8 apr 2009

Il demone sotto la pelle - immunità e tecnica nel cinema di Cronenberg


Il cinema di Cronenberg gioca sulle ambiguità, sui compromessi. Lontano da propositi moralistici, ma ossessionato dal senso, ciò che dice di più importante emerge dalle contraddizioni che si annidano nel passaggio da uno all’altro dei molteplici piani di lettura cui il film si presta.


Un esempio, che prendiamo a fonte della nostra riflessione. Ne “il demone sotto la pelle” ("Shivers", 1979), le atmosfere tipiche dell’horror epidemico, già sèma cinematografico ascrivibile all’emergere della società di massa e del suo rimosso (si pensi all’uscita poco precedente del secondo capolavoro di Gorge A. Romero, "Zombi") trovano nella figura del dottor Hobbes un lampante punto di congiunzione con un piano di lettura pienamente attinente alla filosofia politica. In questo palazzone confortevole, che ospita una comunità borghese in cerca di piccolo eden periferico protetto da guardiano e presidi teconologici, le ricerche del mad doctor di turno (il dotto Hobes, appunto) partoriscono tali fallici baccelli, aggressivi ma non letali; l’effetto della loro infezione (che si propaga con tutti i crismi stilistici della non-morte cannibalesca, pur senza masticamento) è la totale rottura dei freni inibitori, la piena liberazione degli impulsi sessuali. Il succitato guardiano si tromba una bambina in ascensore, la quale ( gli “infetti”, al di fuori delle saturnali cui dà luogo ogni iniziazione, mantengono il pieno possesso delle competenze sociali, linguistiche, funzionali) ha poi a commentare che la cosa non le procura affatto ribrezzo, anzi.


Che sia proprio il dottor Hobbes, in altro contesto propugnatore di un patto sociale che lascia fuori di sé, sottomettendosi ad esso, l’arbitrio del potere, cui delega la soggettività di lupus in cambio di sicurezza e soggettività di diritto privato, ci dice molto di quel gioco di contraddizioni entro il quale il cinema di Cronenberg offre spunti sulla questione dell’identità. Nel film, Hobbes (che paga con la vita la propria creazione, in piena continuità con il filone Mary Shelley) produce scientificamente un batterio, un oggetto organico e “vitale”, attraverso cui l’uomo trascende i limiti socialmente imposti alla sua energia pulsionale indifferenziata. Trascende, non devasta, poiché non ritorna ad una condizione-bestia, semmai compie un malfermo passo sulla corda tesa verso l’oltreuomo. Ciò che libera l'uomo è ciò da cui l'uomo rifugge; la violenza che alberga platealmente nella massa, dà luogo ad orge sfrenate come a baci appassionati degni della migliore hollywood.


Attraverso la scienza, la liberazione degli impulsi avviene dentro la funzionalità del sociale. Colui che per buona parte del film si tenta di considerare l'eroe, peraltro senza mai molta convinzione da parte dello spettatore, finisce alla fine (nelle grinfie terrifiche di un paio di pezzi di figa nella piscina del plesso residenziale) per risultare ridicolo, farsesco. La scena finale, poi, della quale Martin Scorsese ha narrato in un'intervista il forte turbamento, non lascia scampo: la madiazione tecnico-scientifica dell'impulso libidico è già avvenuta, l'epidemia fallica ha già contagiato, la manipolazione dell'organico ha già raggiunto la gestione dell'identità. La definizione centralizzata e standandardizzata della morale (attraverso l'assenza stessa dei tabù primi su cui ogni sistema di proibizioni si manifesta, quelli sessuali; attraverso il "disposiivo di liberazione sessuale" delle società dei consumi), ormai già realizzata attraverso la tecnica, legittimata dalla scienza, si spande nella strade dela città; ancora un passaggio di livello: lo spettatore prende coscienza di essere situato nel day after rispetto ai fatti narrati, la tragedia moderna realizza la sua catastrofe attraverso un'identificazione totale e senza scampo, anzi dalla quale tutto il corso della poiesis aveva tenuto lo spettatore il più lontano possibile. alla fine tu scopri che il contagio è già avvenuto; ancora peggio: tu scopri, stringendoti lo stomaco, che non sei dalla parte dei buoni.


