Il Dio fattosi uomo conduce la sua umana predicazione esposto al sospetto e al fraintendimento. Parla per parabole ai popoli, ma non lesina l'uso del sottile sofisma per scoraggiare gli attacchi dei sacerdoti ufficiali. Porta la verità del Padre Suo al mondo, ed è consapevole del potere del suo discorso. Le sue parole fermano la mano assassina dei giudici contro la Maddalena, mettono a tacere i sommi sacerdoti, per i quali il popolo d'Israele manifestava un incondizionato, quanto esteriore, rispetto. Tuttavia sa che non sarà compreso. Esiste uno scarto ineffabile tra il discorso di Cristo e la Verità di cui egli è testimone. Lui in fondo lo sa, che le parole non bastano. Attraversa i luoghi della qutidianeità, le sponde su cui i pescatori preparano gli strumenti del lavoro, il mercato in cui la ricchezza di ciascuno viene soppesata sulla bilancia dell'offerta sacrificale, per apparire trasmutata e "sacra" sull'altare del tempio, per transustanziare successo economico in dignità morale. Sembra che Cristo sappia che, per comunicare una verità, si deve avere intorno il contesto appropriato. Egli, naturalmente schivo e lungi dagli eccessi di egocentrismo tipici dei profeti (è solo ai suoi più intimi che chiede, sporadicamente: "chi dicono che io sia?"; è solo dopo lunghe insistenze della Madre che, alle nozze di Caana, accetta di mettersi al centro dell'attenzione) rifugge le manifestazioni spettacolari tipiche dei ciarlatani e della religione ufficiale, discredita la bella mostra della preghiera e dell'elemosina da parte dei Farisei, mette spesso a tacere gli eccessi di eccitamnto, la sete di gloria dei suoi amici.
Ma il Cristo dei Vangeli sembra sapere che esistono contesti particolari nei quali, e solo in essi, si possano portare gli uomini a fare un passo avanti, ad acquisire una nuova consapevolezza, ad aprire gli occhi. Non è a caso che egli scelga per la sua "vita pubblica" il contatto con le figure marginali della società del tempo. Cesari, Erodi, Farisei, Pilati: sono tutte figure marginali verso l'alto, figure di potere, che godono del rispetto del popolo. Pubblicani (speculatori sulla riscossione dei tributi nelle province dell'impero, una casta di borghesi-parassitari: i "cavalieri"), lebbrosi, donne ripudiate e condannate per adulterio, bambini, indemoniati, morti: sono tutti "marginali" verso il basso, gli esclusi, gli ultimi. Sono, cioè, quelli da cui si sta alla larga, quelli che la gran massa delle persone per bene evitano, condannano o tengono ben isolati in contesti particolari, raggruppati e segregati, separati dalla quotidianeità delle cose serie della vita. E' proprio quando il popolo di Israele si ritrova impegnato nelle piccole e grandi liturgie di "separazione" da questi marginali che la predicazione del Cristo interviene; ancora più spesso, è proprio la sua azione, i suoi inviti a cena, le sue opere miracolose, la sua stessa presenza, che suscitano scalpore e attenzione: disturbano e rompono la pacifica idea del mondo che la gente per bene si ritrova ad avere giorno per giorno, mettono in crisi la sicurezza del mondo così come appare alla gente normale, quella che sa che il mondo è così perchè così è sempre stato.
Cristo entra in contatto con gente su cui si addensa il disprezzo generale, dice ai bambini di raggiungerlo mentre i grandi li tengono lontani dalle cose serie della vita, dice che la comunità non è in diritto di condannare la donna colpevole, passa il tempo con indemonati, lebbrosi e morti, tutta gente che la comunità tiene ben lontana, tutta gente che la comunità esclude, spesso attraverso liturgie piene di cordoglio e commozione, ma l'importante è metterli fuori, metterli in una zona separata dalla vita seria, magari più importante ed eterna, magari puù sudicia ed esecrabile, ma separata.
A differenza del suo maestro Giovanni, che come gran parte degli antichi profeti, additava gli occupanti del Palazzo, i detentori del potere, e li dava in pasto al pubblico disprezzo, mettendone a nudo la condotta immorale e indegna del loro ruolo, Gesù doveva aver capito che non era tanto importante disprezzare i potenti, sobillare il popolo contro di essi. Anzi, nonostante si rischi la testa, si può dire che questo in fondo non sia troppo difficile. "Piove, governo ladro!", dice la gente. Quando i raccolti andavano male e il reciproco sospetto metteva a soqquadro le antiche comunità, il re veniva linciato, e se ne faceva un altro, che faceva andare meglio il raccolto. Cristo sapeva che la massa è volubile, soggetta a mutamenti repentini di posizione, affetti, visioni del mondo. Sembra quasi che, a Gerusalemme, abbia voluto provare con un macabro esperimento quello che aveva già da sempre sospettato. Quanto tempo passa tra le palme dei "Gloria!" e gli indici puntati dei "Crucifige!"?. (Si potrebbe dire che ci sia una profonda sapienza, nei Vangeli, sulla volubilità delle masse, sui modi per dominarle e indirizzarle, aizzarle e sedarle. Non è un caso che tutti i poteri europei abbiano tenuto in gran conto quei libri come Sacri.)
