31 ago 2009

L'ANTICRISTO FRA NOI

Non fu l’unghia bisulce del Diavolo, ma furono le poppe di Tinì Cansino ad annunciare la venuta dell’Anticristo nel Drive In dell’Italia gaudente e volgare degli anni Ottanta. Comunque si concluda questo ciclo lunghissimo della vita italiana, dovremo alla fine registrare il tentativo più massiccio e riuscito di scristianizzazione della società italiana mai avvenuto nella nostra storia.
Ma qui non si sta parlando solo dello stile di vita del premier, delle sue «scostumatezze» e del «gaio libertinaggio» (in realtà triste e compulsivo) a cui si abbandona: ed è significativo che solo gli scandali sessuali abbiano risvegliato sconcerto in una parte della Chiesa, incapace di vedere quello che è dietro l’apparenza vistosa, il commercio di corpi, di intelligenze, di volontà, femminili e maschili, che è parte integrante di un sistema di disvalori che opera e prevale da trent’anni.
Il fondo anticristiano del blocco sociale e culturale che domina l’Italia non può a lungo venire mascherato dall’ossequio untuoso e ipocrita, tipico di un clericalismo ateo, alla religione come fattore di ordine e stabilità, alle battaglie di contenimento e repressione che parte della Chiesa giudica «irrinunciabili» sul terreno della bioetica e dei diritti della persona.
Ma emerge da tempo qualcosa che chiama in causa i fondamenti stessi di una civiltà, che non dipende da decisioni «storiche» della Chiesa in quanto istituzione (quante battaglie «irrinunciabili» della Chiesa dell’Ottocento sono finite giustamente nel dimenticatoio assieme al Sillabo?) ma investe il deposito primario e realmente inalienabile del messaggio cristiano.
Su accoglienza ed emigrazione la maggioranza di governo ha espresso, nella sua cultura quotidiana ancor più che nelle leggi, quanto di più anticristiano fosse possibile e ipotizzabile. Le uscite estive della Lega hanno solo incrudelito qualcosa che era già diffuso e percepibile, ormai quasi consuetudinario in una società postcristiana ossessionata solo dai problemi delle tasse e della sicurezza.
Per la Lega l’identità cristiana è una tradizione locale come la polenta taragna o la corsa nei sacchi, che serve, quando serve, solo a marcare lontananza ed estraneità con quello che è oltre il piccolo orizzonte che presidia. Gli sfugge qualunque elemento che richiami alla misericordia, alla carità e all’amore del prossimo che è ciò che rende riconoscibile e credibile la sostanza stessa del cristianesimo.
È del tutto tipico che si tenti di risolvere il contrasto che sta aprendosi con contropartite di potere e vantaggi in favore del Vaticano, sul piano legislativo e normativo, un do ut des che fa della Chiesa un Mastella enormemente più grande da compensare e rabbonire. Non è detto che questo non possa funzionare nell’immediato: la polemica interna al mondo cattolico testimonia di uno scontro tra clericali e democratici ricorrente e abituale negli ultimi decenni. Dove i cattolici democratici si sono trovati in questi anni a difendere valori universali della democrazia italiana e della forma storica che essa ha assunto nell’esperienza repubblicana: mentre il grosso della sinistra tentava Bicamerali e Grandi Riforme, a uomini come Dossetti, Scoppola, Elia, Scalfaro è stata affidata la difesa della civiltà costituzionale italiana. Non da soli, ma in posizione predominante e con coraggiosa limpidezza.
Ma la partita che si è aperta adesso non riguarda la Chiesa in quanto istituzione, e neppure il solo mondo cattolico nel suo complesso, ma l’intera società italiana e la sua identità più profonda, che esce snaturata e irriconoscibile da trent’anni di dominio culturale e da quindici anni di egemonia politica di questa destra.

27 ago 2009

VIDEOCRACY




ROMA - Nelle televisioni italiane è vietato parlare di tv, vietato dire che c'è una connessione tra il capo del governo e quello che si vede sul piccolo schermo. La Rai ha rifiutato il trailer di Videocracy il film di Erik Gandini che ricostruisce i trent'anni di crescita dei canali Mediaset e del nostro sistema televisivo.

"Come sempre abbiamo mandato i trailer all'AnicaAgis che gestisce gli spazi che la Rai dedica alla promozione del cinema. La risposta è stata che la Rai non avrebbe mai trasmesso i nostri spot perché secondo loro, parrà surreale, si tratta di un messaggio politico, non di un film", dice Domenico Procacci della Fandango che distribuisce il film. Netto rifiuto anche da parte di Mediaset, in questo caso con una comunicazione verbale da Publitalia. "Ci hanno detto che secondo loro film e trailer sono un attacco al sistema tv commerciale, quindi non ritenevano opportuno mandarlo in onda proprio sulle reti Mediaset".

A lasciare perplessi i distributori di Fandango e il regista sono infatti proprio le motivazioni della Rai. Con una lettera in stile legal-burocratese, la tv di Stato spiega che, anche se non siamo in periodo di campagna elettorale, il pluralismo alla Rai è sacro e se nello spot di un film si ravvisa un critica ad una parte politica ci vuole un immediato contraddittorio e dunque deve essere seguito dal messaggio di un film di segno opposto.

"Una delle motivazioni che mi ha colpito di più è quella in cui si dice che lo spot veicola un "inequivocabile messaggio politico di critica al governo" perché proietta alcune scritte con i dati che riguardano il paese alternate ad immagini di Berlusconi", prosegue Procacci "ma quei dati sono statistiche ufficiali, che sò "l'Italia è al 67mo posto nelle pari opportunità"".

A preoccupare la Rai sembra essere questo dato mostrato nel film: "L'80% degli italiani utilizza la tv come principale fonte di informazione". Dice la lettera di censura dello spot: "Attraverso il collegamento tra la titolarità del capo del governo rispetto alla principale società radiotelevisiva privata", non solo viene riproposta la questione del conflitto di interessi, ma, guarda caso, si potrebbe pensare che "attraverso la tv il governo potrebbe orientare subliminalmente le convinzioni dei cittadini influenzandole a proprio favore ed assicurandosene il consenso". "Mi pare chiaro che in Rai Videocracy è visto come un attacco a Berlusconi. In realtà è il racconto di come il nostro paese sia cambiato in questi ultimi trent'anni e del ruolo delle tv commerciali nel cambiamento. Quello che Nanni Moretti definisce "la creazione di un sistema di disvalori"".

Le riprese del film, se pure Villa Certosa si vede, è stato completato prima dei casi "Noemi o D'Addario" e non c'è un collegamento con l'attualità. Ma per assurdo, sottolinea Procacci, il collegamento lo trova la Rai. Nella lettera di rifiuto si scrive che dato il proprietario delle reti e alcuni dei programmi "caratterizzati da immagini di donne prive di abiti e dal contenuto latamente voyeuristico delle medesime si determina un inequivocabile richiamo alle problematiche attualmente all'ordine del giorno riguardo alle attitudini morali dello stesso e al suo rapporto con il sesso femminile formulando illazioni sul fatto che tali caratteristiche personali sarebbero emerse già in passato nel corso dell'attività di imprenditore televisivo".

