27 feb 2009

15% degli immigrati rinuncia alle cure

Immigrati preoccupati di essere segnalati come clandestini, in alcuni casi tanto da disertare i Pronto soccorso e gli ambulatori pubblici della Penisola. Le notizie diffuse nelle ultime settimane sull'emendamento al pacchetto sicurezza che consente ai medici di segnalare i clandestini alle forze dell'ordine, li ha allarmati e in parte allontanati dagli ospedali. Nelle dieci strutture sanitarie di Roma e Milano contattate dall'ADNKRONOS SALUTE si è infatti registrato un calo degli accessi di stranieri tra il 10% e il 15%. Ma se a Roma questo si è verificato solo nei giorni appena successivi al via libera del Senato alla norma - grazie alla pronta ed efficace campagna di informazione che ha avuto un effetto tranquillizzante - a Milano la riduzione è rimasta costante, stabilizzandosi intorno al 15%. E in alcune strutture del Nord di recente ha sfiorato il 50%.

Nessuna variazione nel numero degli accessi si è invece registrata in alcuni ospedali e ambulatori di riferimento per gli immigrati. In queste strutture i medici segnalano soprattutto "molta preoccupazione". Non mancano, inoltre, i primi casi di pazienti che sono arrivati al Pronto soccorso già in condizioni gravi, spiegando di aver rimandato la richiesta di cure il più possibile, proprio perché clandestini.

Ecco quindi lo scenario, struttura per struttura, partendo da Milano per arrivare a Roma:

NIGUARDA - Cifre precise ancora non sono disponibili, "ma la sensazione è che al pronto soccorso dell'Ospedale Niguarda si sia registrato un calo del 15-20% negli accessi di immigrati", in seguito alle notizie dell'emendamento al pacchetto sicurezza sulle cure mediche ai clandestini. Parola del direttore del pronto soccorso, Daniele Coen, che ricorda come la struttura vanti 5mila accessi l'anno, con il 5% dei pazienti che si presentano ogni giorno costituito proprio da stranieri. Oltre ai numeri in lieve calo, comincia a diffondersi la preoccupazione, e c'è chi rinuncia alle cure o le rimanda per timore di una segnalazione. "Come nel caso di un paziente giunto nei giorni scorsi già molto grave, e poi ricoverato in rianimazione per una severa infezione con necrosi - racconta Coen - Quando gli abbiamo chiesto perché non si fosse presentato prima, ha riposto che era clandestino e aveva paura".

POLICLINICO E MANGIAGALLI - E' di circa il 15% il calo stimato degli accessi degli stranieri al pronto soccorso e agli ambulatori dell'ospedale Maggiore Policlinico di Milano, in seguito al via libera dell'emendamento al 'pacchetto sicurezza sui clandestini'. Una lieve riduzione iniziata fin dalla diffusione delle prime notizie sul provvedimento, che però non sembra aver toccato l'ospedale Mangiagalli. D'altro canto qui, nel caso si presenti una straniera irregolare in attesa di un figlio, viene fornita alla donna la documentazione per richiedere il permesso temporaneo.

SAN PAOLO - Qui il calo di accessi è notevole, repentino e recente."Fino a tutto gennaio - spiega infatti Cesare Bernasconi, primario del Pronto soccorso dell'azienda ospedaliera San Paolo di Milano - non abbiamo verificato una diminuzione statisticamente degna di nota degli accessi di cittadini stranieri 'irregolari' al nostro pronto soccorso, accessi che stimiamo siano valutabili nel 12-15% circa del totale. Diversa la situazione delle ultime due settimane. In questo periodo, infatti - precisa il medico - abbiamo registrato un calo degli accessi alla nostra struttura da parte di questa fascia di utenti che si aggira intorno al 50%". La struttura è in prima linea nel capoluogo lombardo nell'assistenza agli stranieri, e vanta tra l'altro un ambulatorio per le donne immigrate.

SAN CARLO BORROMEO - Nessun calo di accessi, a gennaio 2009 rispetto allo stesso mese dell'anno prima, nell'ambulatorio dei codici bianchi (che dovrebbero andare dal medico di famiglia) dell'ospedale San carlo Borromeo di Milano. "Si tratta di una struttura particolarmente gettonata dagli immigrati, in cui il 32% degli accessi è composto proprio da stranieri extracomunitari - spiega Giovanni Ruggeri, responsabile della comunicazione della struttura - Gli immigrati che non vogliono farsi riconoscere, e che dunque classifichiamo come Stp (stranieri temporaneamente presenti), rappresentano l'1,80% di questo 32%, cioé 180 persone in un mese. Ebbene, se esaminiamo la proiezione del mese di gennaio 2009 rispetto a gennaio 2008, si registra un calo dello 0,16% degli irregolari". Dunque una riduzione minima. "Invece una certa preoccupazione c'è: molti sempre più spesso chiedono informazioni - spiega Ruggeri - vogliono sapere come si comporta l'ospedale rispetto a questa misura prevista dall'emendamento al pacchetto sicurezza. E noi - conclude - li rassicuriamo".

OSPEDALE GRASSI DI OSTIA (ROMA) - Un'area della Capitale con un'alta concentrazione di immigrati è la zona del litorale romano. Significativo è quindi il dato emerso all'ospedale Grassi di Ostia dove, sostanzialmente, l'emendamento leghista non ha prodotto scossoni sul numero degli accessi di immigrati al Pronto soccorso. A parte i primi due-tre giorni dopo il sì del Senato al provvedimento. "Dopo l'ok di Palazzo Madama - spiega il direttore sanitario Lindo Zarelli - siamo passati da circa 35 accessi al giorno a meno di 20. Considerando sia il Pronto soccorso generale che quello ostetrico. Ma dopo un'accurata campagna di informazione sui media, e l'affissione in ospedale di cartelli e locandine, gli immigrati hanno capito che qui nessuno di loro rischiava di essere segnalato alle forze dell'ordine".

SERVIZIO DI MEDICINA SOLIDALE E DELLE MIGRAZIONI (POLICLINICO TOR VERGATA) - In questa struttura, di assoluto riferimento per gli immigrati, la proposta leghista non ha prodotto nessun effetto. Almeno da un punto di vista strettamente numerico. La media degli accessi all'ambulatorio è infatti rimasta stabile: circa 50 al giorno, di cui il 70% immigrati, soprattutto donne. Qualcosa però è cambiato. "Questa proposta della Lega e il clima di intolleranza che si respira nel nostro Paese - spiega la responsabile del servizio, Lucia Ercoli - hanno generato molta preoccupazione tra gli stranieri, clandestini e non. Molti, durante le visite, ci hanno confessato di voler abbandonare l'Italia".

SAN GALLICANO - Un altro centro di riferimento è la struttura complessa di medicina preventiva delle migrazioni, del turismo e di dermatologia tropicale del San Gallicano, a cui si rivolgono circa 180 persone al giorno, di cui l'85% stranieri. Anche qui l'effetto dell'emendamento leghista è svanito in fretta. "Nei due giorni successivi al via libera del Senato c'è stata - spiega il primario della struttura, Luigi Toma - una riduzione del 10% del numero degli stranieri. Ma subito dopo, grazie anche al nostro lavoro di informazione, tutto è tornato alla normalità. Abbiamo spiegato bene a tutti che noi medici non ci sentiamo di segnalare i clandestini. Non è il nostro compito".

POLICLINICO UMBERTO I - Nessuna sostanziale variazione anche al Policlinico Umberto I di Roma. Qui il numero degli stranieri che chiede soccorso sanitario è stabile sopra ai 200. Per l'esattezza 231 nei primi dieci giorni di febbraio, 269 nei primi dieci giorni di gennaio, e 222 nella prima decade di dicembre 2008. Anche riguardo i ricoveri i dati sono abbastanza allineati: 34 dal primo al dieci febbraio, 40 nei primi dieci giorni di gennaio, 34 nella prima decade dello scorso dicembre.

SAN CAMILLO FORLANINI - Qui a chiedere soccorso e cure sono più di 100 stranieri al giorno. Confrontando però la decade 7-17 febbraio di quest'anno con quella del 2008 si nota un leggero calo degli accessi. Se quest'anno, a varcare l'ingresso del Pronto soccorso del San Camillo sono stati infatti 111 stranieri, immigrati e non, l'anno scorso, nello stesso periodo, erano 132.Immigrati preoccupati di essere segnalati come clandestini, in alcuni casi tanto da disertare i Pronto soccorso e gli ambulatori pubblici della Penisola. Le notizie diffuse nelle ultime settimane sull'emendamento al pacchetto sicurezza che consente ai medici di segnalare i clandestini alle forze dell'ordine, li ha allarmati e in parte allontanati dagli ospedali. Nelle dieci strutture sanitarie di Roma e Milano contattate dall'ADNKRONOS SALUTE si è infatti registrato un calo degli accessi di stranieri tra il 10% e il 15%. Ma se a Roma questo si è verificato solo nei giorni appena successivi al via libera del Senato alla norma - grazie alla pronta ed efficace campagna di informazione che ha avuto un effetto tranquillizzante - a Milano la riduzione è rimasta costante, stabilizzandosi intorno al 15%. E in alcune strutture del Nord di recente ha sfiorato il 50%.

Nessuna variazione nel numero degli accessi si è invece registrata in alcuni ospedali e ambulatori di riferimento per gli immigrati. In queste strutture i medici segnalano soprattutto "molta preoccupazione". Non mancano, inoltre, i primi casi di pazienti che sono arrivati al Pronto soccorso già in condizioni gravi, spiegando di aver rimandato la richiesta di cure il più possibile, proprio perché clandestini.

Ecco quindi lo scenario, struttura per struttura, partendo da Milano per arrivare a Roma:

NIGUARDA - Cifre precise ancora non sono disponibili, "ma la sensazione è che al pronto soccorso dell'Ospedale Niguarda si sia registrato un calo del 15-20% negli accessi di immigrati", in seguito alle notizie dell'emendamento al pacchetto sicurezza sulle cure mediche ai clandestini. Parola del direttore del pronto soccorso, Daniele Coen, che ricorda come la struttura vanti 5mila accessi l'anno, con il 5% dei pazienti che si presentano ogni giorno costituito proprio da stranieri. Oltre ai numeri in lieve calo, comincia a diffondersi la preoccupazione, e c'è chi rinuncia alle cure o le rimanda per timore di una segnalazione. "Come nel caso di un paziente giunto nei giorni scorsi già molto grave, e poi ricoverato in rianimazione per una severa infezione con necrosi - racconta Coen - Quando gli abbiamo chiesto perché non si fosse presentato prima, ha riposto che era clandestino e aveva paura".

POLICLINICO E MANGIAGALLI - E' di circa il 15% il calo stimato degli accessi degli stranieri al pronto soccorso e agli ambulatori dell'ospedale Maggiore Policlinico di Milano, in seguito al via libera dell'emendamento al 'pacchetto sicurezza sui clandestini'. Una lieve riduzione iniziata fin dalla diffusione delle prime notizie sul provvedimento, che però non sembra aver toccato l'ospedale Mangiagalli. D'altro canto qui, nel caso si presenti una straniera irregolare in attesa di un figlio, viene fornita alla donna la documentazione per richiedere il permesso temporaneo.

SAN PAOLO - Qui il calo di accessi è notevole, repentino e recente."Fino a tutto gennaio - spiega infatti Cesare Bernasconi, primario del Pronto soccorso dell'azienda ospedaliera San Paolo di Milano - non abbiamo verificato una diminuzione statisticamente degna di nota degli accessi di cittadini stranieri 'irregolari' al nostro pronto soccorso, accessi che stimiamo siano valutabili nel 12-15% circa del totale. Diversa la situazione delle ultime due settimane. In questo periodo, infatti - precisa il medico - abbiamo registrato un calo degli accessi alla nostra struttura da parte di questa fascia di utenti che si aggira intorno al 50%". La struttura è in prima linea nel capoluogo lombardo nell'assistenza agli stranieri, e vanta tra l'altro un ambulatorio per le donne immigrate.