Dal punto di vista biopolitico, diventa interessante l'ambiguità richiamata a proposito del dottor Hobbes. Il teorico del Leviatano (quello "vero") definisce la società umana come una forma necessario di dominio sugli impulsi acquisitivi e antisociali. L'uomo è lupo per l'altro uomo, allo stato di natura. Quest'ultimo va pensato non come momento storico, precedente alla stipulazione del contratto, ma come possibilità sempre presente nella storia, possibilità dedotta per assurdo, che rivela la sua minaccia distruttiva ogni qualvolta si sgretola la struttura di potere cui è delegato l'ordine sociale. La paura diffusa dello status naturae, che tiene avvinto l'uomo al'instabilità totale, è la diretta emenazione della pari uccidibilità, la condizione di uguaglianza che caratterizza l'uomo "prima" che egli ceda la propria soggettività al leviatano, unico detentore del monopolio legittimo della violenza.
Hobbes delinea quindi l'ordine sociale come il frutto della repressione degli impulsi attraverso il contratto informato dal calcolo razionale: ciascuno limita la propria libertà, la paura che allo stato di natura è diffusa in tutti i punti della comunità ora è concentrata nel vaso di Pandora centrale della comunità, il sovrano che resta al di fuori del patto, colui dal quale la legge e l'ordine promanano, attraverso il monopolio della forza.
Il soggetto che ne deriva è quello atomistico e razionale su cui si impianterà la teoria liberale dello stato, l'immunità definisce i limiti dell'attività economica individuale, la repressione primaria è attuata, l'uomo è al sicuro.


In Cronenberg tornano i temi della sicurezza, della fondazione artificiosa dela comunità perfetta, del potere e del controllo, integrati nella riflessione sulla tecnica. Il teorico dell'unità politica artificiale diviene qui un funzionario delle moderne scienze biologiche; i batteri che la sua ricerca produce sono il prodotto tecnico di una scienza moderna ormai in grado di metabolizzare la liberazione degli impulsi sessuali all'interno della piena funzionalità del sistema sociale. La liberazione degli impulsi non divelle l'ordine sociale, ma lo conferma. Vengono in mente riflessioni pasoliniane sulla falsa tolleranza del nuovo fascismo della società dei consumi, le riflessioni di Foucault sul dispositivo di sessualità nella fase della iberazione del desiderio. La tecnologia penetra nell'organico, l'infezione si diffonde: la liberazione degli impulsi libidici non è il frutto di un'autocostruzione del sè, ma è il sintomo di un contagio. (e che cosa è il contagio nella modernità? la moda, i consumi, la necessità di imitarsi per definirsi e differenziarsi, la produzione in serie, l'informazione, il "tempo libero" - da che, poi?).


Il prodotto tecnico-organico penetra dentro l'uomo (fallicamente, s'intende), la violenza del contagio è rappresentata dalla forza soverchiante della massa aizzata; la libido, l'es, l'emotività sono pienamente oggettivati dalla scienza e dalla tecnica. La gestione degli impulsi sessuali nel Brave New World della borghesia urbana si diffonde in tutto il tessuto sociale.


Più approfonditi e complessi, gli stessi temi ritornano in "Existenz"(2001)