"Siamo in uno di quei casi in cui si è più realisti del re - dice Procacci - Ci sono stati film assai più duri nei confronti di Berlusconi come "Viva Zapatero" o a "Il caimano", che però hanno avuto i loro spot sulle reti Rai. E il governo era dello stesso segno di oggi. Penso che se questo film è ritenuto così esplosivo vuol dire che davvero l'Italia è cambiata".

di Maria Pia Fusco
fonte Repubblica.it
27 agosto 2oo9

26 ago 2009

La sentenza della Corte Europea "Carlo Giuliani ucciso per legittima difesa"


Mario Placanica, il carabiniere che nel luglio del 2001 uccise Carlo Giuliani durante il G8 di Genova, ha agito per legittima difesa. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell'uomo in una sentenza resa pubblica oggi. I giudici di Strasburgo hanno respinto quasi tutti gli elementi del ricorso della famiglia di Giuliani contro lo Stato italiano, dichiarando la non violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo in tre casi su quattro.
La Corte ha quindi accettato la versione delle autorità italiane su come si sono svolti i fatti. Secondo la sentenza, infatti, il militare che sparò a Giuliani non è ricorso a un uso eccessivo della forza, ma ha risposto a quello che ha percepito come un reale e imminente pericolo per la sua vita e quella dei suoi colleghi. "Il carabiniere", si legge nella sentenza, "si stava confrontando con un gruppo di manifestanti che stava portando avanti un violento attacco al veicolo su cui si trovava". Il militare ha sparato "solo quando l'attacco è proseguito" e quando "ha percepito un rischio reale e imminente per la sua vita e quella dei suoi colleghi" I giudici hanno anche ritenuto che, a differenza di quanto sostenuto dalla famiglia Giuliani, il governo italiano abbia cooperato sufficientemente con la Corte, consentendo di condurre un appropriato esame del caso. Nessuna violazione, dunque, dell'articolo 38 della convenzione che impone agli Stati contraenti di fornire tutte le informazioni richieste dai giudici di Strasburgo. La Corte ha dato invece ragione ai familiari di Carlo Giuliani riconoscendo come l'Italia avrebbe dovuto svolgere un'inchiesta per stabilire se il fatto potesse essere ascrivibile a una cattiva pianificazione e gestione delle operazioni di ordine pubblico. Secondo i giudici, quando uno Stato ospita un evento come il G8, considerato ad alto livello di rischio, è necessario prendere ogni misura di sicurezza necessaria anche per salvaguardare i diritti di chi protesta e la libertà di espressione: l'italia nel pianificare e preparare le misure di pubblica sicurezza, avrebbe "minimizzato" i rischi. Anche se la Corte non riconosce alcun legame diretto e immediato tra i 'difetti' nella preparazione delle operazioni e la morte di Carlo Giuliani. Per questo i giudici hanno stabilito che lo Stato dovrà risarcire 40.000 euro ai genitori di Carlo Giuliani.