SAN CARLO BORROMEO - Nessun calo di accessi, a gennaio 2009 rispetto allo stesso mese dell'anno prima, nell'ambulatorio dei codici bianchi (che dovrebbero andare dal medico di famiglia) dell'ospedale San carlo Borromeo di Milano. "Si tratta di una struttura particolarmente gettonata dagli immigrati, in cui il 32% degli accessi è composto proprio da stranieri extracomunitari - spiega Giovanni Ruggeri, responsabile della comunicazione della struttura - Gli immigrati che non vogliono farsi riconoscere, e che dunque classifichiamo come Stp (stranieri temporaneamente presenti), rappresentano l'1,80% di questo 32%, cioé 180 persone in un mese. Ebbene, se esaminiamo la proiezione del mese di gennaio 2009 rispetto a gennaio 2008, si registra un calo dello 0,16% degli irregolari". Dunque una riduzione minima. "Invece una certa preoccupazione c'è: molti sempre più spesso chiedono informazioni - spiega Ruggeri - vogliono sapere come si comporta l'ospedale rispetto a questa misura prevista dall'emendamento al pacchetto sicurezza. E noi - conclude - li rassicuriamo".

OSPEDALE GRASSI DI OSTIA (ROMA) - Un'area della Capitale con un'alta concentrazione di immigrati è la zona del litorale romano. Significativo è quindi il dato emerso all'ospedale Grassi di Ostia dove, sostanzialmente, l'emendamento leghista non ha prodotto scossoni sul numero degli accessi di immigrati al Pronto soccorso. A parte i primi due-tre giorni dopo il sì del Senato al provvedimento. "Dopo l'ok di Palazzo Madama - spiega il direttore sanitario Lindo Zarelli - siamo passati da circa 35 accessi al giorno a meno di 20. Considerando sia il Pronto soccorso generale che quello ostetrico. Ma dopo un'accurata campagna di informazione sui media, e l'affissione in ospedale di cartelli e locandine, gli immigrati hanno capito che qui nessuno di loro rischiava di essere segnalato alle forze dell'ordine".

SERVIZIO DI MEDICINA SOLIDALE E DELLE MIGRAZIONI (POLICLINICO TOR VERGATA) - In questa struttura, di assoluto riferimento per gli immigrati, la proposta leghista non ha prodotto nessun effetto. Almeno da un punto di vista strettamente numerico. La media degli accessi all'ambulatorio è infatti rimasta stabile: circa 50 al giorno, di cui il 70% immigrati, soprattutto donne. Qualcosa però è cambiato. "Questa proposta della Lega e il clima di intolleranza che si respira nel nostro Paese - spiega la responsabile del servizio, Lucia Ercoli - hanno generato molta preoccupazione tra gli stranieri, clandestini e non. Molti, durante le visite, ci hanno confessato di voler abbandonare l'Italia".

SAN GALLICANO - Un altro centro di riferimento è la struttura complessa di medicina preventiva delle migrazioni, del turismo e di dermatologia tropicale del San Gallicano, a cui si rivolgono circa 180 persone al giorno, di cui l'85% stranieri. Anche qui l'effetto dell'emendamento leghista è svanito in fretta. "Nei due giorni successivi al via libera del Senato c'è stata - spiega il primario della struttura, Luigi Toma - una riduzione del 10% del numero degli stranieri. Ma subito dopo, grazie anche al nostro lavoro di informazione, tutto è tornato alla normalità. Abbiamo spiegato bene a tutti che noi medici non ci sentiamo di segnalare i clandestini. Non è il nostro compito".

POLICLINICO UMBERTO I - Nessuna sostanziale variazione anche al Policlinico Umberto I di Roma. Qui il numero degli stranieri che chiede soccorso sanitario è stabile sopra ai 200. Per l'esattezza 231 nei primi dieci giorni di febbraio, 269 nei primi dieci giorni di gennaio, e 222 nella prima decade di dicembre 2008. Anche riguardo i ricoveri i dati sono abbastanza allineati: 34 dal primo al dieci febbraio, 40 nei primi dieci giorni di gennaio, 34 nella prima decade dello scorso dicembre.

SAN CAMILLO FORLANINI - Qui a chiedere soccorso e cure sono più di 100 stranieri al giorno. Confrontando però la decade 7-17 febbraio di quest'anno con quella del 2008 si nota un leggero calo degli accessi. Se quest'anno, a varcare l'ingresso del Pronto soccorso del San Camillo sono stati infatti 111 stranieri, immigrati e non, l'anno scorso, nello stesso periodo, erano 132.

22 feb 2009

COMUNICATO POLITICO

I partiti politici sono morti. I cittadini si devono staccare dai morti finchè sono in tempo. Veltrusconi è nato morto. Un tentativo per garantire gli interessi della classe politica e delle lobby. Non può durare. Veltrusconi sono due gemelli siamesi. Se li separi muoiono entrambi. Oggi Ueltròn, domani lo psiconano. Le giovani generazioni e i cittadini onesti non possono affidare il loro futuro alla faccia di Franceschini o al ghigno di D'Alema. Al nulla di Fassino e di Rutelli. Alla politica da bassa cucina di Arcore di Violante e della Finocchiaro. Guardate quelle facce. Non rappresentano più nulla. Il loro programma si chiama sopravvivenza. Vogliono durare, si sentono indispensabili. Lo sono solo a sè stessi. Iscritti al partito in tenera età non conoscono il prezzo di un litro di latte, non hanno mai saputo cosa vuol dire non avere uno stipendio, essere precari, disoccupati. Lavorare! Hanno volato alto, assistiti dalla grazia, dallo spirito santo Scalfari, dal divino Carlo De Benedetti, dalle cooperative rosse, ma anche bianche. L'ideologia e i Grandi Temi, il primato della Politica, la superiorità intellettuale, il giusto distacco dal Paese reale. Le Bicamerali con il piduista e le frequenze radiotelevisive regalate a Testa d'Asfalto. In cambio di cosa Violante? Cosa vi ha dato in cambio? Lontano dalle energie rinnovabili, dal conflitto di interessi, dalla corruzione interna dei Del Turco e dei Bassolino, dal CIP6 regalato ai petrolieri, dall'informazione libera, dalle piazze Navona e Farnese, dai precari, dalla legge Treu/Biagi, dai morti sul lavoro. Il PD non è più un'alternativa, non lo è mai stata. E' una nave che affonda con le pantegane che fuggono in cerca di una scialuppa di salvataggio. Abbiamo una grande opportunità: liberarci per sempre di questa gente. Faccio un appello a tutti gli italiani che vogliono un cambiamento: create una Lista Civica a Cinque Stelle, iscrivetevi a una Lista Civica a Cinque Stelle, fondate un MeetUp. Prendete in mano il vostro futuro. A giugno si vota nei Comuni d'Italia, può essere la nascita di un nuovo movimento nazionale a Cinque Stelle. Libero dai cialtroni, dai professionisti della politica che nessuno ha eletto. Questo Parlamento è illegittimo, incostituzionale, antidemocratico. Il programma dei Comuni a Cinque Stelle lo state creando voi attraverso il blog e con le vostre mail. L'otto marzo sarà presentato a Firenze insieme alla Carta di Firenze. Il Rinascimento è partito da lì. L'Italia merita un Nuovo Rinascimento. Questo comitato di affari della Bolognina ha preferito far perdere Soru in Sardegna e Costantini in Abruzzo piuttosto che avviare un cambiamento che li avrebbe perduti. Hanno guadagnato qualche settimana. Che differenza c'è tra il PDmenoelle che candida Bassolino alle europee e il PDL che propone Mastella? Tra il condannato in via definitiva Carra del PDmenoelle e Ciarrapico del PDL? Ci hanno chiamati populisti, demagoghi, qualunquisti. Peggio di Mussolini, terroristi, senza un programma. Leggetevi il programma politico di questo blog: "Le Primarie dei Cittadini". Lo consegnai a Romano Prodi nel 2006. Se lo avesse attuato sarebbe ancora a Palazzo Chigi. Diffondete questo appello. Loro non molleranno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

Ps1: L'incontro nazionale delle Liste dei Comuni a Cinque Stelle si terrà a Firenze, al Saschall Teatro, domenica 8 marzo 2009. Iscriviti e partecipa al Forum.
Ps2: Domani , domenica 22 febbraio, verso le 17.30, sarò a Chiaiano per l'incontro pubblico sulla discarica

fonte www.beppegrillo.it

PIAZZA FARNESE, ROMA. MANIFESTAZIONE DEL 21.02.09

"PASSEGGIATE CON EX-CARABINIERI"

Ronde, il Quirinale prende le distanze

Il governo vara il decreto anti-stupri che legalizza i «volontari della sicurezza». Maroni: «Nessun ostacolo e piena intesa con il Colle». Ma poco dopo una nota del Quirinale lo smentisce: «Sui contenuti del decreto la responsabilità è del governo». Berlusconi attacca il parlamento: «Troppo lento, decreti essenziali»

Il nuovo scontro istituzionale si consuma sul decreto anti-stupri, usato dal governo anche per legalizzare le ronde. E, in particolare, sulle parole con cui il ministro degli Interni, nel corso della conferenza stampa tenuta ieri a palazzo Chigi per annunciare il varo del provvedimento, lascia intendere un'intesa con il Quirinale sui contenuti del testo. Da parte di Napolitano, dice infatti Maroni, non c'è stato «alcun veto» sul decreto legge, il cui testo «è stato concordato» con il Colle senza «nessuna difficoltà, obiezione o forzatura di alcun tipo».
Parole che sottintendono un implicito via libera di Napolitano alle nuove misure contro le violenze sessuali, ma anche al nuovo giro di vite contro gli immigrati e alle ronde, e che invece suscitano la reazione del Colle. Passano poche ore, infatti, e una nota del Quirinale smentisce Maroni e prende clamorosamente le distanze dal decreto. Per quanto riguarda il provvedimento approvato, si spiega, resta «l'autonomia ed esclusiva responsabilità del governo». Poi segue una precisa ricostruzione dei compiti del Quirinale che, di fronte a un decreto legge, accetta «in uno spirito di leale collaborazione istituzionale» di svolgere «consultazioni informali» per verificarne i profili di costituzionalità. Ma, tiene comunque a precisare il Colle, «resta naturalmente l'autonomia ed esclusiva responsabilità del governo per le scelte di indirizzo contenute nel provvedimento di urgenza». Il tutto mentre Silvio Berlusconi anche ieri è tornato a prendersela con i tempi lunghi del parlamento e ribadito la necessità per il governo di poter varare tutti i decreti che ritiene necessari.
Dopo il caso di Eluana Englaro, ecco che un altro decreto fa improvvisamente rialzare la tensione tra palazzo Chigi e Quirinale. E dire che la giornata per il governo era cominciata bene, con il consiglio dei ministri che licenziava il decreto anti-stupri con dentro i due punti su cui il Viminale ha premuto di più in questi giorni. Il prolungamento dei tempi di detenzione nei Cie, che passano da due a sei mesi, e la legalizzazione delle ronde. Anche se, quest'ultime, sottoposte a vincoli maggiori di quanti inizialmente avrebbe voluto la Lega. Cambiamenti frutto anche delle perplessità espresse nei giorni scorsi dal Quirinale quando proprio al ministro degli Interni, salito due volte per illustrare i contenuti del decreto, Napolitano aveva espresso tutti i suoi dubbi sulla incostituzionalità delle ronde e su come queste potessero mettere in discussione il lavoro delle forze dell'ordine. Al punto che dopo il primo incontro di lunedì scorso, le ronde sembravano essere scomparse dal decreto. Salvo poi riapparire, in una forma più soft e sottoposte al controllo dei prefetti. Modifiche rivendicate soprattutto da An.
Da parte sua il presidente della Repubblica ha quindi cercato in tutti i modi di evitare un nuovo conflitto con il governo. Al punto che probabilmente la presa di distanze di ieri - contrariamente a quanto avvenuto il 6 febbraio scorso con il decreto su Eluana - difficilmente arriverà fino al punto di non fargli firmare il provvedimento. Anche se Napolitano non ha mai fatto mistero di preferire la via parlamentare a quella della legislazione d'urgenza.
Proprio quello che invece Berlusconi non sembra volere. Due settimane fa, quando si vide respingere il decreto sul Eluana, il presidente del consiglio minacciò di cambiare la Costituzione, arrivando a definirla (poi negando) «sovietica». Poi l'incontro di martedì con Napolitano per un riavvicinamento ufficiale, ma a quanto pare la ruggine era, ed è rimasta tutta, insieme all'insofferenza per quel potere di firma affidato al capo dello Stato.
Non a caso ieri Berlusconi è tornato all'attacco lamentandosi per i tempi lunghi del parlamento. I decreti legge, ha detto prima ancora di illustrare i contenuti del decreto, sono uno strumento «essenziale» perché «un governo possa intervenire tempestivamente, legiferando con norme che immediatamente siano applicabili e quindi possano consentire dei risultati nelle situazioni che si manifestano e che richiedono provvedimenti tempestivi».
Il premier ha poi spiegato che alcune delle norme confluite nel decreto approvato ieri erano già state presentate al parlamento. «Ma i tempi che il parlamento impiega per approvare queste norme si dichiarano da soli».
Fino a ieri sera tardi, invece, nessuna replica alla nota del Quirinale. Il che non significa che la pace sia fatta.

