23 nov 2009

purezza e stato di eccezione: a cosa servono i neofascisti


[di Luca Negrogno]

I gruppi di estrema destra che oggi fanno riferimento alla retorica e alla simbologia del fascismo sono in un rapporto di collaborazione e riconoscimento reciproco con la classe dirigente del partito che governa il paese. I gruppi neo fascisti che negli ultimi anni hanno convogliato la partecipazione popolare, soprattutto giovanile, nella lotta all’invasione straniera e nella difesa dei valori tradizionali della famiglia e della religione, nelle ultime tornate elettorali nazionali hanno stipulato accordi di appoggio elettorale con il gruppo dirigente del centro-destra italiano. queste formazioni, il cui peso politico si sostanzia in percentuali che vanno dall’1% a livello nazionale al 2,7% alle regionali in lombardia del 2005 sono state una delle tante masse di manovra che la classe dirigente berlusconiana ha mosso sullo scacchiere della partecipazione politica. I personaggi di riferimento della destra estrema, per vie traverse, sono tutti riconducibili all’eversione di destra degli anni della "strategia del terrore": gli attuali leader di gruppi come Forza Nuova, Movimento Idea Sociale, Fronte Sociale Nazionale, sono figli della generazione che negli anni ’70 si è resa protagonista della reazione armata e violenta alla forza di penetrazione espressa dai movimenti politici della sinistra, spesso con la connivenza e il sussidio di settori dell’esecutivo.

La classe dirigente del paese ha negli ultimi anni attuato una forma di sdoganamento dell’ideologia e della retorica fascista, portando a compimento l’equazione che pone sullo stesso piano il fascismo e l’antifascismo. Dalla caduta dell’ordine politico forzatamente ricalcato sui grandi blocchi della guerra fredda è emerso un sistema politico che ha inseguito un miraggio di neutralità ed equidistanza rispetto alle tradizioni culturali che, da sinistra e da destra, criticavano la democrazia liberale. In questo processo, la retorica degli "opposti estremismi" ha finito per equiparare fascismo e resistenza. Appiattendo l’antifascismo sulla tradizione della cultura comunista, il sistema politico italiano ha finito per assumere l'assioma della specularità totale di comunismo e fascismo come due contigue manifestazioni di un cieco furore ideologico, naturalmente portato a sfociare nel totalitarismo. Parallelamente, la democrazia italiana ha smesso di riconoscersi nel mito fondativo della resistenza, dell’antifascismo, della collaborazione tra i filoni culturali che, opponendosi alla dittatura fascista, avevano gettato le basi di un sistema di valori da riconoscere, sempre e comunque, come proprio.

Ogni comunità necessita di riconoscersi in un mito che spieghi ai propri membri cosa pensare quando questi dicono "noi". la domanda sul senso dell'esistenza rischia di precipitare ciascuno nell’abisso che assolve da qualsiasi possibile legame, qualsiasi possibile con, nel buio di un io senza fondo. tale interrogativo perviene ad un relativo acquietamento dal momento in cui la comunità del noi risce con una certa stabilità a definire "cosa non siamo", cos’è ciò da cui ci distanziamo, cosa noi non dobbiamo essere, cosa deve stare fuori, cosa noi dobbiamo combattere.

La Repubblica italiana rinata a una forma democratica dal secondo conflitto mondiale aveva costruito il proprio mito fondativo sulla resistenza. Ma la democrazia che il sistema politico italiano ha espresso, a causa di una serie di tendenze storiche e sociali che vanno dalle ferree necessità dell’equilibrio internazionale alle forme di cancrena della struttura sociale ed economica del paese, è stata sempre imperfetta, a sovranità limitata, "corretta" nelle sue dinamiche da poteri che, agendo negli interstizi delle istituzioni democratiche, sono spesso riuscite a svuotarne il senso più profondo e ad orientarne gli esiti decisionali.

I gruppi storici del neofascismo italiano sono stati spesso degli strumenti manovrati dalle classi dirigenti dello stato per inoculare il terrore e la provocazione nei movimenti a larga partecipazione sociale che avevano interessato la vita politica italiana negli anni sessanta e settanta. Parallelamente, sopravviveva come gruppo parlamentare il partito Movimento Sociale Italiano, ispirato alla ideologia social-nazionale del fascismo, corteggiato dalla democrazia cristiana durante i periodi di maggiore instabilità dell'esecutivo. Alla sua destra si poneva una serie di movimenti extraparlamentari (Ordine Nuovo , Avanguardia Nazionale, Nuclei Armati Rivoluzionari , Terza Posizione e Costruiamo l'azione) che era con l'MSI in rapporti di critica, intermezzata da momentanei riavvicinamenti. I gruppi dirigenti di queste formazioni, costantemente oscillanti verso il terreno della clandestitnità e del terrorismo, intrattengono costanti rapporti con i vertici dei servizi segreti e delle forze armate, come hanno dimostrato le commissioni di inchiesta parlamentari degli anni '90 sul terrorismo nero e le stragi.