25 ago 2009

BERLUSCONI STORY

Come sempre il modo è sostanza del discorso. Lo conferma la strana piega del dibattito mediatico sullo scambio fra sesso e potere, innescato dalle pubbliche esibizioni della «virilità» del premier. Sulla «miseria della mascolinità» che sta andando in scena dovrebbero essere gli uomini a dire qualcosa, ha osservato giustamente Tamar Pitch (il manifesto, 3 agosto). È un silenzio, quello degli uomini sulla mascolinità che parla di impotenza a dare senso alla sessualità. E dunque alle relazioni. E che genera arroganza, simbolica e fisica, proprio perché quell’impotenza è negata. Invece di incalzarlo, su Repubblica e su l’Unità si lamenta il «silenzio delle donne». Torna così la più classica rappresentazione, maschile, delle donne. Sono loro le responsabili di quella miseria, sessuale e politica, perché «apprezzano» (o apprezzerebbero) questa mascolinità. Da qui il dibattito sul consenso – femminile!- a Berlusconi, l’uomo e il politico. E sull’identificazione, rassegnata o complice, con l’immagine, degradata e degradante, della donna-oggetto. Che sarebbe la sola, oltre che la solita, offerta dalla Berlusconi story.
Della quale, inforcando gli occhiali patriarcali dei ruoli tradizionali, si perde di vista inevitabilmente il fulcro, con quello che di inedito segnala sulla sessualità e sulla politica. O meglio, come ha scritto Bianca Pomeranzi (manifesto, 18 agosto), sui fili che costituiscono l’ordito comune all’una e all’altra. Su questo sì, merita discutere, sui giornali e non solo. Tra donne, e tra donne ed uomini. Creando, come abbiamo fatto tante volte in questi anni, occasioni e sedi di una sfera pubblica che interagisca con i media, senza dipenderne.
Da mesi Ida Dominijanni offre su questo giornale la lettura più acuta e convincente della vicenda, collocandola nello scenario del «dopo-patriarcato» e smascherando gli equivoci più comuni, cari a uomini (e donne) politici di destra, e di sinistra. In breve, sono due i punti sui quali riflettere. Il primo è il sistema di scambio tra potere, sesso e denaro. Costruito e imperniato sul premier e la sua corte, chiama in causa la politica tutta, e la società. Ed è fenomeno con forti, preoccupanti, connotati nazionali. Ma non è solo e tutto riducibile ad un’anomalia italiana. Il secondo è che questo sistema coinvolge, ovviamente, le donne, ma spesso e volentieri queste non stanno al posto loro assegnato.
Tornando alla parola e al silenzio. Vi è un rovesciamento delle parti che può apparire singolare (di fatto è ignorato) solo a chi non ha esperienza o conoscenza delle pratiche femministe. A prendere parola pubblica sono state infatti donne del e dal privato: la moglie, Veronica Lario, l’escort Patrizia D’Addario, la figlia Barbara Berlusconi. Ed altre. Viceversa c’è stato silenzio, pesante, delle donne delle istituzioni politiche. Soprattutto nell’area dell’opposizione. Rotto solo tardivamente da alcune, segnalando difficoltà e reticenze. Oppure, dalle file della maggioranza, c’è stata parola «a difesa» di Berlusconi. Da una posizione che si può definire «privata», perché dettata da e volta a ribadire la relazione con l’uomo. E a ricondurre le altre, la moglie e l’escort innanzitutto, al loro ruolo. Privato, per l’appunto.
Comunque, come ha più volte ricordato Dominijanni, se questa storia, tutta politica, è pubblica, è per quello che ne hanno detto le donne. Prima tra tutte Veronica Lario. Come ha scritto la redazione del sito della Libreria delle donne di Milano: «Per noi, a noi, Veronica Lario ha parlato chiaro e forte, la sua voce è stata intesa da parecchie persone e altre donne hanno parlato accreditando le sue parole come parola femminile indipendente dalla logica del potere».
È questo discorso a più voci che ha messo a nudo il sistema di scambi tra potere,sesso e denaro. E la miseria della mascolinità. Ed ha altresì evidenziato quanto siano ormai diversificati i modi femminili di farci i conti. Non tutti, ovviamente, apprezzabili. Vi è un guadagno prezioso per tutte in questo. Non siamo più costrette a dividerci tra sante e puttane, tra donne in carriera e mogli. Ma è un guadagno che va perduto se prevale l’abitudine, dura a morire, a non riferirsi esplicitamente alla parola di altre. Per confermare e approfondire. Per correggere o per dissentire. Come non c’è il «silenzio delle donne» , così «le donne» non parlano all’unisono. Non è (più) possibile e neppure auspicabile.
Per alcune, invece, c’è parola femminile solo se c’è grido collettivo. Di più, solo portando «i nostri corpi in piazza» si vince la passività e la rassegnazione (Lidia Ravera, l’Unità 12 agosto). È stato ripreso da molte nelle lettere al giornale, il suo invito a «contarsi per ricominciare a contare». Per riprendere la rivoluzione interrotta del femminismo. Mobilitazione o no, sono in diverse a leggere la «Berlusconi story» come restaurazione del maschilismo. Sintomo o effetto del declino del femminismo. Per Eva Cantarella (l’Unità 26 luglio) è anzi la conferma della «doppia morale, come se nulla fosse accaduto negli ultimi decenni». Tanto più sconfortante, per noi, se sono le giovani che «si lasciano abbagliare da vecchi uomini potenti» (Nadia Urbinati, la Repubblica 30 giugno).
Ma è davvero così? A noi sembra che la Berlusconi story parli di altro. Certo, la complicità femminile non è finita. Certo, il potere è ancora, largamente, nelle mani degli uomini. E dunque vi sono donne che accettano lo scambio fra sesso e potere. Nelle forme prodotte dalla pervasiva privatizzazione del pubblico. Contrattano posti e carriere politiche, non si accontentano dei regali. Ma né Patrizia D’Addario né le altre «intrattenitrici» sembrano «lasciarsi abbagliare» da vecchi uomini potenti. Molte di loro ridono di una sessualità, compulsiva e ossessiva, figurata più che praticata. Quanto al potere, sembrano adattarsi alla logica del mercato che ha invaso a piene mani la politica, più che subire il fascino del maschio potente. A conferma che gli uomini hanno potere ma hanno perduto autorità. E vi si aggrappano ferocemente, nell’illusione di compensare questa perdita.
Questa miseria, della politica e della sessualità, ci preoccupa e ci interroga. Ci preoccupa la paura, di cui ha scritto Pitch, che troppi uomini hanno della libertà delle donne. Comunque si manifesti. Nella contrattazione del sesso, nella parola pubblica di una moglie, nell’autonomia delle scelte di vita. O nella presa di distanza dalla (loro) politica. Ci preoccupa la diffusa incapacità maschile, in tante situazioni e rapporti, a cimentarsi in relazioni con donne non subalterne. E la resistenza ad assumersi l’onore e l’onere di mutare discorso e pratiche della sessualità maschile. Persistendo nella tendenza a fare dei rapporti tra i sessi un «problema di donne». Fatta salva la loro pretesa di dettare legge sui corpi. Ma anche questa, nonostante tutto, è un’arma spuntata del potere. Può fare male, molto male, ma non fa più ordine.
Se non si collocano gesti e parole, di donne e di uomini, nello scenario del «dopo patriarcato», non si capisce, alla lettera, quello che accade. Ed è inutile, oltre che arduo, provare a reinventarsi i ruoli e le identità di genere. Non fanno più presa sui corpi che siamo. E non danno più senso e futuro alle vite e alle storie. La Berlusconi story sancisce la fine non solo della politica di genere e delle pari opportunità (Natalia Aspesi (Repubblica, 13 maggio). Ma complica anche l’analisi della contrapposizione tra oppresse e oppressori. E la conseguente ricetta della mobilitazione di massa per rovesciare il potere.

fonte www.ilmanifesto.it

AGGRESSIONE OMOFOBA

ROMA - La Procura di Roma fa marcia indietro. Sul caso del gay accoltellato davanti al Gay Village, i magistrati chiedono di trasformare in arresto la denuncia a piede libero contro l'aggressore. Dopo le critiche, i magistrati dell'accusa cambiano idea e chiedono al giudice per le indagini preliminari di arrestare il pregiudicato di 40 anni che sabato notte ha aggredito i gay, ferendone uno in maniera grave a colpi di coltello. "Rispetto a ieri, il mio assistito sta molto peggio - ha detto preoccupato l'avvocato che ha fatto visita alla vittima - Alterna momenti di lucidità ad altri di incoscienza". "Abbiamo sottoposto il ricoverato ad un delicato intervento chirurgico - ha spiegato il direttore sanitario dell'Asl dell'ospedale Sant'Eugenio - Speriamo di sciogliere la prognosi entro le prossime 48 ore".

Due omosessuali picchiati a Rimini. L'omofobia continua a far vittime: altri due gay sono stati picchiati a Rimini. Il pretesto di un posteggio nel cortile del caseggiato ha scatenato la furia di un vicino di casa che ha coperto di insulti a sfondo sessuale i due. "Pochi giorni fa hanno gettato delle uova sulla mia autovettura e oggi ci hanno picchiato e ci hanno chiamati esseri schifosi", racconta Daniele Priori, 27 anni, giornalista e attivista politico di centrodestra, impegnato nella lotta per i diritti civili, vittima dell'aggressione insieme al suo compagno, il cantautore Ciri Ceccarini, 29 anni, conosciuto per il suo brano Sono ciò che sono, presentato quest'anno al Pride nazionale di Genova.

Alemanno: "Restituire fiducia". Le associazioni gay ed esponenti di varie forze politiche hanno accolto con favore la decisione della procura di Roma. Soddisfatto anche il sindaco Gianni Alemanno, che aveva criticato con toni molto accesi il mancato arresto dell'aggressore. "Qualora il Gip accogliesse la richiesta della Procura - ha detto Gianni Alemanno che domani incontrerà le associazioni municipali - sarebbe un passo importante per restituire fiducia alla cittadinanza in merito a una vicenda inaccettabile".