da www.ilmanifesto.it

21 feb 2009

Simmetrie (di Pino Corrias)

Il Tribunale di Milano condanna David Mills a 4 anni e 6 mesi per essersi fatto corrompere con 600 mila dollari. Il segretario del pd Walter Veltroni si dimette dopo la pesante sconfitta in Sardegna dove la destra ha vinto con 9 punti percentuali di vantaggio e il pd è crollato di 12 punti.David Mills confessò in una lettera al proprio commercialista e poi ai magistrati italiani che i soldi erano il risarcimento per una sua falsa testimonianza che scagionava Silvio Belrusconi in due processi. Walter Veltroni si dimette dicendo: “”Per molti sono un problema”.David Mills nel corso del processo ritratta, “non era Silvio Berlusconi il corruttore”. Ma il tribunale non gli crede. Walter Veltroni godendo di molta credibilità, ha perso le elezioni politiche del 13 aprile 2008, poi ha perso la poltrona di sindaco di Roma ceduta a Rutelli che a sua volta l’ha ceduta a Gianni Alemanno, poi ha perso le amministrative in Abruzzo e infine quelle in Sardegna. David Mills alla lettura della sentenza di primo grado si è dichiarato “molto deluso”. Walter Veltroni dicendo che le sue dimissioni “sono irrevocabili”, si dichiara “molto deluso”. Se David Mills è corrotto, chi è il corruttore? Se Walter Veltroni si dimette, chi sarà a sostituirlo?Il tribunale di Milano non può stabilirlo per via del Lodo Alfano che funziona come un ordine. Nemmeno il pd può stabilirlo, funzionando nel pieno disordine. Mills non si muoverà da Londra.Veltroni forse se ne andrà in Africa. Tutta la destra si è mobilitata contro la sentenza giudiziaria. Tutte le sentenze della politica si sono mobilitate contro la sinistra.

SUL CASO MILLS...E FU SILENZIO (MARCO TRAVAGLIO)

Per il Tribunale di Milano l'avvocato David Mills, ex consulente della Fininvest di Berlusconi, è stato corrotto con 600 mila dollari provenienti dalla Fininvest di Berlusconi per testimoniare il falso in due processi a carico di Berlusconi. Notizia davvero sorprendente, visto che Mills aveva confessato tutto in una lettera al suo commercialista (“ho tenuto Mr B. fuori da un mare di guai nei quali l’avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo”) e poi alla Procura di Milano. Mistero fitto sul nome di Mr.B, cioè del corruttore. Il sito del Corriere, attanagliato da dubbi atroci, titola: “I giudici di Milano: Mills fu corrotto”. Da chi, non è dato sapere. Labili indizi, secondo voci di corridoio, condurrebbero a un nano bitumato, che poi era l’altro imputato nel processo, ma è riuscito a svignarsela appena in tempo con una legge incostituzionale, dunque firmata in meno di 24 ore dal Quirinale nell’indifferenza della cosiddetta opposizione. Ora Mills dichiara: “Mi è stato raccomandato di non fare commenti”. Da chi, è un mistero. Purtroppo l’ignoto raccomandatore s’è scordato di tappare la bocca anche ai suoi innumerevoli portavoce, che han commentato la sentenza come se avessero condannato lui: “Condanna politica e a orologeria”. Anche la Rai s’è regolata come se la condanna riguardasse il padrone, cioè il premier: infatti non ha inviato nemmeno una videocamera amatoriale a riprendere la lettura della sentenza. Uomini di poca fede: non han capito che Berlusconi non c’entra, che Mills s’è corrotto da solo. Infatti, subito dopo la sentenza, non s’è dimesso il presidente del Consiglio. S’è dimesso il capo dell’opposizione.

19 feb 2009

"LE SUE PAROLE CI OFFENDONO"

“Davvero lo ha detto?” ci chiedono i colleghi argentini, e i funzionari dell'ambasciata che devono riferire al governo di Buenos Aires. Lo ha detto. Adesso c'è anche il video, fino a mercoledì pomeriggio c'era solo la nostra cronaca di quello strano venerdì sera al palasport di Cagliari, con un premier proteso in un grande show personale, “barzellette, cazzottini, battute e battutacce”, scrivemmo. Si passava dalla sua statura “sottovalutata”, a sentir lui, al caso di Eluana Englaro, con la stessa leggerezza. Dalle prese in giro di Soru fino al pezzo sui desaparecidos, “agghiacciante”, lo definimmo.
Quelle righe sono state riprese e riaffermate in patria dal quotidiano di Buenos Aires, Clarin, in una corrispondenza da Roma che cita il nostro servizio. «Erano belle giornate, li facevano scendere dall'aereo...”. Per altro si tratta di una battuta già proposta in altre occasioni. In Argentina la gente si arrabbia: quel riferimento ai “voli della morte”, tramite i quali i militari nell'ultima dittatura (1976-83) gettavano nelle acque del Rio de la Plata i sequestrati ancora vivi e addormentati fa il giro dei quotidiani e dei siti internet di informazione. L'ambasciata si muove per recuperare i video dell'esibizione, la stampa chiede conto. E il governo italiano, interpellato dal Clarin, si rifugia nella solita spiegazione: “Si tratta di un grande equivoco. Il presidente del Consiglio voleva proprio sottolineare l'efferatezza dei crimini commessi contro i dissidenti e la tragedia dei desaparecidos per spiegare come si sentisse offeso ed insultato da quei suoi oppositori che lo paragonano ai dittatori”.

Noi testimoni di quella giornata ricordiamo il tono ilare del momento, le risa del premier, subito amplificate dalla platea, l'insistere sulla ridicolizzazione della tragedia, “la bella giornata”, “prego, uscite a prendere aria”...tanto che davanti alle precisazioni del Governo il Clarin (in un articolo richiamato in prima pagina dal titolo: “Berlusconi macabro coi desaparecidos”) è perplesso: “non è chiara la ragione per la quale Berlusconi avrebbe parlato così dei desaparecidos”. Vogliono parole nuove dal premier, come chiede la presidente delle Nonne di Plaza de Mayo, Estela de Carlotto, ha per esempio detto di «sentirsi offesa» dopo aver letto quanto riferito dal quotidiano. «Nei confronti degli argentini - ha ricordato - c'è sempre stata grande solidarietà, sia dai precedenti governi italiani sia da parte della giustizia». Ma queste parole non arrivano, anzi, in serata parte l'invettiva di Palazzo Chigi: «Un attacco calunnioso e assolutamente ingiustificato, che provoca indignazione» è scritto in una nota. «Polemiche gonfiate su un finto caso Argentina. Le parole del Presidente del Consiglio sono state, infatti, completamente stravolte e addirittura rovesciate, quando era chiarissimo che egli stava sottolineando la brutalità dei voli della morte messi in opera dalla dittatura argentina di quel tempo», conclude la nota.
Cosa ha detto Berlusconi è visibile e ascoltabile. Non è difficile farsi un'opinione, vedendo il premier dire: “Li portavano in aereo con un pallone”, e con la mano simulare la tenuta della palla... “Aprivano lo sportello...(e mima l'azione, in puro cabaret)....E se era una bella giornata li mandavano fuori a giocare” e ride, e la platea ride anch'essa, a comando, mentre lì vicino il neogovernatore Ugo Cappellacci ed Emilio Floris, sindaco di Cagliari, hanno una faccia tetra. “Fa ridere e invece è drammatico”, chiude il premier.
No, non fa ridere. E non c'è stata solo la presa di posizione della Carlotto. Tutti i familiari dei desaparecidos argentini stamane si sono detti «offesi» dalle dichiarazioni di Berlusconi. «Scherzare sui desaparecidos e i «voli della morte» non è ammissibile», ha detto Vera Jarach, ricordando che si tratta di «delitti di lesa umanità commessi dal terrorismo di Stato» tra il 1976 e il 1983, durante l'ultima dittatura argentina. La Jarach, nata a Milano, è madre di Franca, desaparecida quando aveva 18 anni. Angela "Lita" Boitano, di famiglia veneta, madre di due figli (Miguel Angel e Adriana) scomparsi, si è detta «indignata» e «sorpresa» dalle presunte dichiarazioni, precisando di aver chiesto un incontro all'ambasciatore italiano a Buenos Aires.

Che è avvenuto. A quanto si apprende da fonti argentine, il ministero degli esteri di Buenos Aires ha convocato l'ambasciatore italiano Stefano Ronca. Il quale ha sottolineato che c'è l'assoluta certezza che da parte del premier Silvio Berlusconi non vi è stato «alcun intento offensivo», ma semmai «una netta presa di distanza dalla dittatura argentina».

«Una gaffe indecente, che suona gravissima offesa alle migliaia di ragazze e ragazzi rapiti, torturati e uccisi negli anni di una delle più sanguinose dittature dell'America Latina» è stato il commento di Piero Fassino, che invita il premier alle scuse: «Raccontare barzellette e fare il guascone è ormai il suo sport preferito che rivela una totale mancanza di sensibilità per la storia e per il valore della democrazia in nome della quale, in Argentina come in tutto il mondo, tantissimi sono giunti a sacrificare la propria vita».

di Marco Bucciantini
fonte http//www.unita.it/

IL COLPO DI GRAZIA


Nessuno è in grado di dire se il Partito Democratico esisterà ancora una volta superata la boa delle prossime elezioni europee. Dopo aver letto le parole usate mercoledì da Walter Veltroni nel suo discorso di commiato, un fatto è comunque chiaro. L'ex segretario non ha capito perché milioni di cittadini hanno smesso di votare per il suo partito. Non ha capito o, forse, come fanno altri dirigenti del Pd, ha fatto finta di non capire.

Il tarlo che sta erodendo quella formazione politica ha infatti un nome preciso: credibilità. Il Pd perde perché non è credibile. E non è un problema di idee o di progetti. È invece una questione di uomini e di comportamenti.

Il continuo susseguirsi di scandali, le mancate dimissioni di chi ha fallito come amministratore pubblico (vedi Campania), la decisione di non sottrarsi alla logica delle nomine partitocratiche nella Rai, nelle authority e in ogni altro ente, hanno finito per togliere agli elettori di centro-sinistra anche le ultime illusioni. A poco a poco il mito della differenza, della diversità dal centro-destra, è venuto a cadere.

Per questo è il caso di ricordare che, paradossalmente, il Pd era entrato in crisi già due anni prima di nascere. Aveva cominciato a morire alla vigilia delle elezioni del 2006 quando fu pubblicata (da "Il Giornale") una celebre telefonata tra Piero Fassino e il big boss di Unipol, Giovanni Consorte, in cui l'allora segretario dei Ds diceva «Siamo padroni di una banca». È stato da quel momento in poi che Silvio Berlusconi ha potuto cominciare a ripetere «anche loro sono uguali» venendo sempre più creduto. Giorno dopo giorno, infatti, ci pensavano le pagine di cronaca (spesso nera) dei giornali a dargli ragione.

