7 lug 2012

27 mag 2012

Undici tesi per una genealogia della scuola pubblica

















Foto di gruppo in una Work House inglese. Facendo la genealogia della scuola pubblica, non troviamo le accademie peripatetiche o le istitutrici delle famiglie borghesi; piuttosto, le case dei poveri che disciplinarono i bambini di strada all'inizio del capitalismo industriale. 


I.
Ogni scuola ha sempre vissuto nella contraddizione tra finalità espressa e finalità reale, cioè tra quello che dice di fare e quello che effettivamente fa. Nello stato borghese la scuola ha risposto al mandato esplicito di fornire a tutti i cittadini le nozioni e le competenze necessarie per partecipare alla gara della vita partendo tutti dalla stessa linea fino ad occupare nella società, grazie all’impegno e al sudore della fronte, ciascuno il posto che si è duramente meritato. A fianco e dietro a questo mandato esplicito, ha sempre insistito nella scuola il mandato sostanziale: quello di confermare, avallare e sacralizzare la stratificazione sociale, confermando per ciascun individuo il corretto livello di aspirazioni, la natura delle sue qualità, il posto nel mondo da dover accettare.
II.
La finalità sostanziale, ciò che la scuola effettivamente fa, non viene perseguita attraverso l’istruzione, la conoscenza e la cultura. La produzione degli effetti reali avviene dentro la scuola attraverso la disciplina, i voti, le note, le interrogazioni; in generale attraverso la definizione dei “ruoli” e attraverso particolari modalità di relazione tra i corpi. In questo senso diciamo che la scuola è un “dispositivo”. Ciò significa che l’oggetto proprio dell’istituzione scolastica, l’istruzione, non è che un “discorso” che si sviluppa a partire da un insieme di pratiche concrete, minime, quotidiane, il cui effetto è quello di produrre un certo tipo di caratteristiche di “personalità”, un certo tipo di “individui”, soggetti con determinate caratteristiche funzionali al sistema sociale complessivo.
III.
Appello, campanella, compiti, voti individuali, disciplina, gerarchie, verifiche, note, promozioni e bocciature costituiscono l’ossatura della “scolarizzazione”. Con gli effetti che queste pratiche producono sulla vita degli individui, la scuola ottiene un primo importante risultato: diffonde e trasmette il valore della scuola in sè. Forgiando con questi mezzi giovani uomini e donne, afferma continuamente che l’unico modo per entrare nella vita adulta è sottoporsi all’insieme di pratiche della scuola stessa. Quelli che all’occhio dell’ideologia costituiscono un mero strumento, un mezzo tecnico per perseguire il fine dell’istruzione, sono in realtà la prestazione più importante della scuola. La scolarizzazione si è così guadagnata il suo ruolo principe come strumento per indirizzare gli uomini alla produzione industriale e ai rapporti economici della società fordista.
IV.
Nell’era della produzione postfordista il ruolo della scuola entra in una nuova fase.  Con lo spostarsi della centralità dalla produzione in fabbrica al consumo, la società non ha più bisogno di masse di lavoratori disciplinati, rigidamente separate dai quadri amministrativi della classe dirigente. Il consumatore postmoderno deve soprattutto produrre la sua personalità, una personalità tale che gli permetta di essere socialmente incluso: la differenziazione dei desideri, la particolarità delle scelte, il perseguimento del benessere diventano gli obiettivi primari dei soggetti. L’identità non è più legata a un posto stabile nella catena di montaggio, ma deve essere fluida, flessibile, adattabile a una serie di contesti disgregati e senza orizzonte collettivo. La scuola, come dispositivo fordista, che tiene gli alunni legati alla disciplina del banco e al valore dell’istruzione, è condannata ad una irreversibile crisi.
V.
