7 feb 2010

riordino scolastico

COMMENTO | di Domenico Chiesa
SCUOLE SUPERIORI
Adolescenti «no future»
I regolamenti di riordino delle scuole superiori, approvati ieri dal Consiglio dei Ministri, non hanno certo la portata di una riforma ma ugualmente produrranno per la scuola un forte impatto: in un tempo di crisi economica, sociale, culturale, che scardina lo stesso concetto di sviluppo, proporre la stabilizzazione dell'assetto di scuola in vigore come fosse un'innovazione epocale non potrà non avere ricadute negative sul futuro della formazione. Nella scuola disegnata dal Governo si mantengono rivitalizzate le categorie gentiliane dell'istruzione segnata dagli aggettivi che l'accompagnano («liceale», «tecnica» e «professionale»).
Il biennio perde ogni legame con la scuola di base e con lo sviluppo delle competenze culturali tanto conclamate. Il danno è profondo perché diventa impossibile ridisegnare il curricolo verticale sui dieci anni di obbligo. La coerenza del curricolo verticale poteva rappresentare il livello più fecondo per un'innovazione in grado di migliorare i risultati di apprendimento.
La direzione verso cui si muove questa «riforma» è la sostanziale riproposizione/aggiornamento della scuola nata con la riforma del 1923 che prevede un percorso per formare il ceto dirigente, uno per i tecnici intermedi e un percorso per le attività esecutive-qualificate che ora entrerà in concorrenza con i percorsi di formazione professionale e magari con l'apprendistato a 15 anni.
Si conferma e approfondisce il solco tra licei e istituti e all'interno di questi tra tecnici e professionali.
È una scelta sbagliata perché si basa su due presupposti non più veri e perché esiste un'alternativa meno ideologica, maggiormente fattibile e maggiormente vicina alla prospettiva di una scuola democratica.
Il primo presupposto si riferisce all'esistenza di «vocazioni» allo studio legate a diverse forme di intelligenza. Con un eccesso di banalizzazione, approssimazione e superficialità si parla di vocazioni, di attitudini, di forme di intelligenza in una età così incerta in cui il rendimento scolastico e soprattutto il comportamento culturale sono sostanzialmente determinati dalle condizioni sociali e dalle esperienze culturali vissute. Nella preadolescenza l'«intelligenza» non è un dato stabile ormai solo più da assecondare bensì un elemento composito su cui costruire lo sviluppo delle competenze culturali. È l'intelligenza di ciascuno che semmai è ricca di tante intelligenze tutte da espandere; lo sviluppo degli aspetti intellettivi in cui si eccelle non può avvenire abbandonando quelli in cui si rilevano difficoltà. A questa età è molto importante uno sviluppo armonico della nostra intelligenza e sappiamo quanto la formazione culturale sia determinante.
Il secondo presupposto è riferibile al mercato del lavoro. Siamo da tanti anni martellati dalla richiesta di flessibilità: non esiste più un lavoro che possa durare per tutta la vita. Cosa cambia dovendo formare profili professionali caratterizzati contemporaneamente da un'alta specializzazione e da una rapida trasformazione e instabilità?
Certo non anticipando il momento della specializzazione: la precocità della formazione specialistica e settoriale caratterizzava i profili professionali rigidi e tali da coprire l'intero periodo della vita lavorativa.
Crescono le competenze trasversali e le abilità comunicative e di comprensione/interazione all'interno di situazioni complesse e in forte, continua evoluzione.
Proprio la nuova tipologia della specializzazione legata alle nuove tecnologie e il suo bisogno di flessibilità sono compatibili unicamente con una base di formazione di ampio e consolidato respiro culturale che solo ad un certo momento si orienti e si pieghi verso lo specifico settore professionale.
In realtà, quando non si hanno idee e competenze per costruire futuro, la paura, prodotta da un presente difficile, produce il ripiegamento in un passato nostalgico.
Il futuro della scuola sarà dunque segnato nella qualità dai tagli alle risorse (secondo una strana teoria che prevede un miglioramento dei risultati attraverso la riduzione dell'investimento) e da una non-riforma (un cambiamento senza progetto) che rassetterà l'esistente cercando di farlo rivivere nello spirito della scuola formato anni cinquanta. Che peccato.

ilmanifesto

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