A un situazione del genere il centro-sinistra prima, e il Pd poi, avrebbe potuto (e dovuto) reagire con dei gesti forti e simbolici. Invece non è accaduto nulla. Il gruppo dirigente è rimasto immobile. Veltroni ha taciuto. O ha parlato troppo poco. E dal Pd se ne sono così andati i migliori. Gli elettori.

17 feb 2009

VILIPENDIO


Papa Ratzinger, nazista e pastore tedesco
Nell’aprile 2005, all’indomani dell’elezione a Papa di cardinal Ratzinger, sul sito di Indymedia viene pubblicata una vignetta provocatoria. E’ un fotomontaggio che ritrae il neoeletto Pontefice sorridente mentre indossa l’uniforme nazista e con un drappo munito di svastica sullo sfondo, accompagnato da una didascalia che lo definisce “Papa nazista”.
Il 28 aprile la Procura di Roma fa istanza per il sequestro del sito. Il 3 maggio il gip accoglie la richiesta, motivando il provvedimento con la circostanza che il Papa travestito da nazista “ostenta pubblicamente disprezzo per il sentimento religioso e per la persona del Papa in violazione degli articoli 403 e 404 del codice penale”.
Il 20 aprile 2005 il quotidiano “Il Manifesto” pubblica la foto del neoeletto Pontefice, riportando un articolo intitolato “Il pastore tedesco”. Dopo alcuni giorni due avvocati veneti, L.Z. e M.R., presentano presso la Procura di Roma una denuncia ai danni del quotidiano per vilipendio della religione cattolica. Secondo i denuncianti, il riferimento al pastore tedesco “è chiaramente diffamatoria e quindi gravemente offensiva della figura del Santo Padre poiché parifica la Sua persona ad un cane”.
* * *
Cominciando dal caso di Indymedia, ad avviso del gip del Tribunale di Roma l’oscuramento del sito si era reso necessario perché la pubblicazione del fotomontaggio aveva realizzato gli estremi del reato di vilipendio della religione cattolica. In effetti, la questione può sembrare semplice. Vi sono pochi dubbi sul fatto che una raffigurazione del Papa vestito con l’uniforme nazista si ponga come offesa alla comunità cattolica. Tuttavia, il caso risulta più complicato a causa della presenza di un dato storico incontestabile, sul quale da più parti si è fatto leva per sostenere la legittimità del fotomontaggio.
Joseph Ratzinger da giovane aveva aderito alla Hitler Jugend, l’organizzazione giovanile diretta emanazione del partito nazionalsocialista tedesco. Non è un segreto. Tant’è che all’indomani della sua elezione, persino il quotidiano inglese “The Sun” aveva sottolineato, a caratteri cubitali, il passaggio del nuovo Pontefice “from the Hitler Youth to Papa Ratzi”.
Ma Joseph Ratzinger, classe 1927, aveva aderito alla Gioventù Hitleriana in maniera tutt’altro che spontanea. A partire dal 1940 l’iscrizione alla Hitler Jugend era divenuta obbligatoria per quelli di età superiore ai 10 anni. Così, i genitori del tredicenne Joseph dovettero adeguarsi.
Fatta questa premessa, del presente caso vanno sottolineati due aspetti. Innanzitutto, manca qualsiasi collegamento tra quella passata esperienza e la dimensione pubblica di Papa Ratzinger. Non si può certo dire, infatti, che l’iscrizione di Ratzinger alla Hitler Jugend fosse, al momento della pubblicazione del fotomontaggio, un fatto che caratterizzava il personaggio. Nel contenitore di cardinal Ratzinger non vi erano frammenti che descrivessero quel passato nazista. Ebbene, già questa circostanza sarebbe di per sé sufficiente a far ritenere illecita quella pubblicazione, poiché il messaggio satirico non può qui ritenersi in coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica di Papa Ratzinger.
In secondo luogo, il messaggio veicolato attraverso il fotomontaggio è molto netto. Non occorre alcuna operazione intellettiva per identificarlo. Qui non vi è quella attività di lavorazione (sui frammenti tratti dal contenitore della dimensione pubblica) tipica della satira, ma solo un elementare lavoro di sovrapposizione di immagini. Non si può ricondurre quel fotomontaggio alla libertà dell’arte di cui all’art. 33 Cost. Si tratta di un lavoro che fa pensare più ad un messaggio informativo che non satirico. Va quindi valutato secondo i principi del diritto di critica.
Una critica illecita per violazione del requisito della continenza formale, qualunque sia il significato attribuibile a quella divisa nazista. Se si voleva richiamare l’adesione di Ratzinger alla Gioventù Hitleriana, il fotomontaggio rappresenta un fatto vero, ma passato e trattato come se fosse attuale. Diversamente dal quotidiano inglese “The Sun”, il cui titolo “from Hitler Youth to Papa Ratzi”, sebbene provocatorio, sgancia correttamente dall’attualità i trascorsi nazionalsocialisti di Papa Ratzinger.
Stessa cosa nel caso in cui la divisa nazista volesse riferirsi ad alcune posizioni caratterizzanti il pensiero religioso di Ratzinger, come il rigore dottrinale, la visione cristianocentrica, l’intolleranza nei riguardi dell’omosessualità. Qui l’equiparazione del pensiero di Ratzinger all’ideologia nazista non è supportata dalla minima argomentazione, elemento che renderebbe lecita anche la critica più aspra.
Dunque, la pubblicazione del fotomontaggio è illecita e ha realizzato gli estremi del reato di vilipendio della religione cattolica attraverso l’offesa al Papa. Ma la misura del sequestro del sito, effettuato per evitare il protrarsi del reato, appare eccessiva. Sarebbe stato sufficiente procedere all’oscuramento unicamente della pagina su cui era apparso il fotomontaggio. Il sequestro dell’intero sito sa molto di censura. E l’art. 21, comma 2°, Cost. stabilisce che “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
Per quanto riguarda, invece, il caso del quotidiano “Il Manifesto”, nel merito si devono trarre conclusioni diverse.
L’articolo intitolato “Il pastore tedesco” spiega come il 2005 abbia portato al vertice della Chiesa Cattolica proprio colui che ha guidato un processo che, a partire dall’elezione a Pontefice di Karol Wojtyla, ha visto prevalere una Chiesa arroccata nel suo dogma su una Chiesa sensibile alle problematiche sociali. Un processo al quale hanno dato impulso, appunto, “il papa polacco e il suo pastore tedesco”, come si legge nell’articolo. Joseph Ratzinger sarebbe stato l’esecutore delle epurazioni che hanno colpito la Chiesa più popolare, quella che si scagliava con veemenza contro le ingiustizie sociali e la povertà di massa, soprattutto nel continente latino americano. Ratzinger ovvero “Il Torquemada di Wojtyla”, come lo definisce l’articolo, in evidente riferimento alla carica di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, già Tribunale dell’Inquisizione, che lo stesso Wojtyla gli affidò nel 1981.
E’ evidente che qui il termine “pastore tedesco” assume un valore satirico inserito in un contesto di aspra critica all’operato di Ratzinger, peraltro tedesco. Il quotidiano non ha certo voluto dargli del “cane”. Il suo passato da guardiano dell’ortodossia in nome di una conclamata purezza teologica è dal quotidiano efficacemente sottolineato attraverso l’accostamento della figura di Ratzinger allo strumento attraverso cui si custodisce un prezioso gregge, dunque in piena coerenza causale con la nota metafora pastorale cristiana. Il concetto verrà poi magistralmente sintetizzato da Vauro in una vignetta raffigurante una pecora che brontola: “Noi non possiamo chiamarlo pastore tedesco, e lui può chiamarci pecorelle?”.
Dal punto di vista della satira, non c’è dubbio che il termine “pastore tedesco” sia in coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica di Joseph Ratzinger. Dal punto di vista della critica, l’articolo abbonda di efficaci argomentazioni, magari non condivisibili ma libere. Ed è tutt’altro che paradossale affermare che il riferimento al “pastore tedesco”, lungi dall’offendere Ratzinger, al contrario ne sottolinea le capacità intellettuali e di guida suprema.
E’ chiaro che l’iniziativa dei due avvocati veneti, dettata da una analisi superficiale della fattispecie e da uno scarso rispetto per l’art. 21 Cost., è destinata a fallire miseramente.




sito di informaizone giuridica curato dall'avv. Tomanelli

"LIBERTA' DI MANGANELLO"



Mentre il disegno di legge 733 sulla sicurezza inciampa a più riprese nel corso del suo iter parlamentare, si moltiplicano i provvedimenti delle autorità locali contro gli immigrati ed i senza fissa dimora. Dopo l'esito dei processi per i fatti di Genova, più che in passato, dilaga tra le forze di polizia la "libertà di manganello". I casi denunciati sono sempre più numerosi in tutta Italia, ma spesso anche la denuncia è impedita dalla minaccia di ritorsioni.. Come riferisce il giornale La Sicilia, a Lampedusa un cittadino italiano, mentre stava telefonando in una cabina vicino all'aeroporto, è stato scambiato per "clandestino"e bastonato senza preavviso dalle forze dell'ordine. Come se fosse normale colpire alle spalle una persona, sulla base di un sospetto di clandestinità, prima di accertare la sua effettiva identità. L'uomo è stato trasferito da Lampedusa all'ospedale di Palermo per accertare la gravità delle lussazioni alle spalle. Il clima che si respira a Lampedusa è sempre più pesante ed una vicenda come questa rischia di avere pesanti conseguenze sull'immagine dell'isola e sulle sue prospettive economiche basate sul turismo.Quando la magistratura si limita ad applicare la legge senza farsi condizionare dai diktat dell'esecutivo, si sollecita un ritorno al controllo gerarchico dei giudici, se non ad un vero e proprio "tribunale eletto dal popolo". Insomma siamo alle giurisdizioni speciali, e talvolta qualche giudice opera in modo veramente "speciale", ad esempio quando si devono convalidare provvedimenti che limitano la libertà personale dei migranti, come se i principi costituzionali, a partire dagli articoli 13 e 24 della nostra Costituzione, fossero già abrogati. Per mascherare i fallimenti delle politiche economiche e delle politiche migratorie, gli esponenti di governo lanciano ogni giorno nuovi allarmi, dal traffico di organi alla diffusione dello sfruttamento della prostituzione straniera, mentre si negano i diritti fondamentali dei minori stranieri non accompagnati e per le donne prostituite l'accesso alla protezione sociale, prevista dall'articolo 18 del testo unico sull'immigrazione, rimane un miraggio. Gli allarmi poi vengono smentiti, o si rilevano infondati, oppure riguardano fenomeni che si verificano ormai da anni proprio per effetto di quelle scelte politiche di chi aveva promesso maggiore sicurezza.Mentre si sprangano le porte della Fortezza Europa si trasforma l'intera isola di Lampedusa in un campo di concentramento, a cielo aperto, concludendo accordi con i regimi dittatoriali del nord africa, senza alcuna garanzia effettiva per il diritto di asilo e per gli altri diritti fondamentali della persona. Non si riconosce che l'aumento esponenziale degli arrivi di migranti nelle isole Pelagie (passati da 13.000 circa nel 2007, ad oltre 33.000 nel 2008, con un incremento assai sensibile proprio nella seconda metà dell'anno), si ricollega alle politiche di chiusura poste in essere, o solo annunciate, dal governo Berlusconi.Si diffonde a tutti i livelli la "cattiveria" dichiarata da Maroni contro gli immigrati irregolari, oltre 900.000 oggi in Italia, e non solo da parte di agenti istituzionali. Non si contano più gli atti di razzismo e le aggressioni gratuite nei confronti di tutti gli immigrati, regolari o irregolari che siano. A Lampedusa questa "cattiveria" sta consentendo di detenere i migranti per settimane senza provvedimenti regolari e in condizioni igienico-sanitarie di gravissimo disagio fisico e psicologico. Un caso vero e proprio di "trattamento disumano e degradante" vietato dall'art. 3 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell'uomo. A cosa servirà questa "cattiveria"? Quando si faranno i bilanci del 2009, non adesso in pieno inverno, ma dopo un estate e un autunno che si preannunciano assai caldi sul fronte degli sbarchi, malgrado le missioni di Maroni in Tunisia ed in Libia, il numero dei cd. "clandestini" presenti in Italia sarà ancora più elevato, per la pervicace volontà del governo italiano di ridurre ulteriormente i canali di ingresso legale, costituiti dai decreti flussi di ingresso.Tutte le risorse prima destinate all'integrazione, finiscono intanto nei fondi per i rimpatri forzati o per finanziare la moltiplicazione dei centri di detenzione. Per "produrre" ancora altri clandestini, mentre i paesi di provenienza e di transito rimangono assai restii ad accettare la riammissione dei loro cittadini che sono emigrati spinti dalla fame. Sembrerebbe che la Tunisia abbia riammesso finora appena un centinaio dei mille ed oltre migranti bloccati a Lampedusa. E i governanti di quei paesi, grandi amici di Berlusconi e dei suoi ministri, sono interessati soprattutto a riprendersi gli oppositori politici, che hanno rivendicato democrazia e giustizia sociale, per finire poi, dopo il rimpatrio da parte delle autorità italiane, nelle prigioni del loro paese, in qualche caso anche sotto tortura.