7 apr 2009

Figli di immigrati – un nuovo mercato per la psichiatria



Del 22 Marzo 2009
La Regione Lombardia finanzia lo screening di massa sui bambini degli immigrati
Il 6 marzo scorso si è svolto a Milano un convegno: "Dalla parte del bambino", promosso dall'IRCCS "E. Medea". Qualche giorno dopo viene annunciato che è stato presentato un progetto finanziato dall'Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia con un contributo complessivo di 2,7 milioni di euro per gli anni 2009-2011 finalizzato ad affrontare i problemi della salute mentale dei figli minorenni di immigrati nel Comune di Milano. ( v. Vita Magazine " Minori. La Lombardia attenta ai migrati con problemi psichici, 10 .03.2009- http://beta.vita.it/news/view/89943)Alcuni risultati riesumati dal vecchio Progetto Prisma realizzato dall'Istituto Medea, qualche anno fa, dove erano stati sottoposti a screening i bambini di diverse scuole di cinque regioni italiane al fine di individuarne i "disturbi mentali": Adhd ( defict di attenzione ed iperattività), ADD ( Deficit di attenzione), Disturbo Oppositivo-provocatorio, ecc., sono stati sufficienti a convincere l'Assessorato ad aprire le porte allo screening di massa dei figli in età infantile e preadolescenziali di immigrati, la componente più debole e meno informata della comunità, che difficilmente si opporrà o ne contesterà i risultati e le conseguenti soluzioni proposte. Le Unità Operative di Neuropsichiatra dell'Infanzia e dell'Adolescenza (Uonpia) di Milano e altri enti hanno presentato il progetto ed hanno già annunciato che il loro primo passo sarà un'analisi epidemiologica per diagnosticare disturbi mentali e di apprendimento attraverso test, uno screening di massa, su circa 60 mila bambini solo a Milano.Tutto questo malgrado in diverse regioni e a livello nazionale, constatando la pericolosità di queste iniziative psichiatriche siano stati emessi atti legislativi per vietare la somministrazione all'interno delle scuole di test o di questionari relativi allo stato psichico ed emozionale degli alunni. La Regione Piemonte con la legge n.21, la Provincia Autonoma di Trento con la legge n.4 del 2008, e la recente Circolare n.4226/P4° emessa dal Ministero dell'Istruzione. I centri UONPIA non sono scuole, non sono centri sociali, il neuropsichiatra infantile non è un‘insegnante, non è addestrato per risolvere le difficoltà di lingua e di integrazione che questi bambini possono avere. L'integrazione interculturale non è di competenza della neuropsichiatria.Le famiglie arrivano in Italia per garantire ai loro figli un futuro e possibilità migliori e le nostre Istituzioni danno loro diagnosi e terapie psichiatriche, facendo leva sulle difficoltà che un qualsiasi bambino in un paese straniero potrebbe avere e incanalandoli in un futuro di possibili pazienti psichiatrici.Gli stessi programmi attuati negli altri paesi come negli Usa, hanno portato quasi otto milioni di bambini ad essere etichettati con "disturbi mentali" e successive somministrazioni di potenti e pericolosi psicofarmaci. Nei soli Usa quasi 200 bambini sono morti a causa di trattamenti con psicofarmaci, fino al punto di indurre il Parlamento USA ad approvare una legge che attribuisce ai genitori di bambini etichettati il diritto di non accettare eventuali terapie o trattamenti che essi non condividono. Per non parlare di effetti collaterali come la violenza, vedi le innumerevoli stragi nelle scuole americane: le indagini hanno appurato che erano tutti sotto trattamento di psicofarmaci.
In Italia abbiamo già i primi casi di bambini etichettati Adhd , in cura con psicofarmaci che hanno tentato il suicidio. L'ultimo bollettino dell'AIFA (Agenzia Italiana del farmaco) a pagina sette informa circa le idee di suicidio di due bambini, una piemontese di 9 anni ed un bimbo sardo di 10 anni entrambi in trattamento con Atomoxetina nel 2008 , la bimba da sette mesi ed il bimbo da 10 mesi.
L'esperienza degli altri paesi e quanto sta avvenendo in Italia dovrebbe allarmarci ed indurci a non ripetere gli stessi errori. Chi ha in mano le sorti di migliaia di bambini non può ignorare e non documentarsi su questi fatti. Aprire le porte a programmi i cui risultati sono stati quelli di cui sopra è inaccettabile e non privo di conseguenze per tutti.
Nella situazione di crisi che stiamo vivendo le famiglie degli immigrati e le famiglieitaliane hanno bisogno di un vero aiuto, di istruzione, di dare un futuro migliore ai propri figli e potenziare le iniziative di sostegno linguistico ed educativo già esistenti.
Il CCDU ritiene che i test non devono essere fatti come screening, a tappeto, sulla popolazione infantile italiana — poiché questo viola la libertà dei cittadini ed è una intrusione dello stato nella famiglia.Purtroppo molte di queste iniziative nascondono interessi di case farmaceutiche e lobby psichiatriche volti a medicalizzare la scuola per trarne dei profitti economici. Invitiamo pertanto i genitori ad informarsi scrupolosamente su queste proposte ed a monitorare le attività didattiche per scoprire se tali iniziative vengono fatte sui propri figli.
da www.ccdu.org