La scuola, diventata “di massa” in epoca postfordista, perde ogni credibilità anche come strumento di mobilità sociale in una fase di contrazione economica. Oggi attraverso la scuola ogni mobilità sociale è divenuta impossibile. E, con questa, vengono meno tutti i discorsi sulla cultura come emancipazione, sull’educazione come strumento di progresso. La scuola è condannata ad un presente eterno, contraddittorio e immobile. Senza nessuna visione di futuro, riproduce quotidianamente se stessa e il suo “stato di emergenza”.
VI.
L’insieme di mandati impliciti riservati alla scuola diviene insopportabile. Piuttosto che esplodere, la scuola si differenzia in sottocategorie che svolgono ciascuna mandati impliciti e taciuti: gli anni dell’obbligo, immensi raccoglitori di disagio, gli istituti tecnici, fabbriche di sottoculture, gli istituti di qualità A, B e C, per mantenere in piedi il fantasma della formazione di elite. Stressata da queste fratture interne, la scuola sviluppa una nuova identità, è costretta a subire “colonizzazioni” da discipline pedagogiche, psicologiche e sanitarie.
VII.
I cattivi professori di retroguardia, ciecamente legati all’ideologia dell’istruzione, da decenni lamentano questo stato di cose. L’intrusione dell’educativo, del pedagogico e del sociale nella scuola. Dietro all’educativo e al pedagogico, si fa strada la portata di psicologismi, preoccupazioni sanitarie, attenzioni psichiatriche. Non siamo lontani dai test d’intelligenza collettivi con cui formare le classi. Attraverso rigidi parametri tecnici, il controllo sociale diffuso si stende sulla “maggioranza deviante”, che non può che essere deviante, rispetto ad una istituzione che non si sa più a cosa serva. Il tutto velato da una costante alternanza di maternalismo e paternalismo, il volto assistenzialista e il volto autoritario, la mamma e il papà che alternano e delegittimano reciprocamente le loro funzioni in una casa alla deriva. 
VIII.
La scuola resta dunque un luogo critico, dove troppe variabili rischiano di generare il disordine. Allora la strategia consona al potere diventa quella di incanalare le incertezze in una politica di forza, un politica dell’ordine e della repressione. Le modifiche negli statuti degli istituti, nei regolamenti per gli studenti, negli ordini del ministero e nel comportamento dei presidi vanno chiaramente in questa direzione. Tornelli, sospensioni, denunce, delazioni, sono gli strumenti di questa gestione amministrativa ansiolitica. In uno stato di disordine strutturale, il disordine fornisce sempre l’occasione per riaffermare l’autorità, la disciplina e la forza. Da luogo potenzialmente esplosivo si cerca di fare della scuola una fabbrica di consenso.
IX
Come rendere la scuola una fabbrica di consenso? Riempiendola di utili idioti, intellettuali organici a qualsiasi potere dominante, piccolo borghesi il più possibile servili e proni, cerimonieri dell’autorità. Meschinità, corporativismo, amore incondizionato per l’autorità non sono però qualità innate nell’animo del corpo docente. Essi sono piuttosto il prodotto di un politica oculata: bassi salari, ricattabilità, competizione tra livelli professionali,cooptazione, categorie differenziate e gabbie salariali sono il brodo di coltura di queste qualità dell’animo.
XI.
Il tutor per l’integrazione degli alunni disabili nasce in questo contesto. Un dispositivo fordista alla deriva, percorso da venature reazionarie, tenta affannosamente di “correggere” la sua impostazione sorpassata con un’apertura ad un modello di welfare più giovane, sussidiario, relazionale, informale. Dal matrimonio incestuoso tra le due generazioni di welfare nasce una figura mostruosa. Il tutor, che dovrebbe lavorare sulla inclusione sociale dei disabili, viene deprofessionalizzato, sottopagato, costretto a un ruolo di “tappabuchi” per obiettivi didattici ed educativi impossibili da realizzare, ma senza averne la dignità di categoria.
L’unica lotta che i tutor possono portare avanti, dunque non può che uscire dalla scuola, e portarsi alla società che produce la scuola come luogo di inesplicabili contraddizioni. L’integrazione sociale del mondo è stata compiuta, ora si tratta di cambiarlo. 

