La manovrina delle illusioni
di TITO BOERI
In tutto il mondo la parola d'ordine di chi ha in mano le leve della politica economica è oggi definire una "exit strategy", una strategia di uscita dalla crisi. Si tratta di pensare a misure che valgano non solo per portarci fuori dalla recessione.
Ma anche e soprattutto per il dopo, quando finalmente saremo fuori dalla depressione più nera del Dopoguerra. Per il nostro governo, invece, la parola d'ordine è sempre stata e continua ed essere un'altra: "guadagnare tempo" e "negare sempre e comunque l'evidenza" della crisi. È esattamente con questo spirito che è stata varata la manovrina d'estate, un pacchetto di interventi altamente eterogenei, accomunati solo dalla loro natura transitoria e piccola entità. Insomma, le solite bandierine da esibire nei convegni. Anche le misure potenzialmente più utili - come la detassazione degli utili reinvestiti - sono rese del tutto inefficaci dai limiti temporali (giugno 2010) e dai tetti loro imposti. Per indurre le imprese a investire non si può aggiungere incertezza a incertezza, unendo ai rischi della crisi quelli di non vedersi riconosciuti gli aiuti promessi dallo Stato.
Erano molto attesi i provvedimenti sul mercato del lavoro alla luce della forte crescita della disoccupazione a inizio 2009. Il provvedimento più importante consiste nella proroga della proroga, la possibilità concessa ai lavoratori in Cassa Integrazione di allungare ulteriormente la durata dei trattamenti loro riservati e addirittura rimpinguarli fino al 100 per 100 cento del salario precedente. Questo avverrà frequentando corsi di formazione forniti dalla stessa impresa presso cui operavano. La misura non può certo migliorare le opportunità di impiego di quei lavoratori che sono occupati in quelle tante imprese che non hanno un futuro oltre la crisi. Al contrario, si tratta di un tampone che serve solo ad illudere il lavoratore. Come ampiamente documentato, chi è in Cassa Integrazione dedica molto meno tempo (per la precisione un terzo del tempo) di chi è disoccupato nella ricerca di un impiego alternativo. Rischierà poi di dover cercare un lavoro in fretta dopo aver perso da troppo tempo contatto col lavoro vero, quando tutto è più difficile.
Ma questa misura, assieme al premio ventilato per le imprese che non metteranno più lavoratori in esubero, è soprattutto uno schiaffo ai lavoratori che hanno sin qui già perso il lavoro. Ci riferiamo, ai quei 400 mila precari, quasi tutti giovani, che non si sono visti rinnovare il contratto dall'inizio della crisi, secondo i dati sin qui disponibili (che si fermano a tre mesi fa). Di questi, nella migliore delle ipotesi, solo uno su tre riceve un sussidio di disoccupazione ordinario per pochi mesi, a fronte di una durata della disoccupazione che nel cinquanta per cento dei casi è superiore ai 12 mesi. Ovviamente la proroga della Cassa Integrazione non li interessa. Al contrario, il provvedimento servirà a rendere ancora più difficile per loro trovare un impiego alternativo perché le imprese in difficoltà, incentivate a tenere in busta paga i lavoratori in esubero, reagiranno bloccando le assunzioni.
Per questo governo quel 25 per cento di disoccupazione fra chi ha meno di 35 anni in Italia semplicemente non esiste. Lo ha detto chiaramente in queste settimane il ministro Sacconi, che ha invitato i giovani a fare gli imbianchini anziché perdere tempo nella ricerca di lavori in cui possano meglio utilizzare il proprio capitale umano a beneficio di tutti. Lo ha poi ribadito, qualche giorno dopo, il ministro Tremonti, che ha sostenuto che per essere contabilizzati come disoccupati dall'Istat basta rispondere svogliatamente ad una telefonata fatta a 1000 persone. Niente di più falso. Si tratta di 280.000 interviste, non poche delle quali svolte di persona, a casa dell'intervistato, e la condizione di disoccupato viene accertata sulla base di una serie di domande che definiscono oggettivamente lo stato di disoccupazione, sulla base di criteri molto restrittivi: ad esempio, basta lavorare anche solo un'ora nell'ultima settimana per non essere più contato tra i disoccupati. Che vivono una condizione di disagio effettivo, non di svogliatezza o pigrizia: i disoccupati rilevati dalle statistiche sulle forze di lavoro sono, ad esempio, due volte più vittime di crisi depressive e stressati di chi un lavoro ce l'ha. Del resto chi oggi svilisce le statistiche dell'Istat qualche anno fa, quando la disoccupazione calava, parlava di "cifre inequivocabili che confermano la bontà e l'efficacia delle azioni intraprese dal governo".
E non può che avere il sapore del commissariamento dell'Istat la scelta, in questo clima, di creare una banca dati integrata sul mercato del lavoro, gestita dai ministeri del Tesoro e del Lavoro con gli istituti "vigilati o controllati dai ministeri".
In ogni caso da ieri l'informazione economica in Italia è ancora meno libera. Non solo per le ennesime gravissime minacce del presidente del Consiglio, di cui si dà conto in altre parti del giornale. Il fatto è che il governo ha fatto un regalo alla Fieg, Federazione Italiana Editori di Giornali, ripristinando l'obbligo per le società quotate di fare pubblicità a pagamento sui giornali non solo di eventi societari, ma anche di informazioni sensibili. Lo ha fatto contravvenendo a una delibera della Consob che aveva ritenuto sufficiente la semplice comunicazione, a titolo gratuito per le società, su Internet. E ha respinto le dimissioni di Lamberto Cardia, l'eterno presidente della Consob, che era stato messo in minoranza all'interno della commissione proprio per aver cercato di andare incontro alle richieste della Fieg. L'interrogativo che ogni democratico dovrebbe porsi è: che cosa potrebbe pretendere il governo in cambio di questa concessione fatta agli editori, soprattutto in un momento in cui mass media e carta stampata versano in grave crisi?
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