Negli ultimi dieci anni, i gruppi alla destra di Allenza Nazionale, che sempre più al vertice ha intrapreso un percorso di "berlusconizzazione", oscillano tra varie forme di organizzazione. I processi di riaggregazione e ritorno nell'alveo della destra istituzionale hanno incontrato l'opposizione interna dei gruppi più esplicitamente orientati verso la "terza alternativa" rispetto al bipolarismo parlamentare. Il momento di massimo riavvicinamento alla classe dirigente berlusconiana è il 2006, quando le forze neofasciste si ricongiungono in Alternativa Sociale. Forza Nuova, il movimento che raccoglie la maggiore partecipazione popolare e giovanile tra i gruppi dell'estrema destra è ancora molto vicina all'attuale primo ministro durante l'opposizione al governo Prodi, ha un ruolo di rilievo anche nella manifestazione di piazza del 2 dicembre 2006. Ma la conflittualità interna all'ambiente della destra estrema è forte, tanto da provocare la disgragazione del fronte creato da Alessandra Mussolini e originare, per le politiche del 2008, una ridislocazione radicale dei gruppi e dei leader. Oggi Forza Nuova, presentatasi autonomamente alle ultime elezioni politiche, riprende i temi fondamentali del fascismo "sociale", accompagnati da una forte connotazione xenofoba. Ma sono molteplici le tendenze e gli approcci culturali e politici che si fanno sentire nel movimento, i cui confini sono estrememente fluidi dato che le forme di militanza si ibridano con l'azione politica al di fuori del partito, in gruppi radicati su specifici territori, nella militanza ultras, nei centri sociali di destra. Ciascuno di questi campi stimola maggiormante elementi diversi: la "militanza di strada", le "ronde", i gruppi che vigilano i centri e le pariferie delle città del centro e del nord, sono fortemente orientati verso i temi della purezza nazionale, della lotta alla delinquenza straniera. Nei centri sociali, fenomeno particolmante radicato nell'area romana, si unisce alla militanza politica l'attenzione verso la cultura neo-pagana delle epopee nordiche, la ripresa dei temi dell'elitismo irrazionalista. I gruppi ultras di destra hanno negli ultimi anni colonizzato tutte le curve calcistiche italiane, anche quelle che si erano tradizionalmente orientate ad esprimere il tifo delle classi popolari con i simboli della sinistra; i gruppi ultras sono caratterizzati dalla ricerca dello scontro con le tifoserie avversarie e le forze dell'ordine, l'opposizione alla mercificazione e alla finanziarizzazione del calcio moderno, le pratiche xenofobe. Inoltre Forza Nuova organizza annualmente i campi di socializzazione politica, in cui si susseguono dibattiti, confronti, concerti di "rock non allineato" e banchetti di marketing identitario. I gruppi giovanili conducono campagne contro le droghe e, in generale, il conformismo consumistico, le manifestazioni spettacolari dei fenomeni televisivi (per esmpio nel maggio del 2008 un gruppo neofascista di roma manifesta e interrompe la serata in diretta della trasmissione "Grande Fratello" da piazza San Giovanni. I militanti, intervistati dai giornalisti di Annozero, raccontano di aver votato per Berlusconi, l'unico capace di difendere l'Italia dal comunismo e dai poteri forti globali rappresentati dalla sinistra).

In generale, si riprendono le "due o tre cose buone" fatte dal fascismo (con riferimento alla socializzazione delle industrie, alla modernizzazione, all'orientamento popolare e anticapitalista), si propugna la purezza spirituale della nazione (non mancano tratti anche più biologistici, le metafore medico-immunitarie), si vagheggia un concetto preponderante di Onore, si riprende l'elitismo dalle letture di Evola, si mischiano tradizionalismo cristiano e neopaganesimo celtico, battaglia di Lepanto e Tolkien.

L’ideologia dei ragazzi che si riconoscono in questi gruppi mostra una profonda carenza di analisi, di consapevolezza storica, di riflessione critica sui valori. Ciò emerge chiaramente nelle prese di posizione a proposito della shoah e delle persecuzioni naziste: si nega il mito dell'olocausto non in virtù di una analisi storiografica, ma fondamentalmente per profonda ignoranza. L'identità dell'odierna destra estrema ha ripreso elementi che negli ultimi anni avevano caratterizzato la retorica politica dell'estrema sinistra e dei movimenti no-global, come l'antiamericanismo e l'opposizione popolare alle potenze plutocratiche; un fenomeno per certi aspetti simili si può individuare anche nell'antisemitismo tipico del fascismo europeo, che oggi si tinge di coloriture antisionistiche appropriandosi della retorica filo-araba dell'antisionismo di sinistra. Si può dire che, da questo punto di vista, sia caduto un confine tra le culture "radicali" che avevano occupato il sistema politico degli ultimi anni. Un confine, però, la cui porosità è stata a un certo livello di osservazione sempre evidente.

