di Marco Mancassola
Lo spettacolo dei corpi
Come sarà ricordato negli annali il 2009 italiano? Potrà essere ricordato come «anno del corpo». Si tratta di una facile profezia se pensiamo ai maggiori scandali di quest'anno: dal processo-celebrazione del corpo del Capo, le cui prestazioni hanno solleticato per mesi la coscienza degli italiani; alle fotografie del povero corpo di un ragazzo martoriato in carcere; fino alle polemiche sul corpo più rappresentativo della nostra tradizione, quello appeso a una croce e onnipresente, nel bene o nel male, nei nostri uffici pubblici.
L'anno che si avvia a concludersi sarà anzitutto ricordato come quello in cui la politica italiana sembrò americanizzarsi, segnando l'ingresso dello scandalo sessuale nel ring dello scontro politico. Sarà ricordato come l'anno in cui molte donne tornarono a interrogarsi davanti all'ormai esplicita, grottesca piega maschilista presa dalla società politica, nonché dalla coincidente società dello spettacolo. Se gli storici del futuro saranno spiritosi, perché no, sarà ricordato come l'anno in cui la penisola italiana smise di somigliare a uno stivale per prendere la forma di un gigantesco pene, gibboso e biforcuto: quello del capo ma anche la sua controparte esotica, a quanto pare non meno ossessionante per molti italiani, rappresentata dal pene del trans.
Nel corso di questo anno ci sono stati dibattiti sull'opportunità di fondare analisi politiche in base a simili vicende. Sarà ricordato, dunque, anche come l'anno in cui tutti ci siamo chiesti, una volta per tutte, quale sia il confine tra pubblico e personale, tra corpo politico e corpo intimo. Più di qualcuno ha detto che scavare troppo nell'intimo del capo è controproducente, un tentativo destinato a ritorcersi contro tutti, proprio come dimostrato dalla vicenda Marrazzo. La vita erotica dei presidenti sarebbe un rischioso vaso di Pandora.
Un tempo i politici italiani parevano senza corpo. Ma poi vennero gli anni Ottanta e da allora, sempre più, la società italiana si è basata su uno straordinario incastro. Il fantasma sessuale come fondamento del dominante spettacolo, e lo spettacolo come fondamento del dominante potere politico: sicché, quando il cerchio si chiude, diventa forse inevitabile interrogarsi sulla sessualità del potere, sulle contraddizioni che essa rivela. Il cortocircuito tra immaginario, tecniche del potere e allusione sessuale non è un'esclusiva italiana, ma ha raggiunto in Italia il suo livello estremo. Era dunque destinato a venire in primo piano e lo ha fatto in questo fatidico anno.
Di mezzo non ci sono solo i corpi dei politici e non solo le questioni del sesso. Sempre più il corpo sarà campo di battaglia e senza sosta saremo chiamati a riflettere sulla nostra dimensione fisica, sul nostro essere più o meno liberi, sulla nostra capacità di vivere il corpo in modo il più possibile trasparente, ovvero in un modo che non ci renda ricattabili. L'«anno del corpo» ci renda più consapevoli.
Ma perché i discorsi sul corpo diventano tanto centrali? Per motivi che vanno oltre le solite ossessioni vaticane. Perché l'avanzare delle biotecnologie mette in subbuglio le biopolitiche; perché nel gioco contemporaneo ci sentiamo sempre più relegati al ruolo di cose intercambiabili; perché di fronte al tramonto di ogni orizzonte di senso condiviso, il corpo è tutto ciò che resta, unico sintomo della nostra incerta presenza. Molti possono essere i motivi, non ultimo il trovarci a vivere nostro malgrado nello spettacolo totale. Ovvero in quella dimensione in cui la realtà ha sempre meno l'aroma della realtà, dove ognuno si sente obbligato a dare spettacolo di se stesso dentro e fuori la rete, dove tutto, i nostri discorsi, i nostri incontri, i nostri gesti, sembra uscire dal copione di uno scadente show. In questo copione, la scena erotica è pur sempre la scena clou; il nostro corpo è il principale mezzo di performance.
Questa svolta percettiva, da tempo segnalata da vari studiosi, riguarda le generazioni giovani e non solo. Di fronte a essa il dolore dei corpi, con il suo realissimo dramma, irrompe come un imbarazzante problema, catalizzando attenzione spettacolare molto prima che umana pietà. A questo riguardo possiamo capire il dilemma di scelte come quella di Beppino Englaro, che decise di non diffondere le foto del corpo della figlia in stato vegetativo, di non immetterle cioè nel circolo mediatico dello spettacolo, pur sapendo che questo avrebbe forse aiutato la sua causa; o della famiglia di Stefano Cucchi, che ha invece diffuso le immagini del corpo massacrato del figlio, nonostante i pericoli dello spettacolo, proprio per ottenere l'appoggio dell'opinione pubblica.
A proposito di pietà. Giunti a questo punto, potremmo rivolgere la nostra al povero cadavere della gioventù italiana. Quella gioventù ormai compresa nell'arco di due significativi poli. Da una parte la gioventù massacrata per strada o nelle carceri, picchiata alle manifestazioni studentesche, fisicamente minacciata dal potere poliziesco; dall'altra la gioventù esposta nei reality show come un pesce in un acquario, spogliata di ogni prerogativa al di là del flebile raggio di sex-appeal che ancora emette, ridotta a fonte di brividi voyeuristici per la gerontocrazia italiana. Queste sembrano le alternative offerte, i due poli all'orizzonte. Chiunque non si adegua ai codici del regime dello spettacolo può aspettarsi di finire massacrato.
Infine, per concludere, la nostra pietà andrebbe magari rivolta anche al corpo che più di tutti è stato mille volte strumentalizzato. Mille volte tradito, ridotto a feticcio, negato nel suo significato profondo: che siamo cristiani o no, il corpo appeso alla croce descrive in modo singolare il dramma fisico in cui oggi siamo tutti immersi. La polemica su questo corpo è corollario perfetto dell'«anno del corpo». Risulta paradossale che i meccanismi finora descritti tocchino il loro livello estremo in un paese che per tradizione dichiara di identificarsi nel corpo crocifisso: non fosse tragica, una tale ipocrisia meriterebbe una sonora risata. Chissà se i cattofascisti che tanto si infervorano hanno mai davvero sollevato gli occhi verso quel corpo. Avranno mai sollevato gli occhi verso qualunque corpo?
Appesa a quella croce c'è un'umanità che accetta l'esperienza fisica, compresa quella indicibile del dolore, per esserne trasformata fino a proclamare la resurrezione spirituale per il credente, o una nuova uguaglianza tra gli uomini per il laico. Si può essere più o meno vicini alla centralità del dolore nel messaggio cristiano. Ma al di là del falso problema del restare nelle aule, si può supporre che questo simbolo suggerisca un ruolo del corpo assai diverso da quello del regime dello spettacolo in cui viviamo. Un corpo che serve a incontrare l'altro e non a utilizzarlo. A ricevere e concedere pietà e non mercificazione. Un corpo che è continua trasformazione e non sterile esibizione. Viviamo in un'epoca in cui pensiamo di conoscere tutto sul sesso, sul dolore, sul corpo, ma la realtà è che rischiamo di conoscere sempre meno e che abbiamo bisogno di essere molto saldi e presenti, nelle nostre esperienze, in questa strana avventura che è la «repubblica dei corpi italiani».
ilmanifesto
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