5 apr 2009

Mai così tanti detenuti dai tempi di Togliatti

Erano 60.036 il 26 febbraio. Sono oggi 61.003. E' il record di detenuti nella storia della Repubblica dall'epoca dell'amnistia di Togliatti o quasi. In appena tre anni è ormai definitivamente svanito l'effetto indulto.Nel 2006, prima della clemenza approvata dal parlamento, i detenuti erano 60.710. Da allora a oggi sono aumentati a ritmi insostenibili:25mila nuovi detenuti in appena trenta mesi. Un record giustificabile solo se fosse aumentata esponenzialmente anche la criminalità o il contrasto delle forze dell'ordine. Ma così non è. Tutte le statistiche aggiornate confermano infatti che il numero complessivo dei reati denunciati è in calo, ed è rimasto sostanzialmente stabile il numero di nuovi ingressi dalla libertà, indice di un'ordinaria attività delle forze di polizia.Contro il sovraffollamento protestano gli agenti di tutte le sigle sindacali, dall'Osapp alla Cgil. Dai dati più aggiornati è evidente che la crescita dei detenuti è dovuta essenzialmente al combinato disposto di appena tre leggi ormai andate a regime: la Bossi-Fini sull'immigrazione (approvata nel 2002), la Fini-Giovanardi sulle droghe e la ex Cirielli sulla recidiva (approvate tra il 2005 eil 2006). Visto che in Italia un processo penale dura in media 3-4 anni, queste tre leggi «criminogene» iniziano ora a dispiegare i loro risultati inflattivi in termini di repressione penale e carceraria. Esse prevedono in sequenza: reclusione per lo straniero non comunitario che contravviene all'ordine di espulsione, pena aumentata se si è irregolari (questa è una novità dell'estate del 2008), equiparazione penale del consumatore abituale di droghe leggere allo spacciatore di droghe pesanti, aumento delle pene per chi traffica sostanze stupefacenti, più pene e meno benefici per i pluri recidivi. Secondo i dati Dap quasi due detenuti su cinque sono dentro per motivi legati alla criminalizzazione dell'uso delle droghe.In queste condizioni è inevitabile che il sovraffollamento raggiungacifre da capogiro. Nelle prigioni emiliane i posti letto regolamentarisono 2.274 e i detenuti presenti oltre 4.300, quasi il doppio. Carlo Giovanardi, sottosegretario con delega alle tossicodipendenze,nonché autore dell'omonima infausta legge sulle droghe insieme a Gianfranco Fini, è di recente andato a visitare il carcere di Modena. Immaginiamo che sicuramente avrà visto come per terra, nellecelle, vi sono materassi e coperte, perché i letti non sono sufficienti.Allo stesso modo accade dappertutto in giro per l'Italia.A Bolzano i detenuti vivono in dieci in una cella dove faticano a muoversi; i termosifoni non funzionano, e a Bolzano d'inverno non fa caldo. A Bari, invece, l'estateprossima sarà molto dura visto che in una cella prevista per un detenuto (nove metri quadrati) ce ne sono ben cinque. In Basilicata è stato chiesto di non inviare più reclusi da altre regioni avendo raggiunto il limite massimo di capienza tollerabile. Al carcere Marassi di Genova si arriva a sette persone in dodici metriquadri. I detenuti sono 700 sui 340 previsti e i detenuti fanno i turni per stare in piedi, per frequentare le scuole ma anche per accedere agli impianti sportivi durante le ore d'aria. In Campania ci sono 2mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. Nel 2009si sono registrati già tre suicidi. Il caso paradigmatico è costituito da Poggioreale con 1.200 detenuti in più rispetto alla capienza globaledi 1.400 posti letto.Ormai è difficile anche stare in piedi. In questo caos passa quasi inosservata la morte nel carcere di Foggia di Leonardo Di Modugno, 25 anni, impiccatosi nella sua cella. In una situazione disastrosa come quella attuale è indispensabile un controllo esterno, indipendente, delle condizioni di detenzione. Vista la latitanza parlamentare noi abbiamo costituito il nostro difensore civico (difensorecivico@associazioneantigone. it). Già si moltiplicano le segnalazioni sul sovraffollamento: trasferimenti coatti lontano da casa, assenza di progetti educativi, riduzione al minimo dei rapporti con gli operatori. E poi la violenza. Quella istituzionale e quella individuale. Di fronte a tutto questo è minimalista, inutile e sbagliato puntare sull'edilizia penitenziaria come fanno il ministro Alfano e il nuovo capo del Dap, nonché commissario straordinario alla costruzione di nuove carceri, Franco Ionta. Minimalista perché non si affrontano i nodi profondi del sovraffollamento, ossia l'ipertrofia penale.Inutile perché costruire un carcere è impossibile se contemporaneamente, in una situazione già disovraffollamento, continuano a crescere i detenuti. Sbagliato perché bisognerebbe puntare decisamente sulla depenalizzazione, sulla de-criminalizzazione e sulla decarcerizzazione.Di fronte all'emergenza carceraria va costruito un movimento di opinione che ci aiuti a resistere all'ondata di follia repressiva. Facciamo un invito a intellettuali, artisti, politici e giornalisti: andate in carcere, vedete cos'è oggi una galera e raccontatelo all'esterno. Scriveteci, noi saremo con voi.