Non ci spingeremo qui a considerare le oscillazioni che lungo la prima metà del novecento hanno caratterizzato il concetto di "rivoluzione", alla cui retorica hanno pienamente attinto i movimenti fascisti e nazionalsocialisti, o le posizioni del comunitarismo degli anni '70 sull'auspicato ricongiungimento di estremismo di destra e sinistra in forze collettiviste nazional popolari. Il fatto è che, se il confine oggi ci sembra caduto, è anche perchè la sinistra radicale europea, nel tentativo di ridefinire la propria identità dopo la fine dei grandi partiti comunisti occidentali, ha civettato, in funzione anti-globalizzazione, con valori tipici della destra come il nazionalismo, il tradizionalismo e l'autenticità etnica, senza affrontare l'approfondimento che la problematicità di certe scelte strategiche avrebbe richiesto.

C'è, tra gli altri, un problema di rappresentanza di classe alla base di questo fenomeno, che ci appare come una crisi di identità delle forze poste agli estremi del panorama politico a vantaggio di una coagulazione dell'opinione pubblica al centro, un centro le cui alternative di orientamento esprimono un'alterità reciproca estremente limitata dal punto di vista della gestione dei processi sociali ed economici. Da sinistra, ci appare chiaramente che l'elemento più caratterizzante dei partiti "radicali" è stato il totale abbandono della dimensione "proletaria", che sopravvive solo come etichetta, senza esprimere la classe sociale rappresentata da quei partiti. La sinistra italiana è assolutamente borghese; esprime sicuramente la migliore borghesia, in un contesto in cui non ha mai avuto modo di affermarsi una middle class imprenditorialmente avanzata e dotata di valori civici, laici e liberali, che fosse rappresentata da una forza politica adeguata. Ma la borghesia di sinistra, nei partiti comunisti, non è riuscita a stipulare alcuna forma di comunicazione con il proletariato, ha tralasciato uno dei compiti storici che il marxismo classico attribuiva al partito: la socializzazione politica delle masse di sfruttati. Oggi la sfida sarebbe quella di recuperare alla politica le masse che si situano al di là della linea mobile dell'esclusione, la popolazione marginale e periferica che non ha accesso alla libera informazione, alla cultura, alle possibilità economiche e sociali di modificare il proprio destino, di ritenere il proprio destino qualcosa di politico, e politicamente modificabile.

I gruppi neofascisti attraggono masse di giovani proletari ponendosi come unica opposizione rispetto ad un sistema politico fatto di connivenze e accomodamenti ad un potere plutocratico, fondato sulla distruzione dei valori fondamentali, colpevole della peggiore ipocrisia, che attraverso la retorica democratica nasconde l'omologazione dei consumatori, dietro la retorica multiculturalista favorisce la contaminazione etnica che è, in ultima analisi, strumento per lo sfruttamento delle masse. Tale potere è il frutto dell'accordo della grande finanza globale, del movimento sionista, della politica nichilista che la sinistra avalla. Di contro, i neofascisti sono socializzati a questa religione prepolitica abbarbicata stabilmente su pochi, immediati, valori dalla purezza e verità evidenti: tradizione e cristianità, purezza etnica europea, ricerca di una terza posizione alternativa ed equidistante al capitalismo americano come ai regimi storici del comunismo realizzato. Si riafferma la purezza della comunità europea, contro la disgregazione sociale e la contaminazione culturale provocata dal potere finanziario-nichilista.

Emerge l'ansia di giustizia che anima i giovani fascisti. La sensazione di vivere in un mondo sporco e insensato, di una vita sottoposta ad un potere ipocrita che si giova di un mondo impuro. Il rifiuto di un futuro fatto di precariato, consumo omologante e ipocrisia; il conseguente tentativo di ristabilire una visione epica della vita. I nemici sono evidenti: le grandi forze della penetrazione finanziaria che rompe l'unità comunitaria ancorata alla terra (cioè: il sionismo e il suo alleato americano); gli italiani che, ormai contaminati dai non-valori dominanti, divengono vuoti, omologati, omosessuali, compagni (quindi: servi inconsapevoli, e come tali ancora più colpevoli, della distruzione dei valori puri della tradizione, svirilizzati e irregimentati, drogati e atei, illusi e manovrati dal salottiero bertinotti); gli immigrati che aggravano la crisi di valori della nostra comunità nazionale contribuendo a romperne l'unità culturale e raziale, fornendo la massa di manovra al capitale finanziario globale che sposta gli uomini sradicandoli dalle loro comunità di terra e sangue (e quindi rendendoli tutti potenziali criminali, stupratori, ladri, dissacratori) per poter condannare i giovani della bionda europa ad un futuro di sfruttamento e precarietà.

