momento del bisogno.Once in the Celere, always in the Celere.

C. DA ROMA Quindi, per te, avere al fianco un cretino non è un problema?Lo dico serenamente: due che tengono e uno che mena non mi sembra da eroi. E poi ti rispondo da romano: ‘sti cazzi un par di palle. Tu non lavori nel Cile di Pinochet e non ti pagano con lo stipendio in pesos messicani (forse è di cattivo gusto visto il titolo del thread di discussione, «macelleria messicana», e me ne scuso con quanti si sentono feriti). Il giuramento che hai prestato parla di far rispettare le leggi, non di fartene di tue. In quanto al rischio della «figura», mi pare che l´abbiamo fatta e basta. E le responsabilità, lo dico da mesi, non sono di chi stava in strada, ma di chi ha permesso che si arrivasse a questo. Siamo stati mandati lì, sapendo quello che ci avrebbero fatto e sapendo come avremmo reagito. Ti piace questo? Ti piace essere una pedina e poi pagarti l´avvocato? Io questo vorrei evitare. Vorrei capire come si può evitare che un collega mandato a fare il proprio dovere si ritrovi indagato in due processi e, dopo la Maddalena, forse anche nel terzo. Scusate la lunghezza.L´esistenza è battaglia e sosta in terra straniera.

P. DA BARI Scusate, il Sig. Dott. Funz. Uff. Fournier quando lo faranno santo?Sono pronto a mostrare il petto e non voglio essere bendato. Ma tu hai il coraggio di guardarmi negli occhi? E che cazzo, mostra ai più di essere uomo. Barcollo ma non mollo.

E. DA FIUMICINO Io penso che questi degni eredi di quei cattivi maestri che dicevano in piazza «Uccidere uno sbirro non è reato» ci considererebbero picchiatori fascisti anche se andassimo in servizio di Op vestiti di rosa e con un mazzo di fiori in mano.

B. DA PADOVA Quando alcune centinaia di ultras o di autonomi sono schierati a cinquanta metri da te con spranghe, catene, bombe carta e coltelli, io ritengo opportuno fargli così tanto schifo e paura che non devono pensare di poterci attaccare senza lasciarci le ossa!L´Italia non è uno stivale. È un anfibio di celerino.

fonte La Repubblica

Lucia Annunziata: la continuazione della guerra con altri mezzi




Lucia Annunziata litiga con Santoro ad Annozero, puntata sull'attacco Israeliano a Gaza. Litiga, si alza e, nonostante il disperato richiamo di Rula Jebreal, se ne va sdegnata.

Lucia Annunziata ha definito il programma "fazioso", orientato a mettere in luce il torto dell'operazione militare israeliana (in termini di "sproporzione") ai danni dei civili palestinesi. La faziosità di Santoro sarebbe quella di non edulcorare il racconto dell'orrore palestinese controbilanciandolo con le gravi colpe dei terroristi di Hamas. Un confronto con l'informazione internazionale, con Al jazeera, Arab News o solo con i reportage del "nostro" Arrigoni, e ci si rende conto che la puntata di Santoro è un tentativo di S-bilanciare quella forzosa equiparazione dei torti che i media italiani perseguono in questi giorni, centellinando omologamente il tempo dedicato ai 1070 morti palestinesi e allo schok e al terrore suscitato da un razzo Qassam su una casa israeliana.

Santoro mette in scena l'orrore della guerra, tentando di sottrarlo alle mediazioni, alle edulcorazioni dell'informaizone rigidamente persuasa del Superiore Diritto alla Difesa di uno Stato Sovrano nei confronti dell'attacco terroristico. L'orrore della guerra, Santoro evita di rappresentarlo esponendo l'inestricabilità delle cause storiche, la sovrapposizione di circostanze, la giustezza dei principii, che siano quello sionista o quello della grande nazione islamica.

A Santoro interessa altro: un lato umano, ma non nel senso umanitario di commossa identificazione con la vittima (perchè altrimenti non se ne esce: chi è più vittima? - discorso particolarmente ostico quando una delle due parti in causa ha una certa dimestichezza con il ruolo storico di vittima universale). Il lato umano che interessa a Santoro è: tentare di rappresentare la sostanziale identità di tutti gli uomini, per quanto pertiene alle possibilità di riconoscersi da una parte o dall'altra della distinzione Amico\Nemico. Mi spiego meglio: se l'informazione e la A-Politica nostrane possono avallare così pacatamente la tesi dominante della "legittima difesa" dello stato di Israele, annoverando la relatà, riportata con costernazione, delle vittime civili nel concetto di "effetto collaterale", "male necessario" et similia, è solo perchè l'orrore, il dolore, il non-senso della guerra sono vissuti dal soggetto occidentale in una dimensione di non-realtà. Per Santoro, questo è uno dei temi più importanti di "Waltzer con Bashir", in cui si racconta che persino per un soldato israeliano, che imbraccia il fucile fottuto dalla paura, la percezione dell'orrore di cui partecipa con la sua azione avviene in un campo separato dalla sua normale visione del mondo, dalla sua "identità". L'orrore della guerra, cioè, per quanto concreto e immediatamente presente davanti agli occhi e sulle proprie mani, non è un evento che viene inserito nelle categorie di senso dell'individuo, non "Insegna" niente sulla vita, non modifica la visione del mondo del soggetto razionale; piuttosto, slitta in una dimensione inconscia, rimossa, lavora silenziosamente nel profondo, si annida sulla faccia oscura della follia, nutre la "parte maledetta" che ciascuno si porta dentro, senza modificare la struttura della sua retorica. Ma, secondo Santoro, se questo è vero per un ex-militare israeliano che rimuove totalmente, al confine con la follia, quello che ha fatto e visto durante l'attacco al Libano del 1982, è più vero, e vero in modo più inquietante, per un onesto cittadino occidentale. E, durante la puntata, Lucia Annunziata ha trovato nell'onesto cittadino occidentale la categoria approntata da Santoro che meglio si attagliava alla sua personalità.