Fulvio Vassallo Paleologo - Università di Palermo

prendi una donna, trattala male (così poi voterà Maroni)

Non sono immigrati ma italiani i responsabili della piaga della violenza sulle donne nel nostro Paese. Secondo le stime dell'Istat, non più del 10% degli stupri commessi in Italia è attribuibile a stranieri, contro un 69% di violenze domestiche commesso a opera di partner, mariti e fidanzati. Dati che fanno crollare d'un colpo il luogo comune che associa l'immigrazione a una diminuzione della sicurezza nelle città italiane.
Secondo l'Istat, che il 10 dicembre 2007 ha aperto, nella sua sede centrale a Roma, il Global Forum sulle statistiche di genere, solo il 6% degli stupri in Italia è commesso da persone estranee alla vittima: "Se anche considerassimo che di questi autori estranei la metà sono immigrati - ha spiegato Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell'istituto di statistica - si arriverebbe al 3% degli stupri; se ci aggiungessimo il 50% dei conoscenti, al massimo si arriverebbe al 10% del totale degli stupri a opera di stranieri".

fonte: la Repubblica

In Italia 6 milioni 743 mila donne dai 16 ai 70 anni hanno subito violenze, di cui un milione e 150 mila nel 2006: 1.400.000 ragazze ha subito violenza sessuale prima dei 16 anni. In Europa il 12-15% delle donne subisce quotidianamente violenze domestiche che rappresentano la prima causa di morte tra i 16 e i 44 anni, ancora prima di cancro, guerre e incidenti
Ma veramente allarmante è il dato dell'incidenza "casalinga" degli stupri. Non solo significativo perchè in parte "scagiona" gli stranieri ed immigrati dalla maggior parte di questi reati, ma soprattutto perchè fa emergere un dato inconfutabile: il problema della violenza sulle donne è un problema, oltre che delinquenziale, di tipo "culturale".


La violenza domestica risponde alla volontà di esercitare potere e controllo sulle donne; per questa ragione l'episodio violento non è quasi mai leggibile come un atto irrazionale, ma è quasi sempre un atto premeditato. Gli stessi aggressori affermano che picchiare è una strategia finalizzata a modificare i comportamenti delle proprie compagne.
Esistono alcoolisti e tossicodipendenti non violenti, così come esistono uomini violenti, tossicodipendenti e alcolisti, che agiscono condotte violente in assenza di assunzione di alcool e/o droghe; la grande maggioranza degli uomini violenti non è né alcolista né tossicodipendente. Solo il 10% dei maltrattatori presenta problemi psichiatrici. L' attribuzione della violenza a soggetti psicotici è solo un " escamotage" per tenere separato l'ambito della violenza da quello della normalità, è una forma di esorcizzazione

Nella valutazione quantitativa, importante è l'incidenza del “numero oscuro”, per il quale si ipotizzano dimensioni variabili fra l’80 e addirittura il 98 % sul totale del fenomeno.
Tutti i dati empirici confermano che, per una donna, il rischio di subire violenza da parte di un altro membro della famiglia è mediamente assai più elevato rispetto a quello di essere aggredita per strada da sconosciuti e si può ritenere che episodi di violenza fisica di una certa serietà si verifichino, almeno una volta, nel 30% di tutti i nuclei familiari.

fonte: Nondasola.it


Dati ISTAT 2006 L’indagine svolta nel 2006 è dedicata al fenomeno della violenza fiscia e sessuale contro le donne da Maria Laura Sabattini. E' stata la prima indagine vittimologica completa per l'Italia ed ha ottenuto un grande riscontro a livello mediatico e scientifico anche a livello internazione.
Essa ha indagato il fenomeno -all’origine, indipendentemente dal legame affettivo, familiare o parentale con l’autore dell’atto violento- attraverso la scelta metodologica del “campionamento a quote”, tramite intervista telefonica a donne comprese tra 16 e 70 anni. Il campione complessivo è di 25.000 donne, quindi si tratta di un campione rappresentativo e trasversale di tutta la polopazione femminile italiana.
I risultati dell’indagine quantificano la dimensione in Italia in:
6 milioni 743 mila le donne da 16 a 70 anni vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita; negli ultimi 12 mesi il numero delle donne vittime di violenza ammonta a 1 milione e 150 mila; 900 mila i ricatti sessuali sul lavoro. L'analisi fornisce alcuni raffronti tra violenza avvenuto all’interno della famiglia ed evento violento attribuito a “sconosciuti”:
14,3% delle donne ha subito almeno una violenza fisica o sessuale all’interno della relazione di coppia (da un partner o da un ex partner)mentre il 24,7% da un altro uomo; le violenze non denunciate sono stimate pari al 96% circa se subite da un non partner, al 93% se subite da partner; La maggioranza delle vittime ha subito più episodi di violenza, nel 67,1% da parte del partner, nel 52,9% da non partner, nel 21% violenza sia in famiglia che fuori; 674 mila donne hanno subito violenze ripetute da partner e avevano figli al momento della violenza. Il Centro Nord presenta valori sostanzialmente simili e in media con l’Italia, mentre il Sud e le Isole si collocano sotto la media. Tassi più elevati sono raggiunti dai centri delle aree di grande urbanizzazione.
Tali dati indicano di certo un fenomeno di particolare entità e di significato “inquietante”, poiché si riferisce e avviene anche in un contesto vissuto come “sicuro, protetto e difeso” qual è il rapporto affettivo tra partner e quindi la famiglia.


Dati Osservatorio Nazionale Violenza Domestica (ONVD) 2006 Una indagine del 2006, anche se riferita solo alla provincia di Verona, rileva il fenomeno della violenza domestica che comprende “ogni forma di violenza fisica, psicologica o sessuale e riguarda tanto soggetti che hanno, hanno avuto o si propongono di avere una relazione intima di coppia, quanto soggetti che all’interno di un nucleo familiare più o meno allargato hanno relazioni di carattere parentale o affettivo”.
Nell’arco cronologico indicato
2.706 sono state le richieste di intervento a una o più istituzioni 2.373 è il numero degli eventi segnalati 2.284 è il numero delle vittime direttamente oggetto di violenza domestica le vittine sono per il 64,8% femmine, per il 33,9% maschi; gli autori sono maschi nel 68,5%, femmine nel 27,7% la maggioranza delle vittime è di nazionalità italiana (71,6%), il 28,4% è straniera assunzione di alcol, “futili motivi” e problemi connessi alla separazione o alla rottura della coppia sono le motivazioni della condotta violenta maggiormente esplicitate nel 70,5% la vittima è percossa con pugni, calci etc. per lo più al capo, al volto o al collo; oltre il 40% presenta lesività (contusioni,ecchimosi, ematomi etc.) in molteplici sedi corporee nel 40,2% dei casi i periodo di malattia supera la settimana (nel 5,6% non è quantificabile in sede di Pronto Soccorso, essendo seguito il ricovero in ambito ospedaliero) in altre il 30% dei casi si tratta di “violenza reciproca”, ove entrambe sono vittima e autore nel medesimo episodio o in momenti diversi per quanto riguarda le ipotesi di reato formulate in sede penale 10 gli omicidi e 6 i tentati omicidi 148 i maltrattamenti in famiglia 20 sono i casi per i quali è formulata ipotesi di reato “atti sessuali con minorenne”; 16 le violenze sessuali. Ogni atto di violenza in “ambito familiare” è rilevato, attraverso gli atti formali, ogni qual volta intercetta un livello istituzionale -Sanitario (Unità operative di Pronto Soccorso), di Polizia (Polizia di Stato – Arma dei Carabinieri) e Giurisdizionale (Procura della Repubblica – Sezione Famiglia del Tribunale civile e penale).
Si tratta di una indagine a tappeto sulla provincia di Verona, la cui popolazione residente assomma 870.122 unità (fonte ISTAT: popolazione residente al 31.12.2006).

fonte: Wikipedia

15 feb 2009

"ORA BASTA!". 21 FEBBRAIO A PIAZZA NAVONA CONTRO LA DITTATURA OSCURANTISTA

Firma l'appello di Lorenza CARLASSARE, Andrea CAMILLERI, Furio COLOMBO, Umberto ECO, Paolo FLORES D'ARCAIS, Margherita HACK, Pancho PARDI, Stefano RODOTA':

"La vita di ciascuno non appartiene al governo e non appartiene alla Chiesa. La vita appartiene solo a chi la vive. Il decreto legge di Berlusconi, trasformato in disegno di legge dopo che il presidente Napolitano, da custode della Costituzione, ha rifiutato di firmarlo, vuole sottrarre al cittadino il diritto sulla propria vita e consegnarlo alla volontà totalitaria dello Stato e della Chiesa. Rendendo coatta l’alimentazione e l’idratazione anche contro la volontà del paziente, impone per legge la tortura ad ogni malato terminale.
Pur di imporre questa legge khomeinista, Berlusconi ha dichiarato che intende sovvertire la Costituzione repubblicana. E’ arrivato ad oltraggiare una delle costituzioni più democratiche del mondo, la nostra, definendola “filosovietica”, mentre non perde occasioni per elogiare il suo “amico Putin”, ex-dirigente del Kgb. Al governo Berlusconi che ha ormai dichiarato guerra alla Costituzione repubblicana, è dovere democratico di ogni cittadino opporre un fermo “ora basta!”.
Per dire sì alla vita e no alla tortura, per dire sì alla Costituzione e no al progetto di dittatura oscurantista, per dire sì al Presidente che sostiene la Costituzione contro chi la viola, la svilisce, la insulta, chiediamo a tutti i democratici di auto-organizzarsi per una grande e pacifica manifestazione, senza bandiere di partito, solo con la passione e l’impegno civile di liberi cittadini, a Roma, a piazza Navona, sabato 21 febbraio alle ore 15.
Passa parola, la democrazia dipende anche da te". (da Micromega)

14 feb 2009

il mondo è cambiato?

Mario Tronti scrive un’impietosa e polemica analisi della vittoria di Obama. La scrive all’indirizzo della sinistra che si illude ma anche di quella incerta e di quella che ha tutto chiaro.