La citazione di un fatto può aiutarci a capire. Il tre maggio del duemilaotto l'episodio di violenza che ha attirato l'attenzione dei media sul fenomeno neofascista: nicola tommasoli, 29 anni, viene aggredito e ucciso da un gruppo di 5 ragazzi tra i 17 e i 25 anni, abituali frequentatori della curva dello Hellas Verona, militanti in formazioni che fanno esplicito richiamo alla simbologia nazista, figli della media borghesia produttiva del nord-est. Emerge all'attenzione dell'opinione televisiva l'escrescenza neofascista veronese: ragazzi che presidiano le strade del centro, tengono pulita la città; fanno sentire la loro presenza nei locali dello struscio serale e nelle piazze; ce l'hanno con i comunisti, i salentini; i giornali dicono: chi ha stili di vita diversi dai loro (la semiotica del corpo, il discorso dei capelli e degli ornamenti, delle marche di jeans e magliette, tutto è espressivo, data la convivenza nei medesimi luoghi pubblici, le stesse piazze e gli stessi luoghi di consumo). Quando le luci del centro si spengono, la serata non è finita: si va in periferia a cercare immigrati, barboni. L'applicazione della legge mancino contro l'istigazione all'odio raziale, il reato di rifondazione del disciolto partito fascista sono paventati durante le indagini della procura sui gruppi ultrà, già nel 2006; negli ultimi cinque anni finiscono coinvolti dai provvedimenti giudiziari personaggi della destra istituzionale del nord-est, uomini di rilievo della lega nord e dell'amministrazione locale di Verona. Si susseguono i gradi di giudizio, non ci sono ancora sentenze definitive. Ma la morte di tommasoli fa emergere un mondo fino ad allora rimosso nei dibattiti televisivi e nelle lapidarie dichiarazioni dei politici (si ricordava solo la polemica sugli "impresentabili", estremisti di folkloristica simmetria televisiva, con prodi e berlusconi, durante la compagna elettorale del 2006). Dal PDL, la solfa è: crisi educativa (come giustamente sottolineato dal santo padre), assenza delle famiglie, fenomeni di bullismo. Dal PD: imbarazzo e costernazione, condanna, "vicenda inquietante", "e' fondamentale l'impegno di tutti perche' non torni un clima di violenza politica e di insicurezza per i cittadini'', conclude Veltroni. La sinistra extraparlamentare dice: berlusconi, lega, aenne e forza nuova: tutti fascisti. Le condizioni di partenza sono dure, ma con una buona dose di calma e onestà potrebbero nascere un dibattito, una riflessione. Termina tutto dopo qualche giorno: sulla prima pagina di repubblica e corriere, i ragazzi dei centri sociali bruciano una bandiera israeliana durante le proteste contro il salone del libro a torino: dopo un'esternazione del vicepresidente del consiglio Fini ("è più grave") il dibattito diventa se sia più pericoloso per la tenuta delle istituzioni democratiche un ragazzo ammazzato o una bandiera bruciata. PD e PDL tergiversano e si rintuzzano dalle prime pagine. L'obiettivo è raggiunto: il ribellismo montante va scongiurato, è un epifenomeno della generalizzata condizione di insicurezza in cui versa la cittadinanza: la soluzione è rifugiarsi al centro, nell'alveo stabile delle libertà democratiche.

In qualche modo, i neofascisti sono solo ciò che serve a farci sentire al sicuro nella nostra democrazia svuotata di significato. Sono una forza minoritaria e marginale; di fronte agli inquietanti episodi diviolenza potremmo spenderci nell'interrogativo: è possibile mai che possano mettere in pericolo la nostra democrazia? No, ci rispondiamo velocemente: sono pochi, marginali, i maggiori partiti nazionali hanno ormai preso le distanze da questi estremisti: la democrazia è salva ( si ingenera una situazione aporetica: portando all'estremo questo pensiero arriviamo a dire: il problema della democrazia è la parresia, che certa genta possa dire pubblicamente certe cose, che tutti possano dire quello che vogliono. La democrazia va salvata da se stessa). Temiamo per la nostra democrazia, ma non sappiamo bene per che cosa temiamo.

