29 nov 2008

ABSOLUTE POESIA



Venerdi' 20 ore 17,45

21.7.2001

I morti sono sempre più indocili.
Prima era facile trattarli:
gli davamo un colletto duro un fiore
lodavamo i loro nomi in una lunga lista
(...)
Il cadavere firmava in onore alla memoria:
tornava alla sua fila
e marciava al ritmo della nostra vecchia musica.
Ma cosa ci vuoi fare
i morti
sono cambiati da quei tempi.
Oggi diventano ironici
fanno domande.
Mi sembra che facciano i conti
di essere sempre più in maggioranza!

( Roque Dalton)



ABSOLUTE POESIA

Uscire dallo spazio che su di noi hanno incurvato secoli e secoli è l'atto più bello che si possa compiere. Quasi nemmeno ci rendiamo conto delle nostre tacite obbedienze e automatiche sottomissioni, ma ce le posso svelare -dandoci un orrore salutare - i momenti di spassionata osservazione, quando scatta il dono di chiaroveggenza e libertà e al di là dei recinti dove si sta rinchiusi si spalanca l'immensa distesa del possibile.

(Elemire Zolla)



28 nov 2008

espiazione: quando su rai1 si parla di "episodi di razzismo"

finita l'emergenza (come è che finisce un'emergenza? un'emergenza emerge) si passa alla fase dell'espiazione: una serie di passi attraverso dispositivi di contrizione morale che, sacrificando piccole parti di noi, ci portano ad una serena autoassoluzione. dopo l'ondata di criminalità percepita, la cui causa risiedeva nell'incontrollata presenza di immigrati clandestini e nel buonismo lassista che i governanti adottavano a loro vantaggio, il dibattito pubblico si impegna ora a porsi la domanda sul nostro presunto razzismo. nella sondaggiocrazia televisiva, si chiede ai cittadini di prendere posizione rispondendo alla domanda: l'italia sta diventando un paese razzista? si mantiene salda la barra almeno sul fatto che, in qualche modo, le cose stanno cambiando. più dell'ottanta per cento della popolazione risponde: "no", ma questo dato è poco importante. Sansonetti, in un dibattito televisivo all'ora di punta sulla rete ammiraglia, tenta l'impresa disperata: " il valore euristico di questo sondaggio deriva dal ribaltamento dei suoi dati: possiamo dire che se la maggioranza degli interpellati non si sente razzista, l'italia sta diventanto un paese razzista ".
il rischio grosso è che noi portiamo avanti delle lotte senza renderci conto che ogni nostra azione è spuntata, perchè usiamo armi costruite dal nemico per raggiungere i suoi scopi, e quelle armi funzionano solo se le usa lui. (meglio: non ci sono scopi, è il funzionamento stesso lo scopo, utilizzando già delle armi, contribuiamo al funzionamento generale)

dovremmo essere i primi a rimettere in discussione la categoria di razzismo; dovremmo riuscire a trovare il modo di evitare questi (tragici) giochetti.

parafrasando Foucault (e che dio mi perdoni), la razza non è un dato naturale che l'universalismo democratico si sforzerebbe di domare e disciplinare. il dispositivo di razza appare piuttosto un punto di passaggio particolarmente denso per le relazioni di potere tra capitale e lavoro, segmentazione amministrativa e popolazione urbana, velocità dei flussi economici e sedentarietà dei lavoratori.
il razzismo, che è sempre di stato, è uno degli innumerevoli dispositivi mentali attraverso cui l'attribuzione di colpa non è più costruita sul reato, ma sul criminale, che va sempre in qualche modo identificato, spiegato, isolato attraverso un dispositivo immunizzante.

in - formazione

(il trattino non è una casualità)
La nostra attenzione rimane sveglia per 3 minuti.
Questo è il prodotto di una società che ci spoglia di responsabilità e di capacità critica.
Privati di onestà intellettuale, accettiamo notizie come prodotti impacchettati e indiscutibili.
IN - FORMAZIONE nasce per grattare via i calli dal cervello, proporre la conoscenza come processo in divenire creato dalla partecipazione.