Ma andiamo con ordine. Santoro, dicevamo, vuole rappresentare l'umanità della guerra. In primo luogo, chiama un esperto di tattica militare, che sta lì a ricordarci che la guerra è una delle tante tecniche, uno dei tanti comportamenti finalizzati e progettuali che le comunità umane mettono in atto per raggiungere i propri scopi, un po' come la coltivazione intensiva o l'amministrazione dei musei. Dall'altra parte, Santoro fa parlare persone "normali" che, dalle case, dalle università, dai siti web, dalle periferie dell'occidente hanno preso parte, a modo loro, alla guerra. Tra loro, i ragazzi che hanno manifestato a Milano contro l'attacco israeliano: ragazzi palestinesi, molti dei quali laici e "secolarizzati", immigrati, alcuni di seconda generazione, ma stretti da un forte legame di identificazione con le sorti del popolo di Gaza. In studio, c'è anche una ragazza israeliana, immigrata, ex militare dell'esercito di Sion. La ex-militare israeliana e una ragazza che aveva manifestato a Milano, figlia di immigrati palestinesi, litigano, in diretta, rivolgendosi contro il solito armamentario di accuse.

Ma qui, l'onesta cittadina Lucia Annunziata ha il primo scatto d'ira, quello che rimarrà fino alla sua uscita di scena l'unica presa di posizione realmente circostanziata e razionale su qualcosa che non le è andato giù della trasmissione. "Non si possono affidare a due ragazzine questioni così importanti" - ha osservato la conduttrice di "In mezz'ora" ed ex presidente di garanzia della commissione di vigilanza Rai.

Il discorso dell'Annunziata è questo: l'informazione deve "mettere in forma" il fatto bruto dell'umanità; la rappresentazione della realtà che i media ci assicurano non può mostrare il non senso, l'assenza di composizione, l'incapacità di dialogo, la forclusione totale delle possibilità di mediazione razionale. Quelle possibilità di mediazione razionale, che sono il dogma su cui si fonda il nostro credo nella democrazia liberale, non possono che essere rotte dal CRIMINE, dal MALE, dal DISORDINE, cioè da ciò che mette in discussione il GIUSTO su cui si fonda l'ordinato consesso degli uomini civili. Il crimine, il male, il disordine, quando si presentano, sono chiaramente localizzabili, identificabili, e stanno pronti lì per essere combattuti. In questo MALE, che la società può combattere grazie agli strumenti del potere politico, grazie alla spada che fa rispettare la legge, grazie alla competenza tecnica della psichiatria forense, grazie al rigore scientifico della scienza della malattia, rientrano: la criminalità, la follia omicida, il turpe assassinio, il vandalismo, il bullismo, la faziosità dell'informazione (o anche: "uso criminoso del mezzo pubblico") e il terrorismo. Il resto, tutti i conflitti, le tensioni, le lotte, sono cose che la legge offre gli strumenti per mettere in forma: il conflitto politico è regolato dalla legge elettorale, dal parlamento, dalla rappresentanza, ecc; la naturale competizione tra gli uomini è regolata dal mercato, dalla produzione, dallo scambio, dalle istituzioni che realizzano concretamente la meritocrazia come la scuola, i bandi pubblici, le gare d'appalto, ecc. Il resto, è vandalismo, errore di valutazione, furore ideologico e fanatismo. Questo mondo così veramente ben fatto, che esiste nella testa di Lucia Annunziata come nella testa di tutti noi quando vogliamo starcene tranquilli a pensare ai fatti nostri, viene duramnte sconvolto, radicalmente messo in discussione, quando appare qualcosa di oscuramente iquetante. Quando, cioè, due ragazzine in abiti occidentali, studentesse universitarie, pacatamente sedute di fronte alle telecamere, iniziano rivolgersi contro accuse reciproche che non riguardano le loro particolari esistenze e puzzano piuttosto pesantemente di morte.

Le liti in Tv ci sono sempre. Da direttore della commissione di vigilanza rai, la Annunziata non si è mai scandalizzata per le liti a Domenica In tra i personaggi dei Reality; nè sembrava che il "portato costruttivo" del litigio tra le due ragazzine fosse tanto inferiore rispetto ad una normale lite tra ospiti di Ballarò, di quelle quando uno dice: "l'inflazione è calata dello 0,2 %" e l'altro ribatte: "no! è calata dello 0, 46!", e vanno avanti così per 10 minuti. No, no, il problema non è questo. Zequila e Pappalardo che litigano dalla Venier, quello non è un problema di decenza, perchè, se pure tirano in ballo la continenza sessuale delle mamme, si sa, quelle non sono QUESTIONI IMPORTANTI (e questo vuol dire: quella è la merda che diamo agli stolti, il circo, la ruota per i criceti, le cose in cui la gente seria non c'entra, se non per accoglierle sotto uno sguardo di bonario paternalismo). E nè tantomeno i politici che litigano a Ballarò sui dati, perchè si sa, i dati in fondo sono interpretabili, NON E' QUELLO CHE CONTA DAVVERO.