La condanna è un atteggiamento sterile. Dovremmo iniziare a chiederci a cosa servono, a cosa serve che loro esistano. I ragazzi socializzati a questa religione prepolitica servono a mantenere uno stato di eccezione all'interno della rappresentazione del potere statuale democratico. Sono proletari, vengono socializzati allo scontro con le forze dell'ordine; il loro onore e la convinzione delle loro scelte non allineate li conduce verso i DASPO (provvedimenti di allontanamento dalle manifestazioni sporitve), le diffide, i provvedimenti precauzionali di sorveglianza, le denunce, le sanzioni, i processi, i casellari sporchi. In virtù di tale processo di soggettivazione, sono sempre ai margini, non aspirano a far parte di alcuna "classe dirigente", a ricoprire posizioni di rilievo nel sistema sociale e politico: sono tenuti ai confini, la loro socializzazione politica è funzionale a tenerli ai margini, a fare in modo che mai loro si vedano come esclusi da un sistema in cui vorrebbero entrare. Per la buona società (cioè: noi nelle aule universitarie, soprattutto) sono etichettati, devianti (per i salotti televisivi e i portavoce di partito c'è bisogno del caso che faccia esplodere l'etichettamento; c'è: quando dal pestaggio di normale amministrazione ci scappa il morto). Loro si autorappresentano come puri, non allineati, votati alla causa, resistenti rispetto all'omologazione. Attraverso di loro si esternalizza il potere sovrano che decide sullo stato di eccezione. Come nella produzione "postfordista", le democrazie liberali attribuiscono a chi sta ai margini della rappresentazione il lavoro sporco. Lo fanno gli Stati Uniti con la tortura, delegandola agli alleati meno schizzinosi, lo fanno i grossi loghi occidentali con la produzione dei manufatti nei paesi a basso costo e basse garanzie per la forza-lavoro. Lo fa il potere sovrano con la gestione della purezza nella città, la continua riaffermazione delle linne di separazione interne al gruppo sociale. I neofascisti ono proletari, figli della piccola borghesia sempre più marginalizzata dalla cultura e dall'informazione, sono figli di operai, piccoli commercianti sempre più indifesi e sfiduciati dalle condizioni di lavoro, sottoposti alla concorrenza della forza-lavoro immigrata e del mercato globale. Hanno di fronte, come dicono i leader dei loro partiti, un futuro di precarietà e disoccupazione. Sono i ragazzi sui quali si è manifestato il profondo fallimento delle agenzie di socializzazione di cultura, sono i ragazzi a cui la scuola non riesce a trasmettere alcun valore, con cui i professori non riescono a comunicare. Sono i ragazzi a cui comunicano in maniera molto indiretta e trasversale anche i modeli di consumo dominanti per adolescenti: mentre a livello ei contenuti vengono rifiutati in quanto trasmettono un'idea vuota di successo, un edonismo senza valori, perverso e drogato, i modelli di consumo dominante penetrano ad un livello più subdolo, formale: comunicano la levigata uniformità dell'identitificazione pura; i giovani neofascisti traggono dai modelli della comunicazione di massa la struttura formale del modello, dell'identità, della separazione nelle sfere del consumo. Reinterpretano tale identificazione creandosi una comunità di Onore, un'avanguardia, una guardia, che vigili sull'ordine nei luoghi di consumo, ben capace di distinguere cosa è giusto che ci sia in una piazza o in un pub il sabato sera. (ci siamo noi, che difendiamo la pulizia dei luoghi; ci sono loro: gli infami, gli sporchi, i compagni, a cui dobbiamo dare una lezione - non fatevi vedere in giro; ci sono gli altri, quelli che stanno al loro posto, non hanno l'onore, non danno la vita per la causa, ma sono puliti. li riconosciamo al primo sguardo, tutti). Non tengono pulite solo le periferie: stanno, chiaramente visiili, nel centro delle città (ancora l'esempio di Verona). I cittadini, che non direbbero mai: "io sono fascista", sono contenti che loro ci siano, che ci sia qualcuno che finalmente tiene un po' d'ordine (lo stato è necessariamente assente, in questi casi. La percezione dell'insicurezza è la percezione della rottura dell'unità simbolica del proprio luogo; l'insicurezza è lo spaesamento del cittadino che, perso ogni legame comunitario che aveva caratterizzato un certo periodo della nostra vicenda democratica, si trova a non uscire per strada la sera perchè non riconosce più la sua città: per l'impatto con l'altro, senza avere alcuna categoria per interagirvi- ma letto attraverso la categoria del delinquente, del pericoloso, del rumoroso, dell'ubriaco, dello sporco. Lo stato, se non costruendo un ghetto, in questi casi non può intervenire. Costruire ghetti si può: cosa è, per esempio, urbino2? Ma se non si vede, il problema non c'è e la soluzione non serve).