16 dic 2010

NON E' CHE UN INIZIO




Infiltrati o no, quello del 14 dicembre non sarà un episodio isolato. Altre automobili bruceranno, altre banche verranno attaccate, altri simboli verranno infranti. Il popolo tutto intorno, in manifestazione, urlerà di gioia e di soddisfazione. Non potrete, voi giornalisti, politici "amici", questori, distinguere i buoni dai cattivi. Tutti esulteranno quando la loro rabbia avrà distrutto i simboli di quest'ordine di cose.

Alcuni non possono capire questa esplosione di rabbia. I partiti "amici" per esempio, che credono di poter usare il movimento come manovalanza di piazza ma hanno rinunciato a rappresentare il conflitto nella società, non potranno capire. Chiederanno di stare calmi. Peggio: tenteranno di dividerci in "buoni" e "facinorosi", inventandosi degli estremisti su cui scaricare la colpa.

No. Noi rispondiamo loro che non ci sono buoni e cattivi. Che loro non possono capire la nostra rabbia perchè quella società immaginaria in cui vivono, l'abbiamo visto e dimostrato, non esiste più. Quella società pacificata, senza più lotta di classe, senza più dominati e dominanti, senza più sfruttati e sfruttatori, in cui hanno cercato di farci credere, beh, non esiste più. Noi l'abbiamo visto e l'abbiamo dimostrato.

Lo abbiamo visto quando le forze dell'ordine ci hanno attirato in trappola e provocato in Piazza San Giovanni, picchiando signore in carrozzina e caricando studenti - fino a quel momento - pacifici.

Lo abbiamo visto quando i deputati si spintonavano in aula, poi andavano a votare a testa bassa, nascondendosi per la vergogna, arraffando accordi per università private di proprietà o devolvendo fondi alle scuole dei preti mentre, dicono, c'è la crisi.

Lo abbiamo visto bene parlando con i ricercatori, con gli operai, con gli insegnanti precari, con gli immigrati sfruttati e costretti alla clandestinità.

Lo abbiamo visto bene chi sono gli sfruttatori, quali sono gli interessi delle classi dominanti, chi sono i provocatori.

Si aggira per l'Europa una generazione che nella mediazione politica vede solo il calcolo cinico di interessi individuali, che si sommano a formare maggioranze che non incarnano alcuna idea, ma solo gli accordi untuosi di viscidi opportunismi.

Si aggira per l'Europa una generazione che nel futuro vede solo precarietà, nessuna prospettiva di realizzazione personale, nessuna prospettiva di mobilità sociale, diritti che si trasformano in privilegi per ricchi e governi che pensano a salvare le banche tagliando il welfare.

Si aggira per l'Europa una genrazione che nelle forze dell'ordine vede solo i sicari assoldati dai ricchi per fare piazza pulita delle diversità.

Beh, signori, questo non è che un inizio. Voi non capirete, o farete finta di non capire, e altra violenza verrà. E noi diremo che è giusta.

Siamo noi la vostra crisi. 



29 set 2010

BARZELLETTE

Spiega il giornalista parigino di passaggio Roma per studiare da vicino il laboratoire italien che i francesi sono furiosi con Sarkozy soprattutto perchè sta facendo fare una brutta figura al loro paese. In un recente sondaggio il 93 per cento dei francesi si lamentano troppo.
Povera Francia, titolava in copertina la scorsa settimana Courrier International, "all'estero la tua immagine si sta deteriorando". Dannzinger, vignettista statunitiense, disegna una colonna di auto e camion con a bordo i rom espulsi dal paese che resta bloccata in una manifestazione di lavoratori francesi contro l'aumento dell'età pensionabile.
L'articolo di Le Monde a pagina 19 che racconta la riunione della settimana scorsa tra i leader europei per discutere la questione dei rom fa venire in mente le barzellette con l'italiaano, il francese e il tedesco.
Solo che in questo caso non c'è niente da ridere.
Anche perchè la parte del più ridicolo spetta all'italiano.

Giovanni De Mauro
fonte L'Internazionale numero 865

20 giu 2010

auguri di un buon compleanno.

Un appello di Aung San Suu Kyi

Il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi domani compirà 65 anni. Un compleanno che a Rangoon sarà celebrato in sordina, all’interno della casa-prigione in cui la leader dell’opposizione birmana ha vissuto negli ultimi vent’anni quasi ininterrottamente.

I suoi compagni di partito, la Lega nazionale per la democrazia (Nld), recentemente costretta a sciogliersi, si riuniranno per renderle omaggio da lontano, non essendo autorizzati a farle visita.

Per l’occasione dalla Birmania arriva un appello al mondo occidentale che U Win Tin, amico di Aung San Suu Kyi, ha fatto arrivare all’Independent: “Voglio ripetere e dare eco alle sue stesse parole: ‘Per favore, usate la vostra libertà per promuovere la nostra’, e vorrei anche aggiungere che noi birmani abbiamo sete di libertà e stiamo aspettando che qualcuno, sia esso una persona, un paese o un’istituzione, ce la porti”.

La Birmania si prepara alle elezioni, in programma entro la fine del 2010, che a detta della giunta militare al potere saranno la pietra miliare della democratizzazione del paese, mentre per gli osservatori esterni serviranno solo a cementare il potere degli attuali dittatori.

fonte: Internazionale