Il problema è che quando le due ragazzine litigano, senza parlare di nessuna scopata rubata e senza essere legittime rappresentanti di forze politiche portatrici delle istanze degli elettori, quello che sale del loro litigio è LA PUZZA DI MORTE. Più precisamente, la PUZZA DI MORTE DELLA POLITICA. Quando l'una accusa l'altra, in quanto "appartenente al suo gruppo", di aver occupato i territori della west bank e aver reso impossibile la vita ai palestinesi, oppure di tenere nel terrore qualsiasi ragazzo che salga su un autobus a Gerusalemme, quello che appare molto chiaro è che QUEL LITIGIO CONTIENE IN SE' LA POSSIBILITA' CHE QUELLE DUE RAGAZZINE SI UCCIDANO IN BUONA COSCIENZA. Entrambe, sempre meno pacatamente sedute di fronte alle telecamere, premettono ad ogni intervento che "VOGLIONO LA PACE". Ma il problema è che, in guerra, è il nemico a non volere la pace. O a volere una pace crudele per NOI, una menzogna di pace, nella quale continua sordidamente una guerra noscosta contro di noi.

Santoro questo lo sa. Santoro questo vuole far vedere. "In guerra si tratta di uccidere", sembra volerci dire. Non ha molto senso dire che Terroristi Fondamentalisti Fanatici lanciano missili, in una striscia di terra ridotta da trent'anni a sacca di raccolta di profughi, percorsa per anni dalla tensione dei coloni, ridotta a campo di concentramento all'aria aperta, quando la gente si incazza perchè gli muore il fratello o il figlio tra le mani. Certo, poi c'è tutto il resto. Ma Santoro vuole dire, e mettere Lucia Annunziata di fronte a questa verità, che la guerra è odio e morte, e non mediazione razionale o ordine pubblico.

Questo, Santoro lo può dire con la dovuta freddezza perchè, verso la fine, ha in serbo la sua soluzione: la Politica. Non quella, inesistente, dell'Europa, del Partito Democratico, che suscita il suo Travagliato sconforto; nè Ban Ki Mon e la diplomazia degli scambi. Quando Santoro parla di politica, parla di qualcosa che riesca a sussumere il conflitto entro un senso condiviso, fondato sul riconoscimento reciproco, che esclude da sè la barbarie dei bambini massacrati, senza perdere il senso che è capace di fornire solo la giusta causa di una lotta. La politica di cui parla Santoro, è quella che GIUSTAMENTE TOGLIE LA PAROLA A LUCIA ANNUNZIATA, QUANDO LEI FA IL SECONDO ATTACCO ALLA TRASMISSIONE, ACCUSANDO SANTORO DI FAZIOSITA', DI AVER PARLATO SOLO DELLE SOFFERENZE PALESTINESI, BLA BLA BLA. Lucia Annunziata, cioè, muove critiche NON CIRCOSTANZIATE, GENERICHE, che riproducono UN RITORNELLO GIA' SENTITO E RETORICO. Non ha niente di costruttivo, non ha niente di politico (nell'accezione di Santoro; nell'accezione di Lucia Annunziata, il suo è lo sdegno politico per eccellenza. Si veda, a proposito, quello che è scritto sopra sul dogma della democrazia liberale rappresentativa ecc ecc).

Quando Lucia Annunziata rivendica la pacatezza necessaria, la possibilità di mediaizone razionale, il dovere degli intellettuali, dell'informazione e della politica, è viscerale lo sconforto. La fiducia nella pacatezza, nell'illusione della terzietà, nel distacco, viene meno quando appare chiaro che l'unica possibile guerra al terrorismo non può essere che terrorista essa stessa; che, come dice Santoro, la politica come la concepiamo da queste parti, come la concepisce la sinistra europea, è inutile e impotente; che, come dicono le pagine bianche di Vauro, se si tenta di evitare le menzogne e le edulcorazioni, e in assenza di Vera Politica, ci si contra con l'unica evidenza che è impossiblie il dialogo: sempre la rabbia avrà il sopravvento, sempre la violenza simbolica del gesto sarà vista solo da chi si sente colpito. Certo, c'è un possibile lavoro della ragione, ma non può appoggiarsi a nessuna pacata superiorità già data, che risieda nel nostro modo occidentale, democratico e di sinistra di fare politica.

Ma Lucia Annunziata non ha neanche le parole per parlare di questo. Approfitta di una scena a caso per sfruttare l'argomento della faziosità e andarsene. Con la sua presenza, non vuole legittimare l'operazione di Santoro, il suo tentativo di invocare la politca. E infatti Santoro dice: "forse voleva semplicemente andarsene".

Qui si dovrebbe ritornare al discorso iniziale: cosa consente all'onesto cittadino occidentale di starsene tranquillo nella sua democrazia liberale, senza lotte, senza politica, senza senso e con la Venier alla tv? Santoro lo suggerisce, forse, quando mostra un servizio sulle "reazioni dei milanesi" alla manifestazione dei palestinesi in Piazza Duomo. La gente dice le solite storie: "devono tornarsene a casa loro, ecc, ecc". Ecco cos'è che ci consente di stare tranquilli: il Male. Chiaramente oggettivo, identificato, stabile, fuori di noi. Che conflitto, che politica dovremmo fare? Risolto ogni conflitto interiore nella politica Annunziata della nostra democrazia compiuta, a che ci serve Santoro? Abbiamo anche i morti palestinesi sui cui commuoverci, in fondo. Abbiamo sempre qualche piccolo orrore che scava silenziosamente nella nostra "parte maledetta", e abbiamo tantissimi modi per sfogarlo quando sta per esplodere. Ma Santoro, questo fazioso, di che Politica va parlando?