Un'analisi della mitologia politica dei giovani fascisti, che non si fermi al livello dell'indignazione, ci può permettere di analizzare il sistema di valori che accompagna le loro scelte, che definisce la loro identità. I vuoti e le contraddizioni rivelate da tale analisi ci spingono a condurre la nostra indagine sui processi di soggettivazione che creano l'identità fascista. Come abbiamo già detto, tale mitologia appare un guazzabuglio di posizioni difficilmente conciliabili. A tenerne l'unità, forse, è la volontà preponderante di collocarsi al di fuori di uno spazio simbolico le cui contraddizioni vengono cassate rapidamente con una attribuzione di sostanziale impurità, alla quale ci si contrappone, con spirito eroico, con l'Onore della scelta identitaria.Lla scelta identitaria fascista si presta particolarmete a tale affermazione di sè attraverso la rimozione dei vincoli contraddittori intrattenuti con l'altro: l'identità fascista viene ripresa con riferimento alle "due otre cose buone" di cui si è accennato, ma tali elementi non vengono mai separati dalla totalità dell'esperienza fascista e dall'identificazione con la sua retorica. Come suggerisce Antonio Pennacchi in "che ne sai tu del lupo cattivo?" (in "nazirock" pubblicato da feltrinelli nel 2008) l'assunzione dell'identità fascista va riconosciuta come un'assunzione del ruolo di capro epiatorio metastorico e volontario; si scorge in essa il frutto di una difficoltà di metabolizzazione del lutto, assunta e idealizzata come collante identitario. La difficoltà di elaborazione del lutto che i giovani fascisti sperimentano nei confronti del fascismo storico, sarebbe alla base di questo processo autonecrofilo, consistente nel voler perpetrare oggi, settant'anni dopo, il ruolo di capro espiatorio che assunsero i ragazzi di salò nei confronti del Popolo Italiano. Tale meccanismo depressivo porta i giovani antifascisti a non poter definire compiutamente una propria identità che sia scevra da contraddizioni e a risolversi in niente più che anti-antifascisti; essi, cioè, finiscono per mischiare elementi identitari confusi e inconciliabili, assolutamente non costruttivi rispetto alla situazione sociale e storica, solo per negare una retorica antifascista che, se da una parte non rende necessaria giustizia alla complessità del fenomeno fascista, dall'altra essi finiscono per assumenre in toto solo al fine di riaffermarla positivamente. Così, in qualità di capri espiatori volontari, sempre tali al di là delle epoche della storia repubblicana, loro vedono confermata nei fatti la loro purezza, la loro giustizia, senza dover sottoporre ad ulteriore critica i loro valori - ma evidentemente condannati a non poter mai sperimentare un processo di crescita attraverso negazioni e riconoscimenti dialettici. E' un fenomeno che interessa l'intera comunità politica, storicamente impegnata nella costruzione di un mito di fondazione democratica attraverso la resistenza e l'antifascismo, sull'altare del quale ha dovuto sacrificare i militanti di salò, gli ultimi convinti assertori del fascismo nel contesto della disfatta nazionale, che per sineddoche sono passati ad indicare tutti i fascisti, tutto il fascismo che, anche tra i buoni cittadini antifascisti, è stato tranquillamente accolto lungo un ventennio. Il sistema democratico che ha operato tale sineddoche vittimaria, giustificando la totalità del cuo corpo a spese di una minoranza di ragazzi che hanno mantenuto l'onore della patria dalla parte sbagliata, forse non ha saputo sostanziare di verità effettiva il mito che ha costruito in questo sacrificio fondativo, lasciando a morire sulla carta l'impegno per la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Anzi, le soggettività politiche che avevano celebrato quel rito costituente sono oggi svuotate e obsolete, poichè i nuovi modelli di inclusione ed esclusione nella società non ricalcano più i cleavages storici della società industriale del novecento, sui quali si erano costruiti miti politici progressivi ed emancipatori. La politica, assurta a sistema di governamentalità, rifiuta di rappresentare il conflitto - creatore di valori - ritenendo che tale dinamica sia "novecentesca", legata ad un'idea superata di società. Oggi la politica governamentale accomuna la destra e la sinistra in un alveo di indistinguibilità in cui l'unico slogan, la sicurezza, funziona come centro oscuro che ricopre tutto il corpo politico, in cui ogni cittadino è potenzialmente un terrorista e viene sottoposto agli stessi controlli biometrici un tempo riservati ai criminali recidivi dal potere esecutivo.

E' una situazione in cui stato normale e stato di eccezione vengono a coincidere. Quando non c'è una rappresentazione del conflitto nel sistema politico, questo si ridisloca sui nuovi confini dell'esclusione. Coloro che sono al di là di tali confini sono i corpi eccepiti dal sistema politico delle società occidentali, presi fuori - un esempio su tutti gli stranieri, condannati ad una posizione di costante marginalità creata dalle norme restrittive (che tendono a crearli immediatamente come devianti) e dall'organizzazione del lavoro; gli stranieri sono sempre possibili oggetti della ferocia della massa nazionale, sempre possibili pharmakoi, rispetto ai quali la nostra società lascia le porte socchiuse - un esplicito invito che non implica il dovere dell'accoglienza (c. m. bellei, "la comunità nuda", 2008)