di Patrizio Gonnella, Presidente Antigone
da ilmanifesto

2 apr 2009

DATI FASULLI PER I TEST ANTI-DROGA

Secondo la ricerca dell’Istituto superiore di sanità, anticipata da Repubblica il 27 marzo, il 40 per cento dei centri analisi ha fornito dati fasulli sui risultati dei test antidroga. . Leggi l'articolo di Pier Paolo Pani per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 28 gennaio 2009.

ROMA - Mario ha sei anni. Sua mamma gli ha tagliato una ciocca di capellie l' ha inviata ad un centro analisi per il drug test. L' esame antidroga ha fornito un risultato choc: secondo il laboratorio, Mario assume metadone, la sostanza che si dà agli eroinomani per disintossicarli gradualmente dalla dipendenza da eroina. Ovviamente, si tratta di un "falso positivo": il bambino non si droga, fa sport e studia dalle suore. Ma a scoprire che gli esami fatti sui capelli per individuarei figli tossici non sono assolutamente affidabili è una mamma particolare, Simona Pichini, primo ricercatore dell' Osservatorio epidemiologico droga, alcol e fumo dell' Istituto Superiore di sanità. Dopo il boom di richieste ai laboratori di genitori che vogliono sapere se i figli sono tossici (o di mariti e mogli che, nelle cause di separazione, fanno altrettanto nei confronti del rispettivo coniuge), l'Istituto superiore di sanità presieduto da Enrico Garaci ha deciso di sottoporre ad un controllo di qualità i laboratori di tutta Italia che effettuano analisi antidroga sui capelli. Finora, hanno aderito solo i laboratori pubblici, quelli privati (ce n' è addirittura uno Internet in Lombardia), si sono rifiutati. Visto l' allarme droga fra giovani confermato anche dai dati diffusi l' altro giorno dal Dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell' Interno (500 morti in un anno, raddoppio dei sequestri di cannabis, crescita di quelli di cocaina), il ricorso al drug test è diventato una moda. E un business milionario: ogni laboratorio ha una lista di attesa di cento esami al mese. E ogni test costa dai 150 ai 200 euro. Ma i risultati della ricerca dell' Osservatorio che Repubblica anticipa sono sconcertanti: il 40 per cento dei centri analisi ha fornito dati fasulli. Non solo sono state trovate tracce di metadone nei capelli del figlio della dottoressa Pichini, ma cocaina e cannabinoidi in campioni nei quali quelle sostanze non erano presenti. E, al contrario, non sono state rilevate tracce di sostanze stupefacenti laddove, invece, c' erano. Ecco i dettagli della ricerca. «Al controllo di qualità - ha spiegato la dottoressa Pichini - si sono sottoposti volontariamente cinquanta laboratori pubblici di tutta Italia. Di questi, il 62 % opera nel Nord Italia, il 33 % nel Centro e solo il 5 % nel Sud». «Nel corso dello studio - ha aggiunto la ricercatrice dell' Iss - è emerso come 4 laboratori su 10 abbiano fornito dati non corretti. Campioni "bianchi", nei quali non è presente alcuna sostanza di abuso, sono stati dichiarati positivi dal 33 % dei laboratori». La droga più frequentemente ritrovata quando non presente, secondo la ricerca dell' Iss, è la cocaina. Ma quei centri analisi hanno fornito anche risultati "falsi negativi" in circa il 10 per cento dei casi. «Se trovare una droga quando non c' è - sottolinea Pichini - è un grave problema, lo stesso può dirsi quando la sostanza è presente e non viene rilevata. Ciò accade soprattutto nei confronti delle anfetamine e dei cannabinoidi, sostanze che, per la natura intrinseca del capello, sono estremamente difficili da identificare». Solamente il 40 per cento dei laboratori sottoposti al controllo di qualità dall' Iss determina le anfetamine nei capelli, mentre solo il 40 per cento individua cannabinoidi. «Tra questi - precisa Pichini - il 10 per cento non è in grado di rilevare queste sostanze quando presenti nei campioni». E' ancora giusto, allora, il ricorso di massa a questi esami da parte di madri e padri preoccupati di avere figli tossicomani? Il controllo di qualità dell' Iss darebbe ragione a chi sostiene che non si affronta con il narcotest sui capelli il fenomeno della tossicodipendenza giovanile visto l' alto rischio di prendere un abbaglio. E visto pure l' alto rischio di alterare il delicato rapporto di fiducia fra genitori e figli. - ALBERTO CUSTODERO