15 gen 2009

E' REATO DIFENDERSI


Lavorare di lima, suggerirebbe il buon senso quando si interviene sul cristallo degli assetti normativo. E invece, a forza di mulinare allegramente l'accetta per disboscare la giungla di leggi stratificatesi nei decenni, e nella foga di troppo vantare la semplificazione normativa, il governo del ministro «semplificatore» Roberto Calderoli ha semplificato troppo. Così tanto da calare per sbaglio la mannaia, con il decreto legge che ha appena «tagliato» 29mila leggi del 1861-1947, anche su un testo del 1944 senza accorgersi che così priva il cittadino di una garanzia di sistema nell'ordinamento democratico contro gli eccessi arbitrari dei funzionari pubblici: e cioè la norma che esime il cittadino dalle ricadute penali di talune sue reazioni ad atti arbitrari o illegali dell'Autorità pubblica, insomma all'uso scorretto del potere discrezionale dei rappresentanti lo Stato. Senza più questa manciata di righe, e salvo modifiche entro il 20 febbraio nella conversione del decreto legge n. 200 approvato il 22 dicembre scorso, ciascun cittadino — quello che subisca un fermo per motivi infondati, quello che allo stadio si ritrovi vittima di azioni immotivate delle forze dell'ordine, quello che in piazza veda equivocato il proprio ruolo nel parapiglia di una manifestazione politica, quello che in udienza abbia un acceso confronto con un giudice prepotente — si ritrova più indifeso rispetto a potenziali soprusi di Stato. Nel codice penale, infatti, alcuni articoli puniscono la resistenza o minaccia a pubblico ufficiale (fino a 5 anni); la violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario (fino a 7 anni); l'oltraggio a pubblico ufficiale (fino a 2 anni), a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario (fino a 3 anni), a un magistrato in udienza (fino a 4 anni). Però, grazie all'articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale n. 288 del 14 settembre 1944, i cittadini sono esenti da sanzioni «quando il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio o pubblico impiegato» abbia causato la reazione dei cittadini «eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni». Norma tutt'altro che desueta, né considerabile (condizione per finire nel trita-leggi varato il 22 dicembre) «estranea ai principi dell'ordinamento giuridico attuale»: non solo è spesso applicata, ma ad esempio la Cassazione l'ha utilizzata nel 2005 per ritenere arbitrario il fermo per accertamenti e l'ammanettamento di una persona infondatamente sospettata d'essersi sottratta alla sorveglianza speciale, poi l'ha di nuovo applicata nel 2006, quindi l'ha trattata nel 2008, senza contare che anche la Consulta l'ha esaminata ancora nel 2007 nell'ordinanza numero 36. Il problema è che il decreto del 22 dicembre, salutato dal ministro Calderoli come una «pulizia legislativa di leggi superate o svuotate di significato dalla legislazione sopravvenuta», ha «ripulito» sbrigativamente anche il testo del 1944, e aperto quindi per sbaglio una falla che nell'ordinamento non trova copertura in qualche altro testo, come invece per fortuna può accadere per l'abrogazione del decreto luogotenenziale n.288 del 1944, che nel codice sostituiva la pena di morte con l'ergastolo, e introduceva le attenuanti generiche. Qui non c'è pericolo, neanche per esercizio di sfizio dialettico, che si considerino la pena di morte ripristinata o le attenuanti scomparse: in un caso la salvezza viene, oltre che dalla Costituzione, dall'abolizione della pena di morte all'art.1 del protocollo addizionale n.6 alla «Convenzione europea dei diritti dell'uomo» (Cedu) ratificato dalla legge n.8 del 2 gennaio 1989; nell'altro caso, soccorrono una legge del 1975 e l'ex Cirielli del 2005.