Come da lunga tradizione, il fascismo serve a mantenere uno stato di eccezione nel sistema democratico liberale, per governare la partecipazione popolare e tenere a bada le soggettività sociali e politiche potenzialmente disgreganti. Oggi lo stato di eccezione indistinguibile dallo stato normale è il frutto del processo biopolitico occidentale: nelle democrazie borghesi, la rivendicazione della vita biologica come diritto, come unico carico di cui la politica è portatore, porta al primato del privato sul pubblico e delle libertà individuali sugli obblighi collettivi. Lo spazio politico non è più assimilabile a quello della polis ma funziona come l'oikos collettivo pienamente realizzato - tale oikos non è il luogo realizzato della comunità ma uno stato di indistinzione tra diritto e forza, in cui il modello di inclusione è la spettanza, l'esclusione è data dall'impurità.

Dove le linee di demarcazione interna sono incerte, dove le soggettività politiche sono sbiadite a vantaggio di una comunità domestica gestita dall'economia, in cui gli idividui sono tali in quanto delegano la gestione della vita biologica alla tecnica e ai centri di potere che la tecnica utilizzano, vengono in aiuto le idee di contaminazione per definire la struttra sociale. La purezza è la piena gestione del sè attribuita ai prodotti, l'impurità e data da uno scarso accesso alle possibilità di delegare la gestione della vita biologica a tali sistemi tecnico-mercantili. Ma la totale indistinzione tra norma e stato d'eccezione significa anche che il potere governamentale non è più espressione di alcun potere costituente in cui il popolo - categoria rischiosa e surrettiziamente unitaria - possa riconoscere se stesso, nel quale posssa realizzarsi la lotta tra forze che pongono i valori. Ciascuno sa di potersi sapere buono se crede in un sistema di potere che lo difenda dalla paura di avere paura; gli agenti della paura sono disseminati qua e la in ogni sistema sociale. Sono i neofascisti, le ronde leghiste, le subculture mafiose, i poliziotti esaltati. La sovranità non può esercitare direttamente questa inoculazione di paura senza rompere la rappresentazione armonica della spettanza, nella quale la politica è governo di una massa di individui, perfetti giudici dei propri interessi e imperiosi esattori di sicurezza, indifferentemente alla forma del regime politico stesso. Tali agenti di paura, tali vigilantes della rappresentazione spettacolare e vuota non hanno alcuna regola di ingaggio: la loro marginalità basta a fare in modo che essi adottino un modello di giudizio della sporcizia, un sistema di categorie di contaminazione che autoproduca le proprie istanze e le proprie soddisfazioni (quando qualcuno esagera, o sbaglia bersaglio, il sistema si riorganizza sacrificando qualche ragazzino sull'altare dell'ordinamento giuridico-spettacolare). Le categorie di impurità colpiscono chi deve essere colpito, nella maggior parte dei casi (immigrati, rom, individui che non consumano, non votano, non guardano la televisione, sporcano, rompono l'unità del luogo di consumo, devono restarsene nel loro ghetto, devono sapere di essere sotto controllo); la violenza di questi agenti della paura socializza i giovani dei loro quartieri; si autoriproduce con la forza del "meglio starsene tranquilli". E' un modello di trasmissione di cultura in cui nuovi giovani proletari saranno presi, perderanno ogni possibilità di emanciparsi, saranno puri operatori di purezza.

Perchè un potere (leader per nulla marginali nel sistema politico, emersi spaventosamente indenni da scabrose vicende giudiziarie, legati a doppio filo alla più pervasiva classe dirigente degli ultimi anni) incanala in un ribellismo marginale e assolutamente non-dialettico una massa di corpi esplosivi, la cui energia vive delle tensioni di un modello produttivo escludente e contraddittorio. Questi corpi esplosivi ed energici sono gli esclusi dai modelli accomodanti del sistema occidentale; la socializzazione politica che su di essi viene applicata ne spegne ogni possibilità rivoluzionaria. Il potere scrive sui loro corpi le svastiche e la retorica che li tiene sotto controllo; un giovane proletariato non assimilato dalla democrazia del consumo, potenzialmente sovversivo e destrutturante, viene ricondotto dentro le forme di funzionamento della rappresentazione del potere, viene portato ad essere la guardia armata della sua purezza. I neofascisti, inoculati di violenza, sono disposti sulla scena urbana a ricordare la paura che bisogna aver paura di avere.

E la nostra retorica umanistica e antifascista è colpevole; il nostro discorso antifascista, figlio di un mito democratico con cui non riusciamo più ad interagire criticamente, contribuisce a creare questi soggetti. Non sono in grado di fare alcuna marcia su roma; l'ordinamento giuridico del fascismo sarebbe incompatibile dcon le mutate condizioni economiche, sociali, tecnologiche; non c'è pericolo, siamo al sicuro. Guardiamo questi giovani esaltati e continuiamo ad usarli per sentirci migliori, democratici, liberali, di sinistra. E non ci rendiamo conto di ciò in cui ci siamo.