Ricercati i complici I due gay erano stati aggrediti nella notte tra venerdì e sabato mentre si baciavano nei pressi del Gay Village, nel quartiere dell'Eur. Finora l'inchiesta è a carico di un solo indagato, "Svastichella" come lo chiamano gli amici, ma i testimoni raccontano che con il pregiudicato c'erano altre persone.

fonte Repubblica.it

RIMBALZACLANDESTINO

Si chiama «rimbalzaclandestino» ed è un giochetto on-line comparso sulla pagina ufficiale di Facebook della Lega Nord. Da qui può essere condivisa e pubblicizzata su ogni profilo. Il meccanismo è semplice: c'è una mappa dell'Italia e tutt'intorno arrivano barconi di clandestini. Il giocatore deve cliccarci sopra da uno a cinque volte per respingerli, ottenendo un punteggio a seconda del tipo di imbarcazione. Allo scadere del tempo, a seconda dei punti ottenuti si passa al livello successivo. Altrimenti, compare il più classico dei «game over», accompagnato dalla scritta: «Hai perso. Prova ancora, vedrai che la prossima volta riuscirai a dimostrare di essere un vero leghista». Ad amministrare la pagina del Carroccio è il figlio di Umberto Bossi, Renzo, classe 1988, affiancato nell'opera da Fabio Betti, un altro leghista doc. Altro gioco che si inserisce nella campagna leghista dell'estate per coinvolgere i giovani internauti nelle sue iniziative virtuali è «Converti il comunista»: lo scopo è quello di trasformare il «triste e logoro comunista in un felice leghista».

21 ago 2009

ERBA DI CASA MIA



Il caldo fa male e dà alla testa ai responsabili del Dipartimento Antidroga. E' l'unica spiegazione all'ultima uscita del Dipartimento Politiche Antidroga in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha predisposto una segnalazione alla procura affinche’ valuti se i contenuti del video pubblicato sul blog di Beppe Grillo dal titolo Erba di casa mia “possano connotare gli estremi di reato” previsti degli articoli 82, 83 e 84 della legge sulle droghe (T.U. 309/90), “istigazione e proselitismo e induzione all’uso di droghe”. Il comico ovviamente ringrazia, con una lettera aperta a Carlo Giovanardi pubblicata oggi sul suo blog.

20 ago 2009

IL SESSO E' UN GIALLO


BERLINO - Donna o no? Ai Mondiali di atletica di Berlino scoppia il caso Caster Semenya, 18enne sudafricana che ha vinto stasera, con un distacco abissale sulle altre, l'oro negli 800 metri femminili a ha partecipato anche la nostra Elisa Cusma, attesa sul podio ma giusta sesta e che alla fine commenta: "Caster secondo me è non è donna...".

La Iaaf, infatti, sospetta del sesso dell'atleta, tanto da averla sottoposta a dei controlli i cui esiti sono ancora attesi. "Si tratta di un test estremamente difficile e complesso - conferma il portavoce della Federazione internazionale, Nick Davies - Al momento siamo in una situazione tale da non avere prove sufficienti per non consentirle di correre". Del resto la Semanya, sia per la muscolatura che per il viso, mostra caratteristiche maschili e qualche dubbio era sorto già quando quest'anno aveva migliorato il suo personale di ben sette secondi, facendo segnare la miglior prestazione mondiale stagionale con 1'56"72. "Capiamo che la gente possa farsi delle domande perché sembra un uomo, la curiosità è umana", ammette il suo allenatore, Semè, che ha anche raccontato di come una volta, mentre si trovavano in una stazione di servizio a Città del Capo, l'atleta venne fermata da un impiegato del posto quando si stava dirigendo verso la toilette riservata alle donne. "Forse vuoi che ti mostri il mio sesso?" fu allora la replica della Semanya. "Posso darvi il telefono delle sue compagne di stanza a Berlino - ha aggiunto Semè - L'hanno vista sotto la doccia e non ha niente da nascondere".

Duro il commento dopo la gara dell'italiana Cusma: "Io quella che ha vinto, la sudafricana Semenya, nemmeno la considero, per me non è una donna, e mi dispiace anche per le altre". "Deve fare il test della femminilità? Era già successo con la Jelimo, ma intanto a questa gente fanno vincere medaglie. E' inutile giocare con queste cose, e non è giusto".
19 agosto 2009
Fonte Repubblica.it

19 ago 2009

QUANDO C'ERA SILVIO

DETENUTI IN RIVOLTA

Lenzuola incendiate, inferriate battute, slogan di protesta. Negli ultimi giorni si stanno moltiplicando le proteste dei detenuti rinchiusi nelle carceri italiane: lamentano il sovraffollamento che, con l'ondata di afa, sta assumendo i contorni di un'emergenza. A Como i detenuti del "Bassone" per tre giorni hanno battuto le sbarre con i loro oggetti personali. Chiedono più spazio, essendo in 600 all'interno di celle che ne dovrebbero contenere circa la metà. Stessi motivi all'origine della protesta di Ferragosto ad Arezzo. Ieri notte e questa mattina la scena si è ripetuta a Sollicciano, a Firenze: i detenuti (950 in una struttura che ne dovrebbe contenere 400) hanno gridato slogan per l'indulto e contro il sovraffollamento lanciando nei corridoi lenzuola incendiate. "Convocheremo per domani la commissione detenuti e parleremo con loro - ha annunciato il direttore Oreste Cacurri - Al momento comunque la situazione è tollerabile. Non sono stati fatti danni importanti, né qualcuno si è sentito male o si è ferito". All'esterno del carcere sono state schierate pattuglie di polizia e carabinieri, pronte a dare supporto agli agenti di polizia penitenziaria, ma finora non c'è stato bisogno del loro intervento. Il garante dei detenuti Franco Corleoni ha spiegato che, all'origine della rivolta, vi sarebbe anche la distribuzione nei giorni scorsi di pane ammuffito: "Da tempo raccolgo lamentele sulla qualità del vitto e anche sulla quantità. D'altra parte osservo che in Toscana il cibo distribuito nelle carceri ha un costo medio per detenuto di 1,53 euro a pasto, una cifra che deve far riflettere". A Perugia l'allarme è scattato per un incendio all'interno di una cella, provocato da un detenuto che ha tentato di dare fuoco al suo materasso. Gli altri carcerati sono stati trasferiti nei passeggi, gli spazi utilizzati per l'ora d'aria, e dopo poco hanno fatto ritorno nelle loro celle. Anche in questo caso la situazione è critica: la popolazione è passata dai 243 detenuti del 2008 ai 485 di oggi.
Situazione analoga a quella di altri istituti italiani dove non sono state inscenate eclatanti proteste, anche se la situazione resta drammatica. Nel carcere di Poggioreale, ad esempio, si fronteggia il caldo facendo i turni per bagnare le lenzuola e appenderle al soffitto. Secondo il segretario generale della Uil Pa penitenziari, Eugenio Sarno, le rivolte sarebbero fomentate da detenuti romeni e albanesi. "La deriva violenta delle proteste è motivo di profonda preoccupazione", anche perché "non può favorire il confronto". Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), punta l'indice contro l'Amministrazione penitenziaria che resta "in coAlpevole silenzio". Torna, quindi, a sollecitare il premier Berlusconi e il guardasigilli Alfano a "porre l'emergenza penitenziaria tra le priorità di intervento dell'esecutivo". Capece chiede "provvedimenti deflattivi che potenzino il ricorso alle misure alternative alla detenzione con contestuale impiego nei lavori socialmente utili dei detenuti con pene brevi", oltre ad "assunzioni per un corpo di polizia carente di ben 5mila unità". Il dibattito, inevitabilmente, coinvolge la politica. C'è chi, come il senatore del Pdl Achille Totaro, chiede che gli extracomunitari siano trasferiti nelle prigioni dei loro paesi. O chi come la senatrice del Pd Donatella Poretti, dopo aver visitato il carcere di Arezzo, denuncia la situazione insostenibile di celle che dovrebbero ospitare quattro persone e che ne contengono il doppio.