da Repubblica, 27 marzo

fonte www.fuoriluogo.it


COME A GENOVA? UN MORTO CON MISTERO


E’ ancora fitto il mistero sul manifestante morto dopo i violenti scontri tra polizia e manifestanti nella City di Londra. L’uomo, sulla trentina di cui non si conosce ancora il nome e la nazionalita’,
sarebbe morto d’infarto - secondo fonti della polizia -, dopo esser stato costretto per ore dentro un cordone delle forze dell’ordine, senza la possibilita’ di lasciare la zona delle proteste.
Stando alla versione delle forze dell’ordine, la persona sarebbe stata rinvenuta da due medici della polizia in Saint Michael’s Alley, un vicoletto duecento metri a nordovest della Banca d’Inghlterra, attorno alle sette e mezza. I medici avrebbero cercato di rianimarlo ma non ci sarebbe stato niente da fare. Al momento non si ha nessuna versione alternativa dei fatti, ma nella notte si sono rincorse indiscrezioni –ancora tutte da verificare - che contrastano con la versione offerta dalle forze dell’ordine.
La morte del manifestante giunge dopo una giornata in cui la polizia inglese ha represso violentemente le manifestazioni contro il summit del G20 che hanno assediato la Banca d’Inghilterra. Almeno trentadue persone sono state arrestate durante gli scontri che sono continuati fino alla tarda serata con barricate e piccoli fuochi nella zona. Circa un centinaio di manifestanti sarebbero rimasti feriti negli scontri, alcuni con colpi alla testa. Solo un contuso invece tra la polizia che e’ stata bersagliata in maniera relativamente morbida dalla parte piu’ militante della manifestazione che ha tirato frutta, farina, vernice, e alcune bottiglie di vetro.
Le proteste che erano rimaste pacifiche fino alle due sono finite sotto la pressione di migliaia agenti venuti da tutta l’Inghilterra e di reparti anti-sommossa. Gruppi di manifestanti che dopo ore di protesta volevano lasciare l’area della City per tornare a casa o per partecipare ad altre manifestazioni nella zona sono stati costretti dentro cordoni indiscriminati eretti dagli agenti. Ai tentativi di rompere il cordonamento per abbandonare l’area della Banca d’Inghilterra, la polizia ha risposto con cariche, spray urticante e ha pure schierato agenti a cavallo.
Il Guardian e l’Independent hanno denunciato la brutalita’ delle forze dell’ordine, criticando in modo particolare l’uso della tattica di cordonamento da parte degli agenti. E’ prassi della polizia inglese nel caso di grandi manifestazioni, isolare gruppi di manifestanti e circondarle e trattenerle per ore in spazi stretti. L’utilizzo del cordonamento e’ considerato da molti come una pratica illegale che viola i diritti fondamentali della persona.
Durante le proteste di ieri attorno alla banca d’Inghilterra alcuni cordoni sono andati avanti per oltre sette ore, portando molti manifestanti all’esasperazione. E’ dopo ore passate in uno di questi cordoni che il manifestante morto ieri sarebbe deceduto.