Gesù aveva capito che insegnare la verità era un compito da eseguirsi prendendo come sfondo le pratiche sociali di esclusione e separazione, intervenire a bloccare il momento della senteza, rompere l'unanimità concorde del pubblico disprezzo. Deve aver avuto dei dubbi, Cristo, sulla questione del lavoro, dei diritti sociali, dell'uguaglianza. La stessa cosa che il diavolo gli chiese nel deserto, "trasforma queste pietre in pane", lui l'ha fatta poi aggiungendovi anche i pesci, e sfamando più gente di quanta si sarebbe mai potuto immaginare. Di fronte al diavolo tentatore egli aveva invece mostrato il più profondo disprezzo. "Non di solo pane vive l'uomo", aveva detto: stava rifiutando le viscide ma lungimiranti offerte del tentatore, che gli proponeva di assicursi il potere sul mondo, su tutte le cose e gli uomini. E si sa, dare agli uomini il pane senza costringerli alla sofferenza del lavoro, dare agli uomini la facoltà di vedere soddisfatto ogni bisogno senza sottoporsi alla negazione dialettica della morta natura, beh, è una cosa che lubrifica parecchio i meccanismi del potere. Eppure, dopo aver rifiutato sdegnoso l'offerta del demonio, dopo che il popolo è rimasto ad ascoltarlo articolare il complesso discorso della montagna, non può fare a meno di moltiplicare i pani e i pesci, non può fare a meno di mostrare agli uomini che si possono sfamare migliaia di bocche con due pani e cinque pesci, quando si è insieme. Egli aveva rifutato il potere che solo poteva venire dal far sentire soddisfatto e satollo ciascun uomo affamato, e ha scelto un'altra via: quella di ricordare agli uomini quanto la comunità possa sviluppare una specie di stomaco collettivo, in cui tutti si sfamano con poco, e nessuno ha da recriminare (anzi, il cibo avanza).
Ma Cristo, nichilista e relativista fino al midollo, sa che la verità non si può spiegare. Cristo ha capito un bel po' di verità spiacevoli, tipo che il Potere, su questa terra, è di Satana. (Satana infatti gli aveva detto: "sottomettiti a me e sarà tuo il potere". Lui non gli si è sottomesso, ma c'è da credere bene che altri l'abbiano fatto. Altrimenti non ci sarebbe alcun Cesare impresso sulle monete, a cui dare ciò che gli spetta). Ancora peggio, ha capito che il discorso razionale, l'astrazione in cui sono maestri gli intellettuali del tempo, è una sottile strategia di potere. Sfiduciato nei confronti dell'astrazione sofistica, di cui deve ad ogni piè sospinto respingere le trappole che i Sacerdoti innescano per lui, predica al popolo con le parabole. Parla della terra di lavoro, del pascolo nei campi, delle minime relazioni di dipendenza in una società agricola e patriarcale, del funzionamento dell'unità familiare. Il suo mondo di metafore è quello dell'esperienza quotidiana della gente seria, che però non esita, in certi imbarazzanti momenti di sfogo, a negare ("io sono venuto per portare la spada, per mettere il padre contro il figlio, la madre contro la sorella"). In una società caratterizzata da quello che molti anni dopo qualcuno in vena di semplificazioni avrebbe definito "FAMILISMO AMORALE", per cui all'ottimizzazione dei vantaggi della propria unità familiare corrisponde un bieco disinteresse per l'interesse collettivo, per Cristo doveva costituire un sottile piacere polemico dichiarare "io non ho madre, fratelli e sorelle".
Eppure, Cristo sa che la verità, a parole, non si può dire. C'è forse la preghiera, in cui la parola trasfigura e apre l'interiorità alla percezione di un'alterità irriducibile, ma non basta. Cristo, la verità deve esserla. E per quanto il calice sia amaro, l'unico modo che ha per essere fino in fondo la verità è morire sulla croce, lasciarsi condannare e dileggiare, non replicare alle accuse della comunità unanime, manifestare nell'unico modo possibile la più grande resistenza al potere: fargli rimbalzare contro l'autismo della propria rappresentazione, dire solo: "tu lo dici".
Pilato, è così umanamente rappresentato. Arriva persino a chiedere "cos'è la verità". Un errore che un uomo di potere non dovrebbe mai commettere. Chi crederebbe più in lui, chi gli obbedirebbe più, se lo vedesse chiedere la verità a uno straccione? Lasciare che venga messo a morte è anche un modo per ricordare a se stesso che non c'è nessuna Verità, men che meno conoscibile da uno straccione. L'unica verità, "su questa terra", è quella che il potere mantiene in piedi, nel doppio senso che è quella che il potere rappresenta ma anche quella che, con la sua evidenza, tiene in piedi l'obbedienza dei popoli. Una volta che il popolo abbia avuto il suo crocifisso e il suo liberato, il potere, rinnovato nella sua legittimazione, sussisterà. Effettivamente, dopo un attimo di incertezza, le mani di Pilato sono pulite.
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