22 nov 2008

cosa significa radicalizzarsi

Il movimento degli studenti ha riportato nelle università la discussione politica, svegliando una generazione dal torpore in cui sembrava assopita. Il movimento ha manifestato in questi mesi la sua “irrappresentabilità”: non esiste forza politica in cui la protesta negli atenei si identifichi, le identità dei partiti continuano a sembrare lontane dalle rivendicazioni degli studenti. Nelle università, infatti, si prova un disagio diffuso, sentito quotidianamente dalle figure che al suo interno vi operano, e nessuna ricetta generale sembra rispondere pienamente alla molteplicità dei temi del movimento.

Il percorso di riforma dell’università degli ultimi quindici anni, con il pretesto di avvicinare lo studio al mercato del lavoro, ha creato un modello di formazione frammentario e disorganico: l’università non si pone più il fine di produrre intellettuali, ma un “esercito di riserva di lavoratori precari”, nutriti di alte aspettative e pronti a immettersi nel settore del terziario avanzato in ruoli professionali sviliti e servili. Ciò che ora bisogna comprendere è che i tagli del duo Tremonti-Gelmini sono solo l’ultima concretizzazione di un processo di frammentazione del sapere funzionale ad una trasformazione della società in senso antiegualitario e oligarchico. E’ in corso un processo che modifica concretamente la trasmissione dei saperi per legittimare uno sfruttamento sempre maggiore del lavoro “intellettuale”, che, si capisce, si lascia maggiormente sfruttare se si fonda su un “sapere” disorganico e superficiale: chi, durante il proprio percorso di formazione universitaria, non riesce ad acquisire una visione completa e profonda del proprio ambito di studi, è maggiormente sfruttabile, ricattabile, trascinabile in un ruolo lavorativo esente da ogni responsabilità e riflessione generale.

Le società occidentali, e in particolar modo quella italiana, sono attraversate da un processo imponente di chiusura ed esclusione: le leggi sull’immigrazione, che tendono a creare un esercito di lavoratori disposti a tutto per il pane e quindi schiavizzabili poiché messi nella condizione di non poter rivendicare alcun diritto (sono già “criminali” per il solo fatto di essere immigrati) vanno nello stesso senso dello smantellamento della contrattazione collettiva dei contratti di lavoro, inoltre, dal punto di vista “simbolico”, servono ad impedire una saldatura di un blocco sociale che possa contrastare le oligarchie economiche e mafiose. Lo strumento di governo della nostra società diviene sempre più quello di mettere i poveri contro i più poveri, gli emarginati contro i più emarginati. Il sapere critico subisce in questo momento la stessa forma di esclusione; smantellare l’università pubblica si inserisce in questo progetto a lungo termine.