di Paolo Gerbaudo
fonte www.ilmanifesto.it

1 apr 2009

Abou è il volto di un caso politico e sociale

Ora Abou sorride in una culla povera, dentro le case-alveare per immigrati clandestini o regolari di Pianura. È un neonato nero che non sa di avere ventisei giorni di vita e, alle spalle, già un'amara esperienza del mondo. Abou è il volto di un caso politico e sociale. Forse la prima volta in Italia in cui una norma - quella voluta dalla Lega nel pacchetto sicurezza, quella che invita i medici a denunciare i pazienti senza permesso di soggiorno: ma a tal punto controversa da avere spaccato persino i compattissimi deputati del Pdl - è stata applicata prima ancora di diventare tale. "Un caso illegittimo, gravissimo", denuncia l'avvocato napoletano Liana Nesta. "Delle due l'una - aggiunge il legale - o nell'ospedale napoletano Fatebenefratelli c'è un medico o un assistente sociale più realista del re che ha messo in pratica una legge non ancora approvata dagli organi della Repubblica; oppure qualcuno ha firmato un abuso inspiegabile ai danni di una madre e cittadina". Una storia su cui promettono battaglia anche gli operatori dell'associazione "3 febbraio", da sempre al fianco degli immigrati, anche clandestini, per le battaglie di dignità e rispetto. La storia di Abou e di sua madre Kante è il percorso sofferto di tante vite clandestine, costantemente in bilico tra vita e disperazione, morte e rinascita. Kante è vedova di un uomo ucciso, quattro anni fa, dalla guerra civile che dilania la Costa d'Avorio e la sua città di Abidjan. Rifugiatasi in Italia nel 2007, inoltra subito richiesta di asilo politico, che le viene negato due volte: e attualmente pende il ricorso innanzi al Tribunale di Roma contro quella bocciatura.Intanto, stabilitasi a Napoli, Kante si innamora di un falegname di Costa d‘Avorio, resta incinta, si fa curare la gravidanza difficile presso l'ospedale San Paolo, con sé porta sempre alcuni documenti e la fotocopia del passaporto, trattenuto in questura per un'istanza parallela di permesso di soggiorno, non ancora risolta. Quando - il 5 marzo scorso - Kante arriva all'ospedale Fatebenefratelli per partorire il suo bimbo ("al San Paolo non c'era un posto"), dal presidio sanitario scatta un fax verso il commissariato di polizia di Posillipo che chiede "un urgente interessamento per l'identificazione di una signora di Costa d'Avorio". Ovvero: la denuncia. Esattamente ciò che la contestatissima norma - voluta dalla Lega nell'ambito del pacchetto sicurezza, e già approvata al Senato - chiede. Proprio il nodo che ha provocato il dissenso di un centinaio di deputati del Pdl, lo scorso 18 marzo. In testa, la deputata Alessandra Mussolini, che guidava la rivolta con un esempio-limite: "Far morire una donna clandestina di parto perché non può andare in ospedale altrimenti i medici la denunciano? Eh, no. Inaccettabile".Aggiunge l'avvocato Nesta: "Siamo di fronte a un'iniziativa senza precedenti. Non è mai accaduto che una donna extracomunitaria, che si presenta al pronto soccorso con le doglie, ormai prossima al parto, venga segnalata per l'identificazione", spiega pacatamente Liana Nesta. E aggiunge: "Come se non bastasse, Kante non ha potuto allattare suo figlio nei suoi primi giorni del ricovero: lo ha visto per cortesia di alcuni sanitari che glielo hanno adagiato tra le braccia, ma non ha potuto allattarlo". La Nesta è una legale impegnata da anni nelle rivendicazioni dei diritti essenziali, al fianco di immigrati o di parenti di innocenti uccisi dalle mafie. L'ultima condanna, in ordine di tempo, la Nesta l'ha ottenuta a dicembre scorso, come avvocato di parte civile, per i killer di Gelsomina Verde, la ragazza innocente assassinata e poi data alle fiamme dai sicari di Scampia. Un'altra fragile vita per la quale invocare giustizia.

da La Repubblica