22 set 2009

Il tar del Lazio boccia Sacconi

TAGLIO MEDIO
di Eleonora Martini
ELUANA ENGLARO Il Tar del Lazio boccia Sacconi: «Libertà di cura»«I pazienti in stato vegetativo permanente, che non sono in grado di esprimere la propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare», «non devono in ogni caso essere discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il proprio consenso». E «possono, nel caso in cui loro volontà sia stata ricostruita, evitare la pratica di determinate cure mediche nei loro confronti». Non potevano essere più chiare le motivazioni - rese note ieri - della sentenza con la quale il Tar del Lazio boccia la direttiva emessa nel dicembre 2008 dal ministro del welfare Maurizio Sacconi che imponeva alle regioni e alle Asl di non permettere in nessun caso la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione forzata in pazienti in stato vegetativo permanente, cercando così di evitare che si compisse la volontà di Eluana Englaro, morta poi il 9 febbraio 2009 nella clinica "La Quiete" di Udine. Come già fece il Tar della Lombardia, insomma, viene sancito ancora una volta il diritto costituzionale alla libertà di cura: nessuno può essere nutrito o idratato contro la propria volontà. E infatti i giudici della III sezione quater, presieduta da Mario Di Giuseppe, nella sentenza emessa sul ricorso del "Movimento di difesa del cittadino" contro l'iniziativa di Sacconi, puntualizzano che il paziente «vanta una pretesa costituzionalmente qualificata di essere curato nei termini in cui egli stesso desideri, spettando solo a lui decidere a quale terapia sottoporsi». Quindi anche la libertà di morire di morte naturale è un «diritto costituzionale quale è quello della libertà personale che l'art. 13 qualifica come inviolabile». Una sentenza che risulta indigeribile ai pro-life del Pdl proprio mentre alla Camera si prepara l'ultima battaglia sul testamento biologico. Anche se ieri dal centrodestra si è udita qualche voce laica in più. Ma il ministro Sacconi, invece, non ci sta e rilancia la sua proposta di una «leggina Englaro» da approvare prima che il parlamento concluda l'iter del ddl Calabrò. Al momento però nemmeno la commissione Affari sociali ha un testo scritto con il quale confrontarsi.


fonte: il manifesto

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