E’ per questo che oggi il movimento studentesco deve radicalizzarsi. La protesta contro i tagli deve svilupparsi in una presa di posizione sulla società nel suo complesso. Ma questo deve avvenire senza leaders e senza identità precostituite. Ogni gruppo in movimento, nel proprio ambito di studio, deve ora interrogarsi su quello che rivendica come “il proprio futuro”. E’ necessaria, in questa fase, la massima autorganizzazione, la più completa acefalia: nessuno, infatti, in questo momento ha risposte definite e generali. Per esempio: gli studenti di giurisprudenza devono iniziare a capire cosa il sistema giuridico chiede al loro “sapere”, mentre il diritto si trasforma per lasciare sempre più impuniti i potenti e criminalizzare ogni forma di devianza; gli studenti delle facoltà scientifiche devono interrogarsi sul potere dei gruppi economici nella definizione delle applicazioni tecniche della scienza; gli studenti di medicina devono interrogarsi sull’idea di malattia, su come questa possa essere soggetta a molteplici interpretazioni, delle quali oggi il potere incondizionato delle lobby farmaceutiche-baronali privilegia quelle più inumane, orientate solo ad estorcere soldi e paura dai “corpi malati” che le contraddizioni sociali producono; gli studenti di psicologia devono interrogarsi sul concetto di “normalità” in base al quale i DSM valutano la malattia mentale, sulle forme legalizzate di droghe farmaceutiche che svuotano la contraddittorietà dell’esperienza personale per renderla mero fatto neurofisiologico, “curabile” con una pratica che si fonda più sulla “neutralizzazione” che sulla comprensione; gli studenti di “beni culturali” dovrebbero interrogarsi sul ruolo che la cultura ha nella società; gli studenti di pedagogia dovrebbero interrogarsi sulle pratiche di esclusione e umiliazione che la scuola pratica per sua natura su certe fasce della popolazione; gli studenti di sociologia dovrebbero denunciare le menzogne intrise di buonismo che, in bocca agli uomini politici, giustificano scelte razziste, violente e discriminatorie; gli economisti dovrebbero chiedersi come mai il nostro sistema produttivo, cullato per trent’anni dalle sirene del liberalismo, non è riuscito a trovare nessuno che mettesse in guardia governi e poteri economici rispetto alle possibilità della grave crisi di sistema che stiamo vivendo e che nessuno di noi vorrebbe pagare; gli studenti di giornalismo dovrebbero chiedersi qual è il futuro che chiedono ad un sistema dell’informazione fondato sull’autocensura e la superficialità.

Questi sono solo degli indirizzi generali, degli spunti, che ognuno dovrà elaborare autonomamente a partire dalla propria esperienza e dal senso di responsabilità che questa mobilitazione ha fatto rinascere. Perché questa è la grande novità: gli studenti nelle università, su cui è stato scaricato il costo di scelte economiche e politiche fallimentari, hanno alzato la testa, hanno detto no. Questo è ciò che gli studenti sono ancora in grado di fare, a differenza degli immigrati criminalizzati, dei diversi psichiatrizzati, dei poveri costretti a sentirsi in colpa per la loro povertà. Oggi, nella voce degli studenti che giustamente rifiutano ogni identità di una politica da cui si sentono lontani e manipolati, può riecheggiare il riscatto di ogni oppressione. Questo significa radicalizzarsi: comprendere che lo smantellamento dell’università pubblica è solo un fase di un processo di evoluzione della società verso esiti autoritari e opprimenti. Quindi, ciascuno attorno e sé ricostituisca quello spazio pubblico che la propria responsabilità vuole abitare. L’onda non si ferma.

21 nov 2008

PERCHè LA DIVISA NON SI PROCESSA?

perchè la divisa non si processa?
perchè il fatto non sussiste?
perchè non vogliamo vedere il sangue i lividi le distanze le inconfondibili prove i video le fotografie?
e se le abbiamo viste, se abbiamo sentito le loro urla
perchè facciamo finta di nulla?
perchè rendiamo eroi solo quelli che portano la divisa?
e quelli con il passamontagna e l'estintore in mano?
quelli che davanti ai signor manganelli alzano le mani?
perchè cala il silenzio?
perchè alla carneficina della Diaz e di Bolzaneto
alla morte di Carlo in piazza Alimonda si è aggiunta
l'ingiustizia l'imbroglio la vergogna?
perchè un pestaggio bestiale?
perchè trovare una scusa banale come le due molotov?
perchè la visiera del casco ben calata sul viso?
perchè sono stati assolti i vertici della polizia?
perchè più cambia e più rimane la stessa storia?

19 nov 2008

IO SO di Pasolini

Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere).

Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.

Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia, infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.

Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969), e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).

Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e, in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del referendum.

Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neofascisti, anzi neonazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine ai criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista).

Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.

Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killers e sicari.

Io so tutti questi nomi e so tutti questi fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.

Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.

Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il "progetto di romanzo" sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti.

Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il 1968 non è poi così difficile...

Pasolini

Dal "Corriere della sera" del 14 novembre 1974 col titolo
"Che cos'è questo golpe?"