13 mag 2009

i RESPINGIMENTI ai tempi di Prodi


28 marzo 1997: il giorno di venerdì santo, la nave albanese 'Kater I Rades' affonda dopo una collisione con la corvetta della Marina militare italiana 'Sibilla'. Sono tratte in salvo 34 persone e recuperati 4 cadaveri. Altri 52 corpi saranno estratti dopo il recupero del relitto nel mese di ottobre.


dall'articolo La Kater I Rades (Battello in rada)- Tentativi di insabbiamento - 2003



Erano salpati alle tre del pomeriggio del 28 marzo dal porto di Valona, intere famiglie con molte donne e molti bambini, a bordo della Kater I Rades, una motovedetta militare in disuso, costruita trentacinque anni prima per un equipaggio di nove marinai.


Proprio quella mattina, alla televisione italiana, qualcuno di loro ha sentito un rappresentante dell’Acnur dichiarare incostituzionale il blocco navale deciso dall’Italia e nella fretta di partire l’ha interpretato come un via libera. Da una settimana l’Italia ha infatti schierato la flotta nel Canale d’Otranto per fermare le carrette albanesi in fuga dal loro paese precipitato nella guerra civile. Il crack delle piramidi finanziarie ha bruciato due miliardi di dollari in pochi mesi lasciando sul lastrico migliaia di albanesi che avevano venduto la terra e il bestiame con il miraggio di interessi del 300%. La popolazione è in rivolta, comitati di insorti, vere e proprie bande armate, hanno assunto il controllo delle città, ovunque si è diffuso un clima di terrore.


La Kater I Rades ( Battello in rada) è carica fino all’orlo, i passeggeri sono oltre centoquaranta al momento dell'imbarco, invidiati dalla folla rimasta sul molo a imprecare all'occasione perduta. A bordo, sull’onda dell’euforia, qualcuno sparge la voce che basta avere una bandiera bianca perché le navi italiane ti scortino fino al porto di Brindisi, e di bandiere bianche ne vengono issate due, una a poppa e una a prua. La motovedetta ha da poco doppiato il capo dell'isola Karaburun, quando si vede avvicinare dalla Fregata italiana Zeffiro, appostata dietro all'isola di Saseno. La nave gira attorno alla Kater e dagli altoparlanti intima ai passeggeri di tornare indietro, benché stiano navigando ancora in acque albanesi. La Kater non si ferma, avanza verso le coste pugliesi mentre la nave Zeffiro continua a girarle intorno, come uno squalo, fino a quando, intorno alle cinque e mezza, si ferma, al traverso, a poppa della Kater, lasciando il passo a un’altra nave, più piccola e più adatta a manovre di intercettazione. E’ la Sibilla e si avvicina a giri sempre più stretti, tanto che i passeggeri della Kater vedono distintamente degli uomini in tuta mimetica sul ponte. Uno di essi punta contro di loro una mitragliatrice leggera, mentre un marinaio li fotografa. In aria, intanto, volteggia a bassa quota su di loro un elicottero della Marina, un pilota li filma dall’alto, poi un faro li punta e subito dopo le luci della nave italiana, altissima e vicina, illuminano a giorno il ponte della Kater.


Alle sei e quarantacinque l'elicottero se ne va, i passeggeri vedono lontano, nel buio, le luci della Zeffiro. La Sibilla sembra invece scomparsa, quando all’improvviso, la vedono avanzare verso di loro, a tutta velocità e a luci spente. Qualcuno pensa che sia il rimorchiatore, grida e salta di gioia. L’illusione dura poco, una voce nel megafono ripete le parole già sentite dalla nave Zefiro. “Tornate indietro”.


“Sterza, ci vengono addosso” grida a un tratto qualcuno sul ponte, mentre a dritta, sul fianco, vicino alla poppa, la prua della nave Sibilla colpisce la Kater facendola ruotare su se stessa. All’urto segue uno scossone, molti corpi sbalzano fuori, altri scivolano in acqua come bambole di pezza. La nave sale, sempre più in alto, poi precipita con un boato tremendo e dal cielo piovono sbarre di ferro, lamiere, vetri, pezzi di legno. Krenan Xhavara, uno dei trentaquattro superstiti, ricorda l’interminabile volo nel buio, poi il violento impatto con l’acqua gelida, la sensazione di muovere le gambe senza riuscire a risalire, il sapore acido dell’acqua intrisa di nafta.

La Kater I Rades viene colpita di nuovo più avanti, e questa volta si capovolge, altri passeggeri cadono in acqua, la Sibilla fa marcia indietro e si allontana, alcuni che non sanno nuotare salgono sulla nave rovesciata, in coperta donne e bambini stanno morendo affogati come topi in trappola.


Ore 19.03. La Kater affonda, un gruppo di validi nuotatori, tutti di Valona, nuota al buio, per venti minuti, verso la Sibilla. Dalla nave viene calata una scialuppa che raccoglie quattro cadaveri e qualche superstite, gli altri vengono fatti salire a bordo di una seconda scialuppa che pende dalla murata della Sibilla, non è stata calata in mare in loro soccorso. Una volta raggiunto il porto di Brindisi, carabinieri e polizia caricano i sopravvissuti a forza su autobus, lontani dai giornalisti in attesa di parlare con loro sul molo. “’A posto, a posto’, dicevano,” racconta ancora Krenar Xhavara.“’Potete andare’. Eravamo diventati testimoni pericolosi dei quali bisognava disfarsi, hanno offerto a tutti di andare in altre città italiane, lontani da qui e solo quattordici di noi sono rimasti a Brindisi.”










(...)










Sul molo di Brindisi nessuno rese omaggio alle vittime: non il presidente del consiglio Prodi, non il ministro della difesa Andreatta, non Giorgio Napolitano, non Massimo D’Alema, eletto nella vicina Gallipoli.






L’unico ad arrivare, in elicottero dalla Sardegna, e a versare celebri lacrime, fu Silvio Berlusconi. Decisionale come sempre, in un colloquio di venti minuti a porte chiuse in faccia ai giornalisti, propose ai superstiti di ospitarli tutti a casa sua. “Nessuno di noi accettò,” ricorda Krenan Xhavara, loro portavoce.” ‘Metti i soldi per ritrovare i cadaveri,’ gli abbiamo detto,” che era l’unica cosa che ci interessava in quel momento.. ‘È troppo profondo’ ha risposto lui.” Sembra però che, incaponitosi, Silvio, sia riuscito a portarsi via da un gruppo di profughi precedenti una famiglia che ha finto di sistemare in una casa della Regione a Canneto Pavese per poi abbandonarla a se stessa. Un vizio se è vero, come sembra, che anche uno dei due piloti albanesi disertori, atterrati una ventina di giorni prima, il 6 marzo, con il loro Mig nell’aereoporto militare di Galatina, sia finito a guidare l’elicottero di Berlusconi!





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