fonte la Repubblica

18 ago 2009

Ronde a rischio camorra
Le ronde come strumento della camorra? E' quanto si chiede « The Economist» in un articolo tutto dedicato alla «polizia amatoriale», voluta «dalla Lega nord». Citando Antonello Ardituro, il pm che da mesi indaga sui Casalesi, il settimanale scrive che a Casal di Principe, piccolo centro a nord di Napoli, tra gli osservatori per la sicurezza sociale si potrebbero infiltrare affiliati del clan». L'articolo, intitolato «La mafia e la polizia amatoriale sono nemici o alleati?», spiega che le ronde sono state accolte con meno entusiasmo sia dal sindaco di Roma Gianni Alemanno sia in molte città del Mezzogiorno. Ma non a Casal di Principe. «Cipriano Cristiano, sindaco di Casal di Principe spera di avere al più presto in azione pattuglie composte da due-tre persone», riferisce il settimanale, precisando che nella cittadina il lavoro delle ronde - fare rapporto delle violazioni di domicilio, di quelle legate allo smaltimento dell' immondizia e della presenza di immigrati clandestini - «potrebbe essere pericoloso».

Fonte:Il manifesto



Vandali "decapitano" statua di Umberto Bossi a Recoaro

ROMA (Reuters) - Dei vandali hanno danneggiato una statua che ritrae il leader della Lega e ministro per le Riforme Umberto Bossi, asportandole la testa. Un atto contro il "senatùr" e contro lo stesso Carroccio, secondo il ministro delle Politiche agricole e forestali Luca Zaia.

La statua, a cui in passato era già stato staccato il braccio destro, si trova presso l'Hotel Augusteo di Recoaro, in provincia di Vicenza, dove nel 1979 si tenne la prima riunione pubblica della "Liga Veneta", durante la quale venne deciso di costituire ufficialmente il movimento.

"La decapitazione della statua del Ministro Bossi a Recoaro non è solo il gesto di un buontempone, ed è sbagliato definirlo tale. È invece un atto di estrema violenza simbolica, compiuto per fermare la presenza della Lega nel territorio", ha commentato in una nota il leghista Zaia.

"La violenza matura ed esplode anche grazie a comportamenti di questo tipo, che feriscono i simboli prima che le persone o le comunità. Non si può quindi declassare un atto tanto esplicito e diretto alla bravata di qualche ragazzino, ma bisogna leggerlo come una manifestazione di rabbia, disprezzo e incapacità di confronto democratico che punta a colpire direttamente la Lega. Bisogna tenere alta la guardia", aggiunge Zaia.

Ieri Bossi, alla Festa della Lega a Ponte di Legno, è tornato a parlare della bozza di proposta di legge del suo partito per portare sui banchi di scuola i dialetti, delle differenze di salari tra Nord e Sud e ha nuovamente polemizzato sull'inno di Mameli, a cui vorrebbe sostituire "Va pensiero".


Fonte: il manifesto


avrei voluto farlo io, anche se non sapevo nemmeno dell' esistenza di una statua intera per questo coglione. La partecipazione che c' è in Veneto per questa notizia mi allarma.


13 ago 2009

scarcerate (e condannate) Luigi Campise


Mosca tzé tzé
di Marco Travaglio

Ci siamo arrivati, finalmente: ora abbiamo gli arresti a furor di popolo e a gentile richiesta del ministro della Giustizia. Nell’ambito della progressiva privatizzazione della sicurezza e della giustizia, è bastato che un giornale (Il Corriere della sera) raccogliesse il comprensibilissimo allarme del padre di una ragazza uccisa due anni fa a Soverato, che Il Giornale titolasse in prima pagina “La giustizia sta dalla parte dell’assassino”, che altri quotidiani strillassero alle “scarcerazioni facili” e che il Guardagingilli Alfano minacciasse di sguinzagliare i suoi ispettori, perché i giudici di Catanzaro rimandassero in galera il presunto assassino (presunto perché, nonostante la sua confessione, non è stato condannato in via definitiva, ma solo in primo grado).

La storia è quella di Barbara Bellorofonte, assassinata - secondo la prima sentenza - dal suo fidanzato Luigi Campise nel febbraio del 2007 in un raptus di gelosia dopo l’ennesima lite. Questa la successione degli eventi. Reo confesso, Campise viene subito arrestato. Ma due mesi dopo viene rimesso in libertà perché non ricorre nessuna delle tre esigenze cautelari: né pericolo di fuga (si è consegnato ai giudici), né inquinamento delle prove (ha confessato), né ripetizione del reato (non è un serial killer: ce l’aveva solo con la sua ragazza, che ormai è morta). Poche settimane dopo, però, viene di nuovo arrestato per un altro reato: un’estorsione. Intanto, in tempi relativamente rapidi per la giustizia italiana, prosegue il processo per l’omicidio, che si chiude in primo grado nel dicembre del 2008 con la condanna a 30 anni: il massimo della pena col rito abbreviato (il pm aveva chiesto l’ergastolo, ma la scelta del rito alternativo ha imposto ai giudici di applicare lo sconto). I difensori dell’imputato ricorrono in appello per chiedere una pena più lieve. Dunque Campise è un imputato detenuto in attesa di giudizio definitivo. I giudici decidono di non applicargli una nuova custodia cautelare per l’omicidio perché, dopo la condanna in primo grado, essa può essere giustificata solo col pericolo di fuga. Che non sussiste: sia perché Campise non ha mai tentato di fuggire e ha sempre collaborato, sia perché è già in galera per l’estorsione. Anche in quel processo il giovane opta per il rito abbreviato e viene condannato ad altri 4 anni e mezzo: condanna non appellata, dunque definitiva e scontata in carcere. Purtroppo però la condanna per estorsione viene vanificata dall’indulto, che abbuona 3 dei 4 anni e mezzo e il mese scorso provoca la scarcerazione di Campise.

Vedendolo gironzolare per Soverato, il padre della povera Barbara scrive scandalizzato al Corriere: “L’assassino di mia figlia è libero”. Nonostante il comprensibile dolore dei famigliari, non c’è nulla di illegale in tutto ciò: secondo la Costituzione, nessuno è colpevole fino a condanna definitiva e, per arrestare qualcuno, occorrono esigenze cautelari che qui non sussistono (in base alla controriforma del 1995, voluta dai politici terrorizzati dalla galera dopo Tangentopoli, il pericolo di fuga dev’essere “concreto”: in pratica, bisogna sorprendere il tizio con la valigia pronta e il biglietto aereo per l’estero in tasca). Se e quando Campise sarà condannato in via definitiva, dovrà finire in galera e restarci, possibilmente, fino all’ultimo giorno. Prima, no.