Allora, compagni. Come tutti avete potuto vedere, il mondo, a far data dal 4 novembre, è cambiato. Il cielo è sempre più blu, la terra sorride aperta finalmente all'audacia della speranza, le nostre notti non sono più cupe, rivisitati come siamo dal sogno americano. Il messia è tornato, come aveva promesso, cammina non sulle acque, ma sull'etere, narrazione di parabola in parabolica, questa volta per messaggini. Vi ricordate l'11 settembre? Nulla sarà come prima. Tutto è stato come prima. Questo è un 11 settembre rovesciato. Di nuovo, «siamo tutti americani». E non cambierà niente. Niente di quello che ci interessa cambiare.Avete capito che sto gettando acqua sul fuoco, non per spegnerlo, ma almeno per circoscriverlo. Poi, speriamo sempre che la scintilla infiammi la prateria. Non ci saranno dunque conseguenze? Altroché se ce ne saranno! La soluzione questa volta è stata trovata quasi all'altezza del problema. Quasi: perché la crisi di fase capitalistica è più grave, più tosta, dell'invenzione di immagine, della risorsa simbolica, che si è messa in campo. Ma comunque, questa conta, e come se conta! Lo vediamo in queste ore, in questi giorni. Gli Usa di ieri, frastornati, disorientati, depressi, sono «rinati», come i ridicoli cristiani delle loro sette. Il fatto macroscopico, quello su cui dobbiamo prendere a ragionare, quello dentro cui dobbiamo mettere anche il successo Obama, è la chiusura del ciclo neoliberista, il crollo della finanziarizzazione selvaggia del capitale, la rivincita dell'economia reale, che si fa di nuovo viva come crisi della produzione materiale, con tutte le paure, le incertezze, i bisogni di voltare pagina, che essa porta con sé. E' questo che ha reso possibile, perché necessaria, la vittoria della parola change. Non la spinta dal basso di una partecipazione popolare, con i suoi appassionati volontari, espressione spontanea della vitalità di una meravigliosa democrazia.Questa c'è stata, ma come un'onda provocata, raccolta e orientata verso un volto nuovo di «personalità democratica», che abbiamo già altre volte descritto come corrispettivo aggiornato della adorniana «personalità autoritaria». Attenzione. Qui l'accento batte non sugli aggettivi, democratica e autoritaria, ma sul sostantivo, personalità. C'è un problema preciso, teorico e storico: perché la democrazia, al pari del totalitarismo, ha bisogno, per funzionare, dell'idea e della pratica della personalità? Perché si fa il vuoto nelle istituzioni, e nelle organizzazioni, per riempirle poi con un volto? Problema. E un'altra cosa, meno astratta, più empirica. Da dove sono uscite le enormi risorse finanziarie di Obama, che hanno fatto apparire indigente nientemeno che la famiglia Clinton? In che percentuale sono state esse il frutto della mobilitazione dei neri, delle donne, dei giovani? E quali e quante le altre fonti?La mia idea è netta, e la esprimo in modo netto, perché se ne possa lucidamente discutere: Obama ha vinto, perché a un certo punto l'establishment ha scelto Obama. A un certo punto: all'inizio, solo pezzi di esso si erano esposti, i più avvertiti, di fronte al disastro finale di Bush, poi, con l'esplosione della crisi vera, il grosso non ha avuto più dubbi. E il personaggio è volato nei sondaggi, anch'essi non certo spontanei. In democrazia, vince chi riesce a farsi presentare come il prossimo vincitore. Abilità e forza comunicativa aiutando. Il cambio è niente altro che un cambio di leadership, nel tentativo di riacchiappare un'egemonia che scappa. E siccome si tratta di un'egemonia-mondo, ci vuole un global leader. Poteva assolvere a questa funzione il vecchio soldato MacCain? Evidentemente, no. Guardate lo spostamento dell'opinione pubblica mondiale, di destra, di sinistra e di centro, prima e dopo le elezioni americane. Impressionante. Anche qui è un'onda. Per resistere, bisogna come Ulisse farsi legare al palo della nave, visto che non possiamo non vedere e non udire.La verità è che gli americani sono oggi veramente in tutto debitori dei cinesi. Hanno infatti applicato alla lettera il motto di Deng: non importa se il gatto è bianco o nero, importante è che acchiappi il topo. Miei cari, i topi siamo destinati ad essere noi. Bisogna togliersi dalla testa che il partito democratico sia la sinistra e il partito repubblicano la destra americane. Non sono nemmeno il centrosinistra e il centrodestra, come vorrebbero i nostri ulivisti mondiali. Il bipartitismo perfetto e la perfetta alternanza di governo funzionano soltanto quando ci sono due partiti centrali di sistema. Sì, due diversi bacini di consenso, distribuiti socialmente e territorialmente, due blocchi di interessi tradizionali, molto mobili e trasversali, anche due scale di valori e di diritti, ma il tutto orientato sempre all'uno della grande nazione «eccezionalista». Impallidiscono i nostri nazionalismi europei di fronte a quello americano. Solo che quello non si chiama così. È Impero del Bene, religione democratica universalmente salvifica.Chi più che un predicatore nero può oggi raccogliere le bandiere che i maledetti neocons hanno lasciato cadere nella polvere della guerra infinita? Se Malcom X diventa Obama, è perché il calderone di fusione ha funzionato alla perfezione. Nessun pericolo. Anzi, una formidabile opportunità. L'America è un luogo dove tutto è possibile: che un nero entri alla Casa Bianca e che diventi quindi un bianco qualunque. La novità c'è. Non è questo il punto. Ma l'arte di disporci dinanzi al nuovo in modo non subalterno, non l'abbiamo forse imparata? Il nuovo non ha un valore in sé, va misurato sulla nostra condizione presente, se siamo in grado di assumerlo e governarlo e piegarlo. Per quanto detto sopra, nei confronti di un cambio di leadership nel bipartitismo americano, io non faccio una scelta strategica, ma tattica. Chi mi conviene che vinca, chi mi lascia più spazio di movimento, chi mi consegna migliore capacità di manovra? Era opportuno uscire dalla grande crisi con Roosevelt, perché così le lotte operaie potevano imporre il compromesso keynesiano. Era giusto allearsi con gli Usa per sconfiggere militarmente il nazifascismo. Si poteva essere kennediani, se avevi alle spalle la forza del Pci e la potenza dell'Urss: non c'era pericolo allora di metterti nell'onda progressista, semplicemente subendola. Anzi ti serviva per innovare nel tuo campo. Il discorso è sempre quello: l'iniziativa di cambiamento del tuo avversario, o sei in grado di utilizzarla, o altrimenti ne rimani vittima. Perché mi sento di dire che non possiamo dirci oggi obamiani? Semplicemente perché siamo deboli. Non c'è in campo nessuna forza alternativa. Questo sarebbe stato il momento di una grande iniziativa del socialismo europeo. Non possiamo dare la supplenza al profeta del nuovo vecchio mondo. Così riconsegni la pratica egemonica, magari passando dall'unilateralismo al multipolarismo, a chi la stava giustamente perdendo. Il modo corretto di porre la questione, parlando politicamente, nel senso specifico del termine, è secondo me il seguente: Obama è adesso la figura nuova che assume il nostro avversario. Va ricollocata e rideclinata una proposta alternativa di organizzazione e di lotta sulla base di questa novità. Si apre un periodo di maggiori difficoltà. Era facile essere contro Bush, sarà difficile essere contro Obama. Si chiudono spazi per le esperienze di movimento, l'unica forma di soggettività emersa negli ultimi anni, non a caso a livello global, sul terreno dei partiti, nazionali, l'intendenza europea seguirà, l'Atlantico si farà più stretto. La luna di miele finirà, ma prima durerà. Tra l'altro, il giovanotto (!) è sveglio, è pragmatico, è cinico, è pigliatutto, ha perfino un pizzico di carisma, è intelligente perché si è circondato di persone mediamente intelligenti. Una machiavelliana presa di potere, perfetta. In questo, chapeau! agli Stati Uniti d'America, gli unici in grado di far ancora tesoro del detto, mitteleuropeo: là dove c'è il massimo pericolo, lì c'è ciò che salva. Aprite il discorso della vittoria. L'incipit: giovani e vecchi, ricchi e poveri, democratici e repubblicani, neri, bianchi, ispanici, asiatici, nativi d'America, gay, eterosessuali, disabili e non disabili. «Siamo e sempre saremo gli Stati Uniti d'America». Che dobbiamo fare? Applaudire, alzare le braccia in segno di saluto, piangere di commozione?Confesso. Sono ormai arrivato - il tono di questo testo lo documenta - al limite massimo di sopportazione per questo modo impolitico, apolitico, antipolitico di parlare di politica. Una parentesi. Se ho ben capito come vanno le cose del mondo, e a questo punto di lunga età mi pare proprio che sì, ecco: chiunque dice «ricchi e poveri» è mio nemico. Questo è un criterio del politico, una verità teorica assoluta, un punto di orientamento pratico, che consiglio di coltivare in sé come una pietra preziosa. Chiusa parentesi. E vengo invece a un punto di problema, su cui ho qualche incertezza, perché sento che qui c'è un a partire da me, dal mio modo di esistenza, che potrebbe deviare e far sbagliare il giudizio. E chiedo anche qui un contributo di discussione, e magari una capacità avversa di dissuasione. Insomma. Chi sono queste masse? Parlo delle folle di Chicago e di tutta la lunga intensa campagna obamiana. Ma anche di quelle del Circo Massimo, se sono, anche questo è da discutere, più o meno le stesse. Le guardo con curiosità e diffidenza. A me paiono foglie mosse dal vento delle parole e delle immagini, singoli individui collettivamente incantati dal suono del linguaggio, indifferenti, per non dire ostili, alle idee, agli argomenti, alle analisi. Piazze virtuali, un popolo da second life, che non esprime qualcosa, ma vuole essere espresso da qualcuno. Si potrebbe dire che non è una cosa nuovissima. Il Novecento ha visto fenomeni analoghi. Ma, secondo me, c'è una differenza. La nazionalizzazione delle masse, come la socializzazione delle masse, si fondava su idee forti. Ci si riconosceva in una dottrina, si assumeva e si portava un'ideologia. Il culto del capo era l'appartenenza a un campo, l'assunzione di un progetto. Così la massa si faceva soggetto. E poi la razza, o la classe, erano fattori oggettivi. Qui, oggi, non c'è nulla di tutto questo. C'è solo la fascinazione per una narrazione. Obama non rappresenta i neri, rappresenta tutti. Veltroni non rappresenta i lavoratori, rappresenta i cittadini. E dunque queste piazze sono piene di un niente. È un problema serio, forse il più serio. Penso che accanto all'osservatorio sulle élites, dovremmo ragionare intorno a un osservatorio sulle masse. Come riportare dentro questo politico virtuale il principio di realtà?Da soli, soggettivamente, non ce la facciamo. Ci vuole una scossa sismica di alta intensità, di quelle che fanno saltare i pennini del sismografo. Dire, parlare, della sinistra, piccola o grande che sia, risulta, di fronte alla dimensione del problema, una chiacchiera da bar sul commissario tecnico della nazionale. Ci può aiutare solo la realtà stessa, sempre più ricca, rispetto a noi, di risorse imprevedibili, da scrutare e da utilizzare. Ma quale realtà, o quale pezzo di essa ci conviene che emerga? Qui, il discorso si fa duro, pronunciabile in parte, indicibile per intero. Io, se mai ne ho avuti, a questo punto non ho dubbi: meglio la crisi che lo sviluppo, meglio il conflitto che l'accordo, meglio la divisione aspra del mondo che la sua irenica unità. Sto parlando, realisticamente, del terreno più favorevole a che sorga una soggettività collettiva alternativa. Che non verrà da sola, senza un intervento politico dall'alto, a suggerire e a organizzare.

Stralcio dall'introduzione di Mario Tronti al volume collettivo "Passaggio Obama. L'America, l'Europa, la Sinistra. Una discussione al CRS provocata da Mario Tronti" (Ediesse, pp. 128, euro 9) in uscita a febbraio. I saggi raccolti sono a firma di Rita di Leo, Ida Dominijanni, Mattia Diletti, Luisa Valeriani, Stefano Rizzo e Roberto Ciccarelli.