Da Corriere della Sera

14 gen 2009

UN NUOVO BERSAGLIO FACILE


Vittorio Arrigoni è il pacifista italiano dell'International solidarity movement (Ism) che racconta in diretta da Gaza per il manifesto il tragico giorno per giorno della «spedizione punitiva» (parole di Massimo D'Alema) che Israele sta infliggendo al milione e mezzo di palestinesi intrappolati nella striscia. Basta leggere i giornali, a cominciare dal Corriere della Sera - il numero uno - o guardare il Tg1 - la portaerei dell'informazione «pubblica» -, per capire che Vittorio Arrigoni, e quelli come lui (sfortunatamente troppo pochi), è un testimone scomodo di fronte ai silenzi e alla (clamorosa) disinformazione della stampa italiana e, in genere, internazionale. Per questo la notizia che un sito web americano ha messo in rete il nome e la foto di Arrigoni proclamandolo «il bersaglio N.1» dell'esercito israeliano provoca rabbia ma non meraviglia.
È possibile che il sito www.stoptheism.com non sia, come dicono, troppo attendibile, che il suo animatore - tale Lee Kaplan, sedicente «giornalista investigativo» - sia un ciarlatano. Ma con il clima di impunità goduto dalle nefandezze israeliane e di omertà garantito dalla politica e dalla stampa, bisogna stare molto attenti. Fu a Gaza nel marzo 2003, durante la seconda intifada, che una pacifista Usa dell'Ism, Rachel Carrie, fu (deliberatamente)schiacciata da un bulldozer militare israeliano mentre tentava di impedire la distruzione di una casa palestinese.
A quel che si sa Stop the Ism è un sito statunitense dell'estrema destra ebraica, furiosamente anti-palestinese e anti-comunista, che sembra sia legato a Radio Arutz7, l'emittente dei coloni ebrei, i più fanatici in genere provenienti dagli Usa, insediati nelle terre palestinesi della Cisgiordania e di Gerusalemme est. Per Kaplan e soci per fermare l'International solidarity movement qualsiai mezzo è buono purché sia «definitivo». Per loro l'Ism è «un consorzio di gruppi di anarchici e comunisti americani alleati dell'Olp», ovvero «un'idra dalle molte teste» il cui obiettivo è di «aiutare l'Olp a distruggere Israele» e di «finanziare anarchici e comunisti americani a espandere le basi per la rivoluzione mondiale». E gente come Vittorio Arrigoni e altri volontari che vengono dagli Stati uniti, dall'Irlanda, dalla Spagna, dall'Australia, dalla Polonia, sono dei «terroristi alleati di Hamas».
Sembrerebbe da ridere ma non c'è niente da ridere. Vittorio Arrigoni è un bersaglio «facile». È uno di quei matti che vanno a mani nude in posti infami come Gaza per difendere i civili palestinesi. Gli israeliani lo conoscono bene e lo hanno già intercettato, arrestato ed espulso due volte prima che Arrigoni il 23 agosto tornasse a Gaza dal mare a bordo della barca Free Gaza che aveva rotto il blocco israeliano (la vera causa della fine della tregua, non certo i razzetti di Hamas come vi stanno raccontando).
Per cercare di evitare che anche Arrigoni divenga un «tragico errore» o un «danno collaterale» abbiamo chiesto alle autorità politiche e diplomatiche italiane di attivarsi urgentemente con quelle israeliane. Nell'inferno di Gaza Vittorio Arrigoni non è solo.