Ma i giornali, anziché informare correttamente l’opinione pubblica (per farlo, dovrebbero informarsi a loro volta), preferiscono vellicare le fregole dei rondisti ferragostani e tambureggiare sulle “scarcerazioni facili” (che ovviamente non esistono). Gli house organ di Al Pappone ne approfittano per associare quel che accade a Soverato con l’immancabile “riforma della giustizia” in arrivo in autunno (riforma che, detto per inciso, renderà ancora più lente le procedure della custodia cautelare, visto che sarà disposta non più da un solo gip, ma da un collegio di tre giudici, e ovviamente senza più intercettazioni). Angelino Jolie riesce addirittura a dichiarare che “a volte l’ossequio formale della legge contrasta con il senso profondo di giustizia di ciascuno di noi”. Cioè, ad avviso del ministro dell’Ingiustizia, i giudici non dovrebbero applicare la legge: dovrebbero rivolgersi alla piazza e interrogarla sul suo “senso profondo di giustizia”. Come Pilato dal balcone: chi volete libero, Gesù o Barabba? La risposta della piazza, notoriamente dotata di un senso profondo di giustizia, la conosciamo: Barabba libero e Gesù a morte. Detto, fatto. Al Fano sguinzaglia gli ispettori, i giudici si prendono paura e, a furor di popolo, rimettono in galera un imputato che fino a qualche giorno fa, secondo gli stessi giudici, non meritava di tornarci. Infatti Campise viene arrestato a casa sua, da dove avrebbe potuto comodamente fuggire durante tutto il can-can politico-mediatico di questi giorni: invece non l’ha fatto, a riprova dell’assenza di qualsiasi pericolo di fuga (unico motivo in base al quale poteva essere riarrestato).

Chiunque abbia a cuore la Giustizia, quella vera, dovrebbe chiedere la scarcerazione immediata di Campise e una condanna rapida in secondo e terzo grado, cosicchè possa finalmente scontare la pena, ma solo quando la legge lo prevede, e non quando lo chiedono i giornali o i politici. Ultimo particolare: senza l’indulto del 2006, Campise oggi sarebbe ancora in carcere a scontare la pena per l’estorsione, dunque la sua scarcerazione non è stata né facile né difficile: è stata disposta in base a una legge, quella dell’indulto, approvata con i voti del centrosinistra (tranne Idv e Pdci), dell’Udc e del centrodestra (tranne An e Lega). Cioè anche con il voto di Angelino Al Fano. Che gli ispettori non dovrebbe mandarli a Catanzaro, ma a casa propria. Ce ne sarebbe abbastanza per far insorgere i soliti garantisti un tanto al chilo, i vari Pigi Battista, Galli della Loggia, Panebianco, Sergio Romano, Piero Ostellino, sempre pronti a tuonare contro il "giustizialismo", la "giustizia politica", la "giustizia di piazza", la "gogna mediatica" e il "circuito mediatico-giudiziario". Ma questi invece tacciono: per loro sono sempre “facili” le scarcerazioni degli imputati comuni. Invece, quando si tratta di un potente, sono "facili" le manette.
(Vignetta di Natangelo)

REATO DI CLANDESTINITA'.

Per capire gli effetti reali del pacchetto sicurezza, ora legge 94, bisogna farsi una passeggiata la domenica o il giovedì pomeriggio, giorni in cui viene concessa solitamente la libera uscita a colf e "badanti". Tante donne, le stesse che in Italia suppliscono all'assenza di un sistema di welfare. Almeno fino a quando non sarà effettiva la regolarizzazione sono tutte passibili del reato di clandestinità. Prima che entrasse in vigore la legge avevano modo di incontrarsi nei giardini o negli spazi pubblici delle città in cui lavorano, per godere di un momento di socialità con le proprie conterranee, per mantenere il contatto con il proprio paese di provenienza. Ora sono quasi scomparse dalle piazze. Chi non è in regola ha paura, preferisce restare in casa o uscire solo per una mezz'oretta, evitando luoghi troppo affollati. Irina, ucraina, da sei anni in Italia, sa che difficilmente verrà messa in regola. I figli dell'anziana signora che accudisce non vogliono versare contributi e non vogliono grane, trovarsi un altro lavoro non è facile. E' uscita ieri, proprio perché si era balenata una possibilità. Un italiano la assumerebbe ma vuole tremila euro a scatola chiusa e Irina, che mantiene madre e due figli a casa, quei soldi non li ha proprio. Era triste domenica, le avevano tolto anche la possibilità di parlare la propria lingua con alcune amiche in una situazione simile alla sua. Non si sente rassicurata quando le dicono che non la cacceranno via, non si fida. Perché dovrebbe? Spulciando fra le notizie che in questi giorni accompagnano l'entrata in vigore delle nuove norme, si resta allibiti dalla loro pochezza, da quella che Anna Harendt - la citazione c'è tutta - chiamava "La banalità del male". A Verona uno degli ultrà delle leggi repressive, il sindaco Flavio Tosi, già processato per istigazione all'odio razziale, vanta subito due grandi risultati. Uno riguarda i cittadini immigrati. L'eroico difensore della città scaligera è riuscito ad impedire la celebrazione di ben quattro matrimoni fra stranieri in cui uno dei coniugi è irregolare. Con buona pace di Romeo e Giulietta. Inoltre sta applicando con zelo gli articoli che innalzano le multe per reati connessi al codice della strada, soldi in più che entreranno nelle casse comunali. Purtroppo per lui, nella gara in velocità a chi riesce ad affibbiare per primo il reato di clandestinità è stato battuto dall'amministrazione di Sanremo che, lo stesso giorno dell'entrata in vigore della legge, ha sanzionato due cittadini marocchini pronti ora per essere multati ed espulsi.Nella Torino di Chiamparino al danno si unisce la beffa: un ragazzo asiatico, l'altra notte mentre passeggiava, è stato aggredito con una bottiglia rotta da altri tre giovani che gli hanno sottratto il portafoglio. Sentendosi come un normale cittadino, seppur senza permesso di soggiorno, ha chiamato la polizia e ha fatto arrestare i tre malfattori. La gioia per il recupero dei suoi pochi euro è durata poco, è stato immediatamente denunciato per il reato di immigrazione clandestina e rischia ora l'espulsione e una multa di 10 mila euro.Torino è più sicura? Vengono dei dubbi se si pensa al fatto che nei giorni scorsi una squadraccia di ragazzi italiani in due occasioni ha aggredito, pestato, accoltellato e rapinato, in 20 minuti, prima un cittadino marocchino, poi uno del bangladesh, certi di godere di impunità. E finora non sono stati presi. Verranno assunti come volontari per le ronde? E a tal proposito è interessante il titolo di un editoriale de El Pais , che parla di "Somaten italiano", usando la parola somaten che descriveva i corpi armati cittadini catalani medievali ("som atents", cioè 'stiamo attentì), per l'autodifesa contro criminali e nemici, proseguite anche in età contemporanea nelle campagne e riorganizzate poi dalla dittatura franchista con il nome di "Somaten Armado" su tutto il territorio nazionale spagnolo. Il prestigioso quotidiano spagnolo parla di aggressione allo stato di diritto.Cercando altri esempi di applicazione della legge, si arriva a Lecce dove il proprietario di un circo è stato denunciato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, reato che può comportare pene detentive pesanti. Non è ancora dato sapere se i due ragazzi indiani che lavoravano irregolarmente per lui e che verranno espulsi, siano stati tenuti in condizioni di sfruttamento come spesso capita o semplicemente se, in base ad una vecchia espulsione, non potevano essere regolarizzati. Ma per capire bene quale clima sta alimentando la nuova legge va ripresa una vicenda pubblicata sul Mattino di Napoli: lei si chiama Evelyn, ha 19 anni e una figlia, proviene da Santo Domingo, ha lavorato presso una signoraalla quale si è presentata un mese dopo per riscuotere il pattuito, 500 euro. La gentile signora partenopea le ha dato la metà di quanto promesso e alle rimostranze ha cominciato a rivolgere alla ragazza epiteti razzisti facili da intuire e, aiutata da parenti, ha aggredito Evelyn con calci pugni e morsi. Le urla hanno indotto i vicini a far intervenire le forze dell'ordine. La signora in questione non ha trovato di meglio che dire: «Portatela via è una clandestina!». Ma Evelyn è a tutti gli effetti cittadina italiana, una fortunata che ha potuto quindi denunciare l'aggresssione, farsi accompagnare al pronto soccorso: forse potrà avere giustizia. Quante Evelyn non potranno mai fare come lei? Da ultimo, altri dati che dimostrano quanto le norme imposte dalla Lega e avallate dall'intera maggioranza si stiano rivelando catastrofiche negli effetti. I Cie scoppiano, in primis quello di Roma a Ponte Galeria, tanto che i "clandestini" fermati ormai vengono tradotti direttamente nel carcere di Regina Coeli, rivolte come quella esplosa nel Cie di Gradisca di Isonzo rischiano di estendersi con il perdurare di condizioni di vita più infami e periodi di trattenimento insopportabili. E anche dal "fronte meridionale" giungono notizie infauste. Se i 22 che sono sbarcati senza farsi intercettare a Lampedusa si trovano ora a Porto Empedocle in attesa di veder esaminata la propria posizione, risulta ormai impossibile sperare che il ragazzo marocchino che si era tuffato ad un miglio dalla costa di Pantelleria per non farsi identificare, possa essere recuperato vivo. Sapeva che sarebbe stato rispedito in Marocco, che per lui non c'erano speranze. Per lui il pacchetto sicurezza si è applicato nel cimitero Mediterraneo.

