22 feb 2009

"PASSEGGIATE CON EX-CARABINIERI"

Ronde, il Quirinale prende le distanze

Il governo vara il decreto anti-stupri che legalizza i «volontari della sicurezza». Maroni: «Nessun ostacolo e piena intesa con il Colle». Ma poco dopo una nota del Quirinale lo smentisce: «Sui contenuti del decreto