da www.ilmanifesto.it

12 gen 2009

GAZA: LAVORI IN CORSO

Alcune famiglie di palestinesi ci hanno consegnato dei volantini, piovuti dal cielo nei giorni scorsi, lasciati cadere dall'aereonautica israeliana in alternativa alle bombe. Volantino n.1, tradotto dall'arabo: "A tutte le persone residenti in quest'area. A causa delle azioni terroristiche con cui i terroristi presenti nella vostra area stanno aggredendo Israele, le Forze di Difesa Israeliane sono state costrette a reagire immediatamente e ad agire in questo modo nelle vostre zone. Vi esortiamo, per la vostra sicurezza, ad evacuare immediatamente quest'area. Forze di Difesa Israeliane". In pratica l'esercito israeliano sta passando di casa in case appiccicando sugli usci un avviso di "lavori in corso", prima di radere al suolo interi quartieri, affossare per sempre speranze di vita presente e futura. Seppellire sotto tonnellate di macerie chi non ha un posto dove evacuare. Poco fa ci hanno comunicato il lancio di nuovi volantini, avvisano che «la terza fase della guerra al terrorismo sta per iniziare". Sono cortesi i vertici militari israeliani, chiedono collaborazione alla popolazione di Gaza, prima di schiacciarli come insetti. Se i volantini non sono abbastanza persuasivi, ci pensa l'aereonautica a bussare dolcemente sui tetti delle case di Gaza. E' una nuova prassi degli ultimi giorni, piovono bombe un pochino più leggere, abbastanza per scoperchiare i tetti delle abitazioni e invitare gli abitanti all'evacuazione. Dopo due o tre minuti l'aviazione ripassa e non rimane più niente dell'edificio. Evacuare, ma evacuare dove? Non ci sono posti al sicuro lungo su tutta la Striscia, io personalmente temo di più per la mia vita sopra un'ambulanza, o passando di fianco ad una moschea o una scuola, che dinnanzi ad uno dei palazzi governativa ancora in piedi. Ieri notte a 20 metri da casa mia, i caccia israeliani hanno tirato giù la stazione dei pompieri. Sulla strada parallela al porto ho scoperto stamane dei crateri profondi diversi metri come se fossero piovuti meteoriti in un film di fantascienza. La differenza è che qui gli effetti speciali fanno parecchio male. Girando per i corridoi dell'ospedale Al Shifa, affollati di feriti in attesa di cure, è possibile imbattersi in un dottore dai tratti somatici non propriamente arabi, è Mads Gilbert, medico norvegese dell'organizzazione non governativa Norwac. Gilbert, anestesista, conferma il sospetto di armi proibite utilizzate da Israele sui civili di Gaza: "molti feriti arrivano con amputazioni estreme, con entrambe le gambe spappolate, che io sospetto siano provate da armi Dime". Questo mentre Navi Pillay, Alto commissario dell'Onu per i diritti umani, denuncia "gravissime violazioni che possono costituire crimini di guerra". L'ultimo di questi crimini poche ore fa, a Est di Jabalia, una famiglia che si apprestava a evacuare, si stava rifornendo di scorte alimentari in uno dei piccoli negozi ancora aperti, bombardato. 8 vittime, tutte appartenenti alla stessa famiglia, quella di Abed Rabbu, 10 feriti gravi. Fra le persone che incontro per strada l'impressione è quella che Israele abbia deciso di prendersela con calma, le bombe cadono costantemente e le forze di terra avanzano lentamente. I soldati non hanno problemi nel procacciarsi razioni k, le razioni alimentari militari, a differenza della gente di Gaza che non trova più il pane. I panettieri, esaurite le scorte di farina, hanno iniziato a mescolarla con quella animale per sfornare le pagnotte. Oppure ci si ciba di quello che qui chiamano pane-penicillina. E' pane ammuffito, avanzi di produzioni vecchie di settimane, verde di muffa. Lo si mette su un piccolo fuoco ricavato da un paio di ceppi di legno, vi assicuro che non è proprio una prelibatezza. Israele continua a diffondere, specie via internet, immagini riprese dal cielo che dimostrerebbero come i suoi attacchi sono precisi e mirati a "terroristi" o ipotetici magazzini di scorte di armi ed esplosivo. L'altissimo conto di vittime civili, bastano da sole a smentire questi video. Mi chiedo come Israele possa definirsi civile e democratico, se per stanare e uccidere un suo nemico nascosto in un edificio popolato, il suo esercito non esitano un attimo ad abbatterlo seppellendoci sotto decine di innocenti. Rifletteteci un attimo, sarebbe come se l'esercito italiano per catturare un pericoloso boss mafioso, iniziasse a bombardare pesantemente il centro di Palermo. Sono 821 i morti palestinesi nel momento in cui scrivo, 93 le donne ammazzate, 235 i bambini. 12 i paramedici uccisi nell'adempimento del loro dovere, 3 i giornalisti morti con la macchina fotografica appesa al collo. Ben 3350 i feriti, più della metà sono minori di diciotto anni. Secondo il centro Mezan per i diritti umani, noto per la sua attendibilità, sono l'85% delle vittime totali i civili palestinesi massacrati in due settimane. Il computo delle vittime civile israeliane, fortunatamente, è fermo a quota 4. Se Le Nazioni Unite non riescono a proteggere la popolazione civile palestinese dalle massicce violazioni di Israele agli obblighi umanitari internazionali, ci proveranno i miei amici del Free Gaza Movement, pronti a sbarcare a Gaza fra un paio di giorni. Sono dottori, infermieri e attivisti per i diritti umani, che ritengono loro preciso dovere morale fare quello è possibile per fornire qualche misura di protezione. Ci avevano già provato ad arrivare martedì 31 dicembre sulla Dignity. La marina israeliana aveva speronato la nostra barca, in acque internazionali, tentando di affondarla, successivamente aveva parlato di "incidente". Attenderò i miei amici con il loro carico di aiuti umanitari fra le macerie di quel che resta del porto, e voglio sperare che non si ripetano altri "incidenti" in alto mare. Il secondo volantino piovuto dal cielo che abbiamo tradotto è una vera chicca (è possibile trovare le foto di entrambi i volantini sul sito http://guerrillaradio.iobloggo.com/): "Ai cittadini di Gaza. Prendetevi la responsabilità del vostro destino! A Gaza i terroristi e coloro che lanciano i razzi contro Israele rappresentano una minaccia per le vostre vite e per quelle delle vostre famiglie. Se desiderate aiutare la vostra famiglia e i vostri fratelli che si trovano a Gaza, tutto quello che dovete fare è chiamare il numero indicato di seguito e darci informazioni riguardo alle posizioni in cui si trovano i responsabili dei lanci dei razzi e le milizie terroriste che fanno di voi le prime vittime delle loro azioni. Evitare che vengano commesse atrocità è ora vostra responsabilità! Non esitate!.. E' garantita la più totale discrezione. Potete contattarci al seguente numero: 02-5839749.Oppure scriverci a questo indirizzo di posta elettronica per comunicarci qualunque informazione abbiate riguardo a qualsiasi attività terroristica: helpgaza2008@gmail.com ". Molti mi scrivete dall'Italia avvinti dalla frustrazione di non potere fare nulla dinnanzi a questo genocidio in corso. Vi invito a continuare a manifestare la vostra indignazione e a tifare per i diritti umani. Se poi avete 5 minuti di tempo e un gettone telefonico da spendere, i riferimenti contenuti nell'ultimo velatino potrebbero tornarvi utili per comunicare il vostro pensiero a chi per via area, marina, terrestre, decide cinicamente sul destino di un milione e mezzo di persone. Mai gettone fu speso meglio, quei 235 bambini massacrati ve lo chiedono. Restiamo umani. Vik
Vittorio Arrigoni blog: http://guerrillaradio.iobloggo.com/