SILENZIO

EMENDAMENTO ANTI-FACEBOOK


Provincialismo, ossessione del controllo, scarsa conoscenza delle dinamiche di rete. Potrebbero essere queste le spiegazioni che sono dietro l'emendamento al pacchetto sicurezza presentato dal senatore dell'Udc Giampiero d'Alia e approvato ieri dal Senato. Più realisticamente è quella propensione alla «stato etico» che pervade trasversalmente tutto il sistema politico italiano. Con ordine. Il senatore centrista aveva presentato l'emendamento dopo che alcuni media avevano dato notizia di gruppi in solidarietà di Toto Riina presenti su Internet attraverso Facebook. Giampiero d'Alia si era però spinto molto più lontano, chiedendo che venisse limitata la presenza di siti che istigano all'odio razziale o che fanno apologia di organizzazioni in odore di sovversione.
Il dispositivo per rendere efficiente il sistema di controllo è mutuato da una legge francese per colpire i «naviganti» che aggirano le leggi sul copyright attraverso le tecniche del peer to peer. La legge francese stabilisce che siano i server per l'accesso alla Rete o quelli che «ospitano» i siti per lo scambio di file audio e video coperti da diritto d'autore ad intervenire e impedire tali attività. Legge che il presidente Nicolas Sakozy ha provato, con insuccesso, a esportare in tutta Europa. L'emendamento approvato ieri dal Senato è a suo modo più dettagliato, perché propone ammende per i siti italiani che non controllano adeguatamente «il traffico» che transita nei loro computer. Poche finora le reazioni, eccetto quella di Antonio Di Pietro, dell'Italia dei valori, che ha paragonato la proposta di regolamentazione di Facebook e di tutti i «nodi» italiani alle leggi censorie vigenti in Cina e in Birmania.
Resta da sperare che l'emendamento non passi alla Camera, perché, come sempre quando si parla di Rete, non si capisce chi debba esercitare il primo controllo. Non è chiaro infatti se il ministero dell'interno deve monitorare il web, segnalando ai gestori dei server i siti da colpire? Oppure agli stessi gestori dei server, ridotti al rango di guardiani, con quel potere di arbitrio di interpretare cosa è politicamente corretto e politicamente scorretto? Se l'emendamento diventerà legge verrebbe introdotto un criterio di controllo «statale» che è fortemente criticato, ad esempio, negli Stati Uniti, dove il nuovo presidente Barack Obama ha, nella scorsa settimana, date indicazioni di rimuovere i monitoraggi del World wide web introdotti durante l'infelice stagione della «guerra preventiva». Inoltre, la logica che è dietro l'emendamento al pacchetto di sicurezza stride fortemente con la fortuna del social networking, ormai considerato come un modello e oggetto di «business» per altre imprese. Così, sempre di ieri è la notizia che Facebook sta per stringere un accordo con Nokia per consentire ai clienti della società di telecomunicazioni finlandese di poter accedere al suo servizio attraverso i telefoni cellulari.
Un rigido controllo della rete, così come draconiane leggi sul copyright più non garantiscono certo la sicurezza, favorendo invece un blocco dell'innovazione e di possibili attività produttive attraverso il web.

13 feb 2009

MA BRAVI I NOSTRI EROI!

Fermati undici spacciatori: due di loro sono poliziotti. Anche alcuni dei consumatori sono poliziotti genovesi che, a quanto pare, usavano la droga anche in servizio. Durante un'indagine della procura di Genova durata due anni è stato accertato un traffico di due etti di cocaina a settimana. Alla fine dell’indagine sono scattate le misure di custodia cautelare per traffico di sostanze stupefacenti che riguardano 11 persone tra cui 2 poliziotti genovesi attualmente in servizio uno presso una questura lombarda, il secondo presso una questura piemontese e che sono entrambi accusati di traffico di stupefacenti. Nel corso dell’inchiesta sono stati segnalati alla prefettura almeno 15 poliziotti in servizio presso la questura di Genova per uso di cocaina. La notizia è stata data durante una coferenza stampa dal Procuratore capo di Genova Francesco Lalla e dal sostituto procuratore Vittorio Ranieri Miniati. L'indagine era partita da un traffico di cocaina che veniva usata in feste private tra Genova e il Tigullio. L’inchiesta è nata intercettando le telefonate di un poliziotto condannato per le violenze nella caserma di Bolzaneto durante il G8 e che è accusato di avere violentato alcune prostitute nelle guardine dalla Questura. Indagando sulle violenze e intercettando il poliziotto , si è scoperto che c’erano alcuni poliziotti della questura di Genova che consumavano cocaina e lo facevano anche in servizio, come da risulta da alcune delle telefonate intercettate


fonte: La Repubblica dell' 11.feb.

l'inconsapevole disegno coerente (un po' come: "ghiaccio bollente" o "oscurità translucida")

di Alessandra Fava
- GENOVAG8-2001
Le motivazioni dell'assoluzione: «Diaz, notte violenta ma i capi non videro»

Le bottiglie molotov trovate in corso Italia e portate alla Diaz, la prova chiave del processo, sono sparite per magia. Si sa chi le ha portate e infatti sono stati condannati Burgio e Troiani vista «l'evidente unicità del disegno criminoso». Ma non c'era «complotto» e tantomeno prova della volontà di depistare perché i vertici presenti davanti alla scuola la notte del 21 luglio 2001 non ne sapevano niente. Voilà. È uno dei punti chiave delle motivazioni della sentenza, depositate ieri, che lo scorso 13 novembre ha condannato i primi che sarebbero entrati nella scuola (il capo del VII nucleo sperimentale Vincenzo Canterini e tre suoi uomini), i traslatori di bottiglie e quelli entrati alla Pascoli per un totale di 13 condanne per 35 anni e 7 mesi, ma non i vertici della polizia di ieri e di oggi, Giovanni Luperi, Gilberto Caldarozzi e Francesco Gratteri. Dentro (per modo di dire, le condanne sono quasi tutte sospese e galoppano verso la prescrizione) i responsabili di lesioni «disumane» e «inaccettabili in uno stato di diritto», fuori quelli che redassero i verbali falsi e accusarono coloro che dormivano nella scuola. Scrissero bugie senza saperlo. Nelle quasi 400 pagine di motivazioni depositate ieri solo in cartaceo, il Tribunale spiega che le bottiglie trovate in corso Italia furono effettivamente portate alla scuola. Ma «la ricostruzione del percorso compiuto dalle bottiglie molotov e di quanto compiuto da coloro che vennero in contatto con le stesse risulta assai difficoltoso e non accertabile con la dovuta sicurezza», scrive il tribunale. Quindi «non è chiaro come tali bottiglie siano giunte e siano state infine disposte sullo striscione». Certo «può sorgere il sospetto circa il coinvolgimento nella creazione della falsa prova, ma si tratta di semplici indizi non univoci». Anche nel filmato di Primocanale detto Blue Sky, il tribunale ammette che in effetti ci sono «alcuni imputati riuniti a parlare con Luperi, mentre quest'ultimo tiene in mano il sacchetto con le bottiglie molotov», ma «non può sicuramente valere a provare con la dovuta certezza che in tale momento si stesse concordando di affermarne il falso ritrovamento all'interno della scuola, pur conoscendone la provenienza da altro luogo». La prova sarebbe che Gratteri non partecipa al colloquio e non si può «univocamente dedursi che Luperi fosse al corrente della sua artificiosità». Insomma niente complotto prima nè durante perché sarebbe stato difficile nasconderlo agli altri. Il tribunale smonta il processo partendo dalla negazione che il pestaggio sia stata una spedizione punitiva organizzata dai vertici della polizia. Certo, ci sono state le violenze, perché come disse Andreassi si doveva «passare ad una linea più incisiva, con arresti, per cancellare l'immagine di una polizia rimasta inerte di fronte agli episodi di saccheggi e devastazione». Ma nessun ordine: «Se dunque non può escludersi che le violenze abbiano avuto un inizio spontaneo da parte di alcuni - si legge - è certo che la loro propagazione così diffusa e pressoché contemporanea presupponga la consapevolezza da parte degli operatori di agire in accordo con i loro superiori che comunque non li avrebbero denunciati».Per il resto le motivazioni spiegano, arrampicandosi sugli specchi, che anche l'accusa di resistenza contro i manifestanti che uscivano in barella dalla scuola era plausibile visto il contesto di quelle giornate. Per cui più che falso fu «leggerezza» e «disattenzione». Infine, a sostegno della Procura, il tribunale ricorda che in effetti la polizia fornì foto vecchie e non collaborò con «la massima efficienza». Che uno dei picchiatori con la "coda di cavallo" fu identificato sette anni dopo i fatti e che ci fu la «sensazione di una certa volontà di nascondere fatti e responsabilità di maggiore importanza, che ha caratterizzato negativamente tutto il procedimento».Passando alle singole posizioni, come prevedibile, è tutto un «non è provato che si accorse di». Non è provato che Luperi vide Covell massacrato a terra, né che abbia capito che cosa era accaduto nella scuola, né che «fosse consapevole della provenienza di dette bottiglie e del fatto che non fossero state rinvenute all'interno della scuola». Non è provato che Gratteri si sia reso conto di quanto avvenuto nella scuola, mentre Canterini lui sì era «al corrente di quanto era avvenuto in realtà nella scuola, cosicché redigendo la sua relazione in modo tale da indurre il lettore a convincersi che coloro che si trovavano nell'edificio avessero posto in essere atti di resistenza violenta in modo diffuso e generalizzato, avvalorava la tesi circa la loro responsabilità concorrente in ordine sia al reato di resistenza sia a quello associativo, nonostante fosse del tutto consapevole che ciò non corrispondeva al vero».


www.ilmanifesto.it

12 feb 2009

L'audace colpo del solito noto (di Marco Travaglio)

Lui fa sempre così: impone un tema a tutti i giornali e tg per nascondere qualcosa di losco. Stavolta ha usato il corpicino di E.E. mentre si metteva al riparo dal processo Mills. Occhio alle date. Il 6 febbraio la Corte costituzionale stabilisce che le sentenze definitive «valgono» come prova nei processi in corso. Il 7 febbraio il governo infila nel ddl Alfano-Ghedini sulla giustizia un codicillo che dice il contrario: salvo che nei processi di mafia e terrorismo, le sentenze definitive non valgono più. Ciò che ha accertato irrevocabilmente la Cassazione dev’essere ridimostrato ogni volta, richiamando tutti i testi già sentiti nel processo chiuso. Norma incostituzionale (cancella una sentenza della Consulta) che, per giunta, allunga i tempi dei processi. Indovinate un po’ chi si avvantaggerà di questo cavillo da azzeccagarbugli? Ma l’imputato Berlusconi, naturalmente, se e quando tornerà in tribunale per corruzione del testimone Mills. Fra sette giorni il processo a carico di Mills arriverà a sentenza. Supponiamo che sia di condanna e che venga confermata in appello e in Cassazione: i giudici avrebbero in mano un giudicato definitivo su Mills corrotto da Berlusconi. Giudicare Berlusconi per aver corrotto Mills sarebbe un gioco da ragazzi, senza richiamare decine di testi. Di qui il provvidenziale salva-Silvio. Lui chiedeva di rimettere il sondino a E.E. e intanto lo staccava ai giudici. L’altro giorno, a Torino, due tizi hanno rapinato una banca mascherati da Berlusconi e Dell’Utri. Sulle prime il cassiere era terrorizzato. Poi ha capito che erano solo maschere.