di Stefano Galieni
fonte osservatoriorepressione.org

12 ago 2009

LE SPIAGGE DELL'INTOLLERANZA

E' scontro politico nella provincia di Venezia dopo la decisione della neo presidente leghista Francesca Zaccariotto che ha deciso di impiegare la polizia provinciale per contrastare il commercio abusivo. Una scelta che il consigliere regionale Gianfranco Bettin ha commentato come una "demagogia da ciarlatani". Ma non solo. Tre giorni fa l'esponente dei Verdi ha presentato una denuncia in Procura contro la giunta provinciale per abuso e omissione d'atti d'ufficio. Secondo Bettin si tratta di un uso improprio della polizia provinciale, che da sempre si occupa dei reati ambientali come la caccia e la pesca abusiva. La Lega ha subito replicato sottolinenado che il problema del commercio abusivo va risolto con l'arma della deterrenza. Insomma per Zaccariotto il problema dei cosiddetti vù comprà è un emergenza che va risolta, proprio come fosse uno dei mali sociali più diffusi. Ed è indubbio che certe dichiarazioni possano pericolosamente legittimare anche i cittadini comuni che si improvvisano sceriffi della spiaggia contro gli immigrati, forti di una politica che persegue l'intolleranza a tutti i costi. Qualche giorno fa a Jesolo, una delle spiagge più affollate del nord est dove da ieri è stato dato il via al pattugliamento misto con la polizia provinciale, un vù comprà mentre correva per evitare i controlli delle guardie ha abbandonato momentaneamente una borsa vicino ad un ombrellone, la quale è stata poi raccolta da un turista che l'ha sistemata sotto il suo lettino da sole. Poco dopo il venditore ambulante è tornato sui suoi passi per riprendere la sua merce, ma il turista l'ha apostrofato con parole razziste dicendo che la borsa apparteneva a lui e gli ha sferrato un pugno sul volto. Solo successivamente l'extra comunitario, probabilmente di origini senegalese, è riuscito a impossessarsi del maltolto e fuggire a gambe levate, mentre il turista non ancora soddisfatto gli lanciava addirittura uno sdraio, fortunatamente senza colpire nessuno. Sono certamente casi estremi, di una gravità assoluta. Episodi sempre più frequenti in un territorio dove l'intolleranza contro il "diverso" si va sempre più radicando, a causa soprattutto di una politica populista, che troppo spesso affronta il fenomeno dei flussi migratori e le sue conseguenze, ignorandone l'origine scatenante.

fonte osservatoriorepressione.org

STEFANO FRAPPORTI

5 ago 2009

PIù PREZZEMOLO PER TUTTE?

pillola abortiva, l'ira del Vaticano:
"la Chiesa non resterà passiva" di Edoardo Baraldi