11 gen 2009

GRANDE CONFUSIONE SOTTO IL CIELO


Il conto alla rovescia, per Rifondazione comunista, è cominciato. Giovedì scorso, con una lunga intervista a “Repubblica” l'ex segretario Franco Giordano, oggi tra i principali dirigenti dell'area vendoliana “Rifondazione per la sinistra”, ha di fatto annunciato l'imminente uscita di quell'area dal Prc. La decisione finale spetterà all'assemblea dell'area convocata per il 24 e 25 gennaio in quella stessa Chianciano dove, in luglio, un cartello composto dalle quattro mozioni di minoranza battè la mozione vendoliana, che aveva ottenuto la maggioranza relativa. Ma, sia pur prive di potere decisionale, quelle di Giordano non sono certo parole in libertà. Tanto più che ieri, dopo una girandola di incontri con lo stesso Giordano, con diversi esponenti dell'area vendoliana e alla fine col segretario Paolo Ferrero, Bertinotti ha benedetto la scissione facendo sapere che “con la destituzione di Sansonetti la Rifondazione che avevamo costruito insieme è diventata irriconoscibile”. La rimozione di Sansonetti, accusato di promuovere una linea politica diversa da quella "del partito", si consumerà lunedì. La Direzione del Prc è convocata con all'ordine del giorno la sfiducia al direttore di Liberazione e la nomina dei nuovi direttori. Uno sarà Dino Greco, ex segretario della Camera del Lavoro di Brescia, purtroppo privo di qualsivoglia esperienza giornalistica. Sul secondo, che dovrebbe invece essere un giornalista vero, regna il massimo segreto, e non è neppure certo che sia già stato individuato. A complicare ulteriormente la vicenda, campeggia sullo sfondo l'ipotesi di vendere la testata (pur mantenendo la dizione "quotidiano del Prc" dalla quale dipende l'erogazione dei pingui contributi statali) all'editore Luca Bonaccorsi, piuttosto "chiacchierato" sia per i numerosi contenziosi sindacali con i giornalisti che lavorano nelle sue testate sia per le posizioni assai vicine a quelle del "guru" Massmo Fagioli, a sua volta un ex "bertinottiano" deluso poi dalla scelta di un gay cattolico come Nichi Vendola alla guida di "Rifondazione per la Sinistra". Un bel ginepraio. I vendoliani negano che la loro scelta sia una diretta conseguenza del caso Sansonetti-Liberazione. In effetti, dopo il congresso di luglio, le posizioni delle due aree interne al Prc si sono vieppiù divaricate, sino a diventare incompatibili su tutti i fronti (dal giudizio sulla caduta del Muro di Berlino, all'alleanza con Di Pietro sponsorizzat da ferrero sino all'iniziativa, criticatissima dai vendolianio). Ma è fuori di dubbio che la vicenda di Liberazione ha quanto meno accelerato i temi del divorzio. Una parte non irrilevante dell'area vendoliana (circa un quarto) ha già annunciato e confermerà oggi la scelta di restare all'interno del Prc, sia pure su posizioni di fatto identiche a quelle degli scissionisti, con i quali manterranno comuque stretti rapporti. E c'è solo da sperare che avesse ragione il timoniere cinese Mao, quando diceva che "grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è dunque ottima".

da www.ilmanifesto.it

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8 gen 2009

TRIESTE è VICINA

A metà marzo si svolgerà la V Conferenza Nazionale prevista dalla legge per valutare l’efficacia della politica e della normativa sulle droghe. L’ultima pseudo-conferenza organizzata a Palermo nel 2005 si rivelò non solo un fallimento – per la quasi totale assenza del mondo delle professioni, delle scienze e delle associazioni- ma uno scacco della partecipazione, del confronto e della valutazione scientifica. Organizzata senza alcun percorso partecipato e con l’evidente intenzione di non discutere bensì di celebrare l’inasprimento penale che si sarebbe concretizzato di lì a poco con l’approvazione di una nuova normativa per decreto-legge (l.49/06), l’assise di Palermo fu poco più di una riunione tra pochi fedeli a porte chiuse.
Il vasto movimento di opposizione alla svolta punitiva decise per protesta di disertare Palermo e il Cartello “Non incarcerate il nostro crescere”, insieme alle Regioni, promosse all’Università La sapienza di Roma una Contro-conferenza, in cui fu presentata una articolata piattaforma di riforma della politica delle droghe, con al primo posto la cancellazione della legge Fini-Giovanardi.
Purtroppo il Governo Prodi deluse le aspettative di cancellazione di quella normativa né fu convocata la V Conferenza nazionale.
Di fronte a questo appuntamento, come operatori, scienziati, cittadini, consumatori e associazioni, siamo preoccupati di assistere a una penosa ripetizione di un’esperienza autocelebrativa. Soprattutto temiamo che si voglia utilizzare il palcoscenico della conferenza per piegare la scienza al servizio della politica: da un lato riducendo la complessità del fenomeno del consumo di droghe ai soli fattori biologici, dando visibilità unicamente alle neuroscienze; dall’altro enfatizzando taluni approcci e studi (utilizzabili a in chiave di dissuasione terroristica) e accuratamente ignorando altri. Ne è un esempio la nuova campagna di prevenzione sulla droga-bruciacervello, in linea col più vetusto ( e contestato anche sul piano dell’efficacia del messaggio) scare-approach.
Vogliamo che la Conferenza sia una occasione per la partecipazione, il confronto fra operatori e utenti dei servizi, la valutazione scientifica a tutto campo, la verifica seria delle politiche pubbliche.
Queste sono per noi le questioni che riteniamo fondamentali per rendere la Conferenza un appuntamento degno di questo nome:
1. Scrivere l’agenda – scientifica, sociale e delle politiche pubbliche – della Conferenza attivando una partecipazione reale, plurale, dotata di parola, fornendo a questa partecipazione luoghi e percorsi. E’ necessario operare subito poiché a tutt’oggi non risulta alcuna iniziativa per l’attivazione di un processo partecipativo reale, come avvenuto per altre conferenze in passato, in particolare quelle di Napoli e Genova.
2. Avvviare una seria valutazione delle politiche pubbliche, mettendo come primo punto all’ordine del giorno la valutazione della legge 49/2006 e in particolari i suoi effetti sulla carcerazione.
3. Promuovere un ampio dibattito sulla rete dei servizi, che da tempo denuncia una crisi e perfino un collasso: con un occhio particolare alla riduzione del danno, ridimensionata anche dalle politiche locali di sicurezza e tolleranza zero.
4. Prevedere un confronto su tutte le esperienze internazionali di nuovi servizi e interventi che risultino oggetto di studi di valutazione con esito favorevole, senza pregiudiziali ideologiche.
5. Rispettare la multidimensionalità del fenomeno, il pluralismo degli approcci scientifici, la vivacità del dibattito scientifico stesso, garantendo – attraverso una propedeutica sollecitazione e partecipazione attiva – presa di parola da parte dei tanti sguardi che indagano, studiano, sperimentano.
6. Dare ascolto ai consumatori di sostanze come cittadini a pieno titolo titolari di diritti e voce sulle proprie vite, nel rispetto delle scelte di vita e delle diverse culture, assicurando loro presenza, rappresentanza e parola con pari dignità.
7. Dare un adeguato spazio alle regioni e alle città, per valorizzare le particolarità locali e l’approccio pragmatico degli interventi sul territorio.