Questa storia non è nuova. Pasolini ammoniva i suoi contemporanei mostrando la barbarie del nuovo fascismo dei consumi. Il potere omologante dello Sviluppo, devastate le culture contadine, espressive, del popolo ormai assimilato dalla falsa liberazione edonistica del boom economico, genera contraddittori episodi di ribellismo disperato, afasico, irrazionalistico. Mentre i giovani del sessantotto isolano la loro protesta in un ambito autoreferenziale, che li sottrae ad ogni possibilità di interagire dialetticamente con i loro padri borghesi, la classe politica dominante nasconde la propria inettitudine dietro la retorica umanistica dell'antifascismo. Tale antifascismo è inutile contro il novo fascismo dei consumi, lontano dalla retorica umanistica del ventennio ma piuttosto orientato a un pragmatismo pervasivo e violento nella sua falsa tolleranza, volto alla "riorganizzazione e l'omologazione brutalmente totalitaria del mondo". La retorica antifascista dei dirigenti borghesi serve a nascondere le connivenze con le stragi, con i provocatori, cpn i giovani teppisti manovrati dai servizi segreti. Pasolini scrive:

"non abbiamo fatto nulla perchè i fascisti non ci fossero. li abbiamo solo condannati gratificando la nostra coscienza con la nostra indignazione; e più forte e petulante era l'indignazione più tranquilla era la coscienza.

in realtà ci siamo comportati coi fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente ad essere faascisti, e di fronte a questa decisione del destino non ci fosse niente da fare. e non nascondiamocelo: tutti sapevamo, nella nostra vera coscienza, che quando uno di quei giovani decideva di essere fascista, ciò era puramente casuale, non era che un gesto, immotivato e irrazionale: sarebbe bastataforse una sola parola perchè ciò non accadesse. ma nessuno di noi ha mai parlato con loro o a loro. li abbiamo subito accettati come rappresentanti inevitabili del Male. e magari erano degli adolescenti e delle adolescenti diciottenni, che non sapevano nulla di nulla, e si sono gettati a capofitto nell'orrenda avventura per semplice disperazione.

ma non potevamo distinguerli dagli altri (non dico dagli altri estremisti: ma da tutti gli altri). è questa la nostra spaventosa giustificazione."

(24 giugno 1974, sul "corriere della sera" con il titolo "il Potere senza volto". ora in "Scritti Corsari")

da queste righe il grido di dolore di Pasolini ancora ci appella.

4 commenti:

  1. ciao lù, ho letto con grande interesse, complimenti, ma faccio un po' di difficoltà a figurarmi il neofascismo con una connotazione così fortemente di classe. hai definito giovani neofascisti proletari, emarginati, esclusi, poi piccolo e medio borghesi (sull'esempio di verona) comunque sostanziati funzione "assicuratrice" della ragione democratica. mi chiedo: che quelle categorie (e le ragioni a loro conseguenti)non riescano realmente a dare ragione del fenomeno? sai che non mi occupo di 'ste cose ma mentre leggevo l'aricolo qualcosa non riusciva a suonare. dubbi, magari mi puoi aiutare. penso soprattutto ai fascisti di verona; uno di loro se non ricordo male era una sorta di operatore finanziaro o roba del genere, tutt'altro che gonfio di ideologia anticapitalista, anzi, forse la sua era un'ideologia da boccettina di profumo: un paio di spruzzate davanti lo specchio prima di uscire che fa più figo. insomma, una cosa tipica di un epoca post(oltre a tutto il resto)ideologica. una cosa pop più che espressionista, non so se mi spiego. per non parlare di roma, dove i fasci del nomentano abitano gli attici, girano in smart e tirano coca. insomma, mi ripeto, un'analisi fatta su categorie di mera esclusione socio-politica può spiegare un fenomeno del genere? o l'attrattiva (retorica,estetica,politica) del fascismo trova sostanza nella mancata elaborazione del lutto a cui accennavi (fantastico)per risuonare trasversalmente nella società italiana attraverso forme diverse - la violenza urbana piuttosto che il cavalcare la tigre per un brocker- ? insomma, un'analisi con categorie più "deboli" riuscirebbe a vedere le cose se non meglio almeno da un punto di vista altrettanto verace?

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  2. ciao arc, condivido pienamente la tua ipotesi "debole": la violenza urbana e il cavalcare la tigre si equivalgono come comportamenti del soggetto che si possiede, che si oggettiva, e la sua oggettivazione di sè non può che restituirgli un'immagine morta. la mancata elaborazione del luto riguarda tutta la società, i suoi rituali stanchi, le sue idee vuote. noi "uomini della conoscenza" in era Tremonti lo avvertiamo parecchio.

    vabbè, scappo. grazie.

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