La Chiesa lasci in pace il corpo delle donne


Scomunica, censura, peccato mortale, inferno, dannazione eterna: parole di un altro tempo, anzi di un altro mondo, il tempo della teocrazia, il mondo del dominio del sacro. Quelle minacciose parole sono state usate di nuovo in questi giorni da cardinali e monsignori in relazione al via libera dell’Agenzia del farmaco per la pillola abortiva Ru486. Lo stesso cardinale Bagnasco in una intervista al quotidiano dei vescovi italiani di domenica scorsa ribadisce la scomunica «come medicina in chiave pedagogica» (bontà sua!), per chi compie l’aborto o anche solo collabora, ad esempio, vendendo o somministrando la pillola abortiva. Costa fare affermazioni drastiche e ripeterle ogni volta. Ma lo sgomento è troppo grande. Il potere ecclesiastico amministra le paure che l’uomo e la donna hanno di fronte alle pulsioni della vita e su tale paura e sui sensi di colpa edifica il proprio autoritario paternalismo. Tutti sanno bene quanto ciò sia vero. Manca a molti il coraggio di dirlo apertamente.
Cari «crociati della vita», laici, teologi, prelati e papi, pretendete di sedere in cattedra e di insegnare etica, ma forse è meglio che impariate prima il vocabolario essenziale dell’etica il quale per tanta parte è iscritto nella memoria e nella saggezza secolare delle donne. La Chiesa, nata dal Vangelo, dovrebbe ispirarsi sempre alla «buona notizia» annunciata da testimoni senza potere e rivolta ai poveri. Purtroppo da Costantino in poi si è creata una rovinosa divaricazione. È nata la Chiesa del potere. Nell’epoca della secolarizzazione questa Chiesa, privata ormai degli strumenti politici e culturali che nel Medioevo le assicuravano il dominio globale sulla società, ha individuato una specie di vuoto di spiritualità e di valori etici e lì, in quello spazio non coperto dalla tecnologia, dal mercato e dalla democrazia, hanno costruito il proprio fortino. Quel vuoto lo sentiamo tutti. Ma sentiamo anche che ci sono nell’umanità e in ciascuno di noi le energie per colmarlo e c’è la memoria della saggezza che nei millenni ha accompagnato il cammino umano. Il Vangelo è parte di questa memoria di saggezza, per questo molti cattolici critici verso la Chiesa del potere non rompono i legami per non lasciare che la ricchezza del Vangelo, e della tradizione che lo ha mantenuto vivo nei secoli, sia monopolizzata totalmente dalle gerarchie. È così, in particolare, per la comunità di base.
L’intervento delle gerarchie deprime le energie umane. Ci vogliono eterni bambini o meglio pecore belanti. L’elemento culturale su cui oggi si fonda il paternalismo ecclesiastico è la «verità perenne della natura» di cui la gerarchia avrebbe la chiave. Non c’è niente di tutto questo nel Vangelo. Anzi il Vangelo è un grande messaggio di valorizzazione della creatività dello Spirito che anima costantemente la ricerca umana e la conduce ben oltre la cosiddetta etica naturale codificata. Ed è anche una denuncia forte dei soprusi che provengono dalle cattedre di verità. Gli uomini che stavano lapidando un’adultera erano molto religiosi, si appellavano a Dio creatore e rivelatore e alla sua legge, era Dio stesso che imponeva di considerare l’adulterio un atto contro la verità della natura, la loro mano era mossa dalle cattedre di verità di quel tempo. Gesù li freddò con una frase che dovrebbe freddare anche oggi le gerarchie ecclesiastiche: «Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra, nessuno ti ha condannata, nemmeno io ti condanno».
Come il Sabba fu lo strumento inquisitorio della caccia alle streghe così oggi si usa l’aborto per accendere nuovamente i roghi delle donne. Un passo avanti si è fatto: è sparito il rogo fisico. Ci si contenta di riproporre la condanna penale dell’aborto. Ma il risultato culturale e politico è sempre lo stesso: l’annullamento della soggettività femminile come soluzione finale per il dominio moderno sulla natura e sulle coscienze. La donna che ha potere sulla vita è in sé una concorrente pericolosa di ogni sistema di dominio, non solo di quello religioso.
Quando il potere ecclesiastico arriverà a chiedere perdono alle donne di tutti i misfatti compiuti contro le loro coscienze fin dalla più tenera età, contro i loro corpi, i loro uteri, la loro capacità generativa e creativa, allora e solo allora sarà credibile nel suo parlare d’aborto e di difesa della vita. Quando il potere ecclesiastico avrà compiuto una riparazione storica facendo spazio alla visione femminile di Dio, della Bibbia, di Cristo, della fede e della vita della Chiesa, allora potrà intervenire credibilmente sull’etica della vita. Ma in quel momento si sarà dissolto come «potere». Credetemi, sarà un bel giorno. Merita lavorare perché si avvicini.

fonte ilmanifesto.it

Dall'Irlanda critiche al Vaticano. E la D'Addario prepara un libro

LONDRA - La storia della relazione di Patrizia D'Addario con Silvio Berlusconi finirà sugli scaffali delle librerie britanniche. La escort pugliese ha raccontato al "Times" di Londra che sta preparando un viaggio oltre Manica per cercare un editore per la sua autobiografia. Il libro è in preparazione: dovrebbe portare al premier nuovi motivi di imbarazzo, scrive il quotidiano.

Durante il suo show parigino "I love Silvio", la D'Addario ha incontrato i reporter del giornale di Rupert Murdoch e ha confermato che dopo i primi due incontri Berlusconi l'aveva invitata a passare qualche giorno con lui a Villa Certosa, a Milano oppure in una beauty farm. Quale fosse lo scopo dell'invito, alla D'Addario era molto chiaro: "Se ti invitano da qualche parte per due o tre giorni, non è per giocare a carte o parlare di politica". Ma lei aveva rifiutato perché "non gradiva il comportamento di Berlusconi". In altre parole, scrive il "Times", la escort era rimasta delusa perché il presidente del Consiglio non aveva mantenuto la parola, rimangiandosi la promessa di aiutarla per i permessi edilizi nel progetto di un residence.

"In Italia stavo soffocando", ha raccontato la D'Addario, "nei due mesi passati sono stata come una prigioniera. Ora, a Parigi, sento di poter respirare di nuovo. E' un tale sollievo". Sul suo passato come escort di lusso, la signora non ha nessun pentimento: ma ora, ha raccontato, dopo le rivelazioni sulla sua storia con Berlusconi non può più lavorare in quel settore. Per questo sta cercando di capitalizzare la sua nuova fama in un tour delle capitali europee.

La vicenda continua a tenere l'attenzione dei giornali di mezzo mondo: se il parigino "Liberation" definisce un "triste show" l'esibizione della D'Addario a Parigi, "The Australian" rileva che la escort ha suscitato "un'attenzione mediatica pari a quelle di norma riservate a presidenti o star di Hollywood". Il francese "24 Heures" approfondisce sulla residenza sarda di Berlusconi, che definisce "Villa babilonese" mentre "Le Temps" si chiede se il Cavaliere sia un "motore del declino democratico" e racconta l'Italia di Berlusconi in una lunga inchiesta che parte dalla redazione di "Repubblica".

Ma l'intervento più significativo è sull'Irish Times, che propone ai lettori della cattolica Irlanda dubbi molto severi sulla condotta della Chiesa italiana davanti allo scandalo. La gerarchia ecclesiale "quando è il caso, fa interventi spettacolari", stavolta invece i vescovi "sembrano riluttanti a commentare". Le eccezioni sono affidate a voci coraggiose, come la lettera di don Angelo Gornati pubblicata sull'"Avvenire", sottolinea il corrispondente del quotidiano di Dublino. E conclude raccontando che la Chiesa è stata molto decisa a intervenire nella politica italiana quando ha affrontato il caso di Eluana Englaro. "Allora parlare in difesa dei valori cristiani non sembrava difficile, né alla gerarchia, né allo stesso Papa. O no?"

fonte Repubblica.it