In ogni caso ci impegniamo ad organizzare, dentro e fuori la Conferenza, momenti pubblici aperti per una discussione libera, sia scientifica che politica, a partire dalla valutazione delle politiche internazionali che saranno oggetto di verifica al meeting Onu di Vienna del marzo 2009.

per firmare clicca qui: www.fuoriluogo.it/blog/appelli/trieste-e-vicina/

I CRIMINALI DELL'INFORMAZIONE

In questo editoriale, Mario Albanesi, su TeleAmbienteRoma, spiega come la criminale informaizone italiana legittima il genocidio dello stato israeliano.


Il video è stato ripreso da Blob di oggi, con il sottofondo del bombardamento americano di un villaggio vietnamita al suono della Cavalcata delle valchirie di Wagner, da "Apocalypse Now".

6 gen 2009

PSEUDO SCIENZA

per il vaticano la pipì delle donne causa l'infertilità maschile

Donne, attenzione! Se usate la pillola anticoncezionale siete la causa, nientemeno, dell'infertilità maschile in tutto l'Occidente. E' la «profezia scientifica» (titolo testuale) dell'articolo pubblicato sull'Osservatore romano di ieri dal presidente della Federazione internazionale dei medici cattolici. Ricordando i 40 anni dell'enciclica Humanae Vitae (pubblicata il 5 luglio del '68), il dottor Pedro José Maria Simon Castellvi presenta ai fedeli cattolici di tutto il mondo i risultati di «un testo molto tecnico, lungo cento pagine» che dimostra scientificamente in modo «irrefutabile» che la normale pillola anticoncezionale a basso dosaggio di ormoni estrogeni e prosteginici ha un «effetto abortivo» come sostenuto ex cathedra da santa romana chiesa. Ma non basta.
Proteggersi dalle gravidanze indesiderate ha anche «effetti devastanti sull'ambiente» e perfino sui poveri spermatozoi del maschio europeo in ansia da paternità. «Abbiamo dati a sufficienza per affermare - scrive il medico senza citarli - che uno dei motivi dell'infertilità maschile in Occidente è l'inquinamento ambientale provocato da prodotti della "pillola"». Si tratterebbe di tonnellate di ormoni che, chissà come, passano dall'urina delle donne ai loro ignari compagni occidentali senza intaccare di un solo neonato la demografia africana, cinese o asiatica. Se la fede non dovesse bastare a convincere le adolescenti più consapevoli, per sì e per no il quotidiano ufficiale della santa sede cita alla rinfusa anche vecchi dati che ventilano la cancerogenicità della "pillola". Uno strumento chiaramente diabolico che viola, scrive Castellvi, «almeno cinque diritti dell'uomo»: il diritto alla vita, il diritto alla salute, all'educazione, all'informazione (si prende a discapito dell'informazione sui mezzi naturali) e per finire all'uguaglianza fra i sessi (il peso dei contraccettivi ricade quasi sempre sulla donna).
Poco importa che la scienza a sostegno di questa tesi sia quasi pre-ottocentesca: «L'embrione - racconta il medico - ha una crescita coordinata, graduale, di tale forza che, se non c'è qualcosa che glielo impedisce, finisce con l'uscire dal grembo materno in nove mesi disposto a divorare litri di latte»...
Un piccolo «alien» di cui la donna è incubatrice passiva. Per Carlo Flamigni, professore di ginecologia e ostetricia a Bologna, si tratta di tesi «risibili e scientificamente ridicole»: «La pillola di oggi è completamente assolta da tutte queste accuse. Le probabilità che provochi un aborto sono inesistenti, visto che nemmeno la pillola del giorno dopo lo causa». Per Flamigni «il fatto che la scienza sia per sua natura fallace e provvisoria non autorizza nessuno a mettere in fila tutte queste sciocchezze». Castellvi? «Mi pare abbia iniziato ora a leggere libri di medicina - scherza - certo bisogna studiare molto e io gli faccio tanti auguri. Dal concepimento in poi l'embrione segue i destini più diversi, altro che divorare litri di latte. Che dire, speriamo solo che non finisca come lui».
da www.ilmanifesto.it