Prove tecniche di golpe

È stata una delle settimane più drammatiche degli ultimi anni. 1. Il governo ha varato le sue norme sulla "sicurezza", in realtà vere e proprie leggi razziali: tolta (con la minaccia di essere denunciati) l'assistenza medica agli immigrati non regolari, imposta una tassa etnica di soggiorno per immigrati e rom, iscrizione in liste obbligatorie per i barboni, legittimazione per le bande leghiste, alias ronde padane... 2. Il governo ha presentato la sua controriforma della giustizia, che cambia i connotati al sistema giudiziario in Italia, rende quasi impossibile indagare sui politici e sui potenti e contiene un'ennesima norma ad personam per Berlusconi (ne parleremo presto). 3. Il caso Eluana Englaro, dolorosissimo e delicatissimo, è stato preso a pretesto per sferrare un attacco agli equilibri costituzionali, al presidente della Repubblica, alla Costituzione repubblicana (da cambiare perché scritta, ha dichiarato Berlusconi, "molti anni fa sotto l'influenza della fine di una dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione russa come a un modello da cui prendere molte indicazioni"). Siamo alle prove tecniche di golpe. Con la sfida al capo dello Stato e la denigrazione della Carta costituzionale su cui anche Berlusconi ha giurato. Il tutto fatto in un clima di imbroglio, di insopportabile rovesciamento della verità: noi siamo per la libertà e per la vita, contro quelli che sono per lo Stato e per la morte, ha detto il presidente del Consiglio. Ma è proprio la libertà di scegliere che sta attaccando, imponendo una disciplina di Stato sui cosiddetti temi eticamente sensibili, imponendo un'etica obbligatoria di Stato. È così: dicono di essere per la vita perché obbligano all'accanimento medico su una persona la cui vita vera è finita 17 anni fa, e contemporaneamente fanno una legge che impedisce la vita alle donne e agli uomini vivi, dicendo ai medici di denunciare i clandestini. E con un ministro della Repubblica, Roberto Maroni, che dichiara che bisogna "essere cattivi" con gli immigrati clandestini, dimostrando di non sapere che cosa siano le istituzioni, che non possono e non devono essere né buone né cattive. E gli italiani-brava-gente per ingiustificata fama, dimostrano subito di essere come li vuole il ministro: tentano di linciare (e non è la prima volta) un romeno ubriaco che aveva appena ammazzato un uomo in un incidente stradale. Sì, stanno emergendo gli italiani cattivi che tanto piacciono al ministro, gli italiani delle ronde, della giustizia fai da te. Gli italiani incattiviti. Legittimati dal governo e dagli uomini di partito che danno l'esempio. Come Roberto Manenti: sindaco leghista di Rovato, in provincia di Brescia, noto per le sue battaglie per la moralità e contro la prostituzione, che in questi giorni è stato condannato a sei anni per aver stuprato una prostituta romena di 19 anni. Come Massimo Ponzoni, assessore della Regione Lombardia, condannato ad abbattere, lui, assessore all'Ambiente, le sue due villette abusive in Brianza. Come Silvio Berlusconi: un presidente del Consiglio che dice che, per evitare gli stupri, ci vuole un carabiniere a scorta di ogni bella donna. Rivelando così la sua concezione dello stupro e della donna: se una donna è bella, è naturale che gli uomini siano tentati di stuprarla. Del resto, a una bella donna che Silvio aveva raccomandato nelle famose intercettazioni al presidente di Rai fiction Agostino Saccà, è finalmente arrivato un piccolo premio: Elena Russo fa la testimonial di Napoli liberata dalla munnezza in una pubblicità progresso pagata dalla presidenza del Consiglio. Intanto la crisi economica e sociale avanza inesorabile, il cosiddetto federalismo approvato dal governo avrà costi insostenibili in tempi di crisi e moltiplicherà la casta. Ma Berlusconi tira diritto. Sfida le istituzioni e la Costituzione. Procede nelle sue prove tecniche di golpe. E chi non è d'accordo si prepari al peggio. Un piccolo assaggio: gli operai di Pomigliano d'Arco che volevano scioperare sono stati massacrati dalla polizia. Era tanto che non succedeva.
da www.societacivile.it/blog/

Berlusconi Benito, Fidel, Francisco, Maria (di Carlo Cornaglia)

Che sia l’Unto del Signore
Berlusconi un dittatore
sono in molti ormai a pensarlo,
ma li rode un altro tarlo:
“Ha un modello il Cavaliere?”
Il suo vecchio gazzettiere,
ora un ex, Paolo Guzzanti
lo presenta a tutti quanti
come Kim Sung coreano,
ma va Soru più lontano
a Caligola arrivando.
Pur Di Pietro non è blando
quando a giorni alterni svela
che ha copiato da Videla,
da Adolf Hitler, da Bokassa.
Walter la prende più bassa
e lo accosta a Mussolini.
Dittatori, anche assassini,
ce ne sono ancora a iosa,
Pinochet, Franco, Somoza,
Mao, Ceausescu, Peron, Castro,
Pol Pot con quel gran disastro
di Milosevic, Baffone.
A qual di queste persone il caimano si rifà?
Il Berlusca, in verità,
esser vuole originale,
come sempre senza eguale,
il miglior dei dittatori,
bianchi, rossi, gialli, mori.
Ma poi scavi e scopri che
in realtà un modello c’è.
Può far tutto quel che vuole,
tutti seguon le sue fole,
è osannato dalla gente
in qualunque continente,
ha un esercito per sé,
giammai deve dir perché,
ha l’infallibilità,
ha total impunità,
non governa, ma decreta,
quel che vuol vietare vieta,
è il padron delle coscienze,
molto in alto ha le aderenze,
ha il poter fino alla morte,
ha un’enorme cassaforte
e, se ancora non bastasse,
non ha mai pagato tasse.
Il modello del ducetto
ha per nome Benedetto,
il pontefice romano,
dittatore in Vaticano.
(10 febbraio 2009)

11 feb 2009

Il circo è finito con la morte di Eluana

Ormai è stato detto tutto. Ma nonostante le parole che si azzuffano alla ricerca di quella verità mediatica che masturba la cattolicità strisciante tutta italica, ciò che resta è il fumo della sigaretta dopo un amplesso macchiato di mediocrità. Non c'è un'ideologia strutturata attorno alla quale annodare i fili scomposti di un dibattito adulto. Non c'è crescita condivisa o condivisibile. Ci sono solo le luci stanche del circo. Gli animali che vengono spinti nelle gabbie dopo lo spettacolo. I clown che si struccano per tornare a sorridere. I trapezisti tornano a calpestare lo stesso terreno su cui gli spettatori sputano le proprie meschinità tornando a casa. Una donna in coma da 17 anni diventa il nano barbuto di cui i piccoli fedeli della ACR si prendono gioco. Quasi 20 anni di sonno e Berlusconi parla del suo ciclo mestruale. Quasi 20 anni di sonno e Quagliarello non riesce a tacere per un minuto. Quasi 20 anni di sonno e Mentana si dimette, il Vaticano accusa il guidice-boia, Gasparri in preda ad un delirio burocratico parla di firme messe e non messe. Ma questa volta il circo non perdona. Non è più il tempo di riorganizzare la carovana e ripartire per la prossima tappa. Gli animali sono stanchi. Il clown è invecchiato. La gravità è diventata immobilizzante per la coppia dei trapezisti. C'è bisogno di verità. C'è bisogno che qualcuno lo ammetta. C'è bisogno che qualcuno ammetta che si è trattato di un pretesto. Eluana è stata l'ennesimo tentativo ben riuscito di distogliere l'attenzione delle masse da quelli che sono gli argomenti su cui un Governo responsabile dovrebbe catalizzare le proprie energie. L'UE utilizza l'aggettivo "tetre" per definire le conseguenze della crisi economica in Italia, dal momento che il nostro Governo non sta facendo assolutamente nulla per adottare misure efficaci. Berlusconi risponde con l'ennesimo caso mediatico. E questa volta il caso si è chiamato "Eluana". Quando finirà la farsa? Il Cavaliere che ormai da anni cavalca la causa dell'anti-costituzione, dell'anti-democrazia, dell'anti-legalitarismo ci è quasi riuscito. Ha cercato di sfondare con un calcio ben assestato la porta del Viminale che aveva tentato di opporre un minimo di resistenza attraverso il "no" di Napolitano all'emanazione del decreto-salvavita. Non c'è riuscito. Questa volta. Ma siamo veramente al punto di dover sperare nella morte di qualcuno per salvare la nostra democrazia? Sembra cinico. Forse lo è. Ma a 24 ore di distanza dalla morte di Eluana qualcuno tira un sospiro di sollievo. Ma il cinismo non può fondare una democrazia sana. Il cinismo fa muovere gli ingranaggi di quel grande circo dal quale nessuno riesce a tirarsi fuori. Pur volendolo. Un minuto di silenzio in Parlamento è ciò che l'Italia sa fare in queste occasioni. Un minuto di silenzio per poi correre a lavare i panni sporchi in famiglia, ritirarsi nelle proprie solitudini, mettersi a 90 gradi davanti ai clericanti dalle bocche larghe e dalle braghe facilmente sfilabili, genuflettersi al cospetto di religioni fasulle, farsi gettare fumo negli occhi dopo aver bruciato gli incensi delle preghiere. Questo è il circo italico. Sarà arrivato il momento di scendere.

10 feb 2009

IL MIRACOLO DI ELUANA CHE HA BEFFATO BERLUSCONI


Eluana è morta. Il cuore si è fermato alle 20.10, proprio mentre al Senato della Repubblica la maggioranza di destra proseguiva la sua marcia forzata in tempi record per il varo della legge che avrebbe impedito al padre di Eluana, Beppino Englaro, di esaudire la volontà di sua figlia. Eluana è morta appena in tempo per impedire che su di lei si compisse l'estremo scempio, in ossequio ai desideri delle gerarchie vaticane, che per chi governa oggi l'Italia sono legge, e non solo in via metaforica.
Eluana è morta, e per un attimo, anzi per un minuto, sessanta secondi contati, sembra che la fine della sua lunghissima agonia possa concludere la assurda guerra scatenata intorno al suo capezzale non dalla politica, come si suol dire in questi casi, ma da una precisa parte politica, quella che fa capo al cavalier Silvio Berlusconi. Un minuto di silenzio. Quello che il presidente del Senato Renato Schifani chiede venga osservato in memoria della donna scomparsa. Ma appena terminato il fuggente attimo di raccoglimento, già riparte la carica. A guidarla è una testa d'uovo forzista, il senatore Gaetano Quagliarello: "Eluana non è morta, è stata ammazzata", scandisce dal suo banco e in aula quasi si scatena la rissa. "Sciacallaggio", accusa la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro, mentre i comessi fanno muro per frenare la rissa e Schifani interrompe la seduta.
Ma i delìri di Quagliarello sono niente a confronto di quelli del capogruppo del Pdl alla Camera, Maurizio Gasparri: "Ne sono certo - bercia stridulo - è stata eutanasia. Su questa vicenda peseranno per sempre le firme messe. E quelle non messe". L'allusione, pesantissima, più inaudita che inconsueta, è palese: nel mirino c'è Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica che, negando la sua firma al decreto varato dal governo, aveva reso possibile l'interruzione del nutrimento che teneva in vita vegetativa Eluana.
E' più che un'offesa. E' più che un semplice sgarbo.
E il primo a bollarlo, con parole durissime è il presidente della camera e compagno di partito di Gasparri Gianfranco Fini, il cui comportamento, in questa vicenda, è stato impeccabile. "Gasparri - scrive in una nota - è un irresponsabile. Diovrebbe imparare a tacere". Pochi minuti dopo anche Schifani censura le intemperanze di Maurizio Gasparri, che tuttavia insiste: "Io sono una persona molto responsabile, che rispetta dalle più alte aurità istituzionali all'ultima persona in un letto d'ospedale".
Ma nonostante i Gasparri e i Quagliariello, la destra non ha alcuna intenzione di soffiare ancora sul fuoco. La conferenza dei capigruppo di palazzo Madama accetta la proposta che arriva dal Pd. La seduta riprenderà in mattinata con il voto sulle mozioni, ma intanto verrà messa in cantiere la legge sul testamento biologico, con l'obiettivo di prtarla in aula tra due settimane.
Neppure il Pd ci tiene a mantenere alta la tensione, e dunque rinuncia subito alla manifestazione "in difesa della Costituzione" convocata per il pomeriggio di martedì. Certo, Veltroni si era schierato contro la legge, ma lasciando libertà di coscienza ai parlamentari piddini e soprattutto rinunciando a ogni tentativo di ostruzionismo.
Il terremoto non si ferma nei palazzi della poliica. Arriva anche nel regno del biscione. Canale 5 rifiuta di sospendere la succulenta puntata del "Grande Fratello" (roba forte, l'espulsione di Federica colpevole di aver tirato un bicchiere in testa a qualcuno, previsti ascolti record) per sostituirla con una puntata speciale di "Matrix" sul caso Eluana. E il direttore Enrico Mentana getta la spugna. Non è così che si può fare informazione, dice rassegnando le dimissioni. Accolte immediatamente, ancor prima che fossero formalizzate. Da quelle parti il leso share è un peccato mortale.
Sin qui i palazzi della politica e dell'informazione.
A Udine, invece, il padre di Eluana può infine sfuggire al dolorosissimo clamore di questi ultimi giorni: "Ora voglio restare solo". E sceglie il silenzio anche Giorgio Napolitano. Il Vaticano no. "Dio perdoni chi l'ha portata qui", dichiara il "ministro della Salute" della santa sede, cardinal Barragan. Incorregibili.

da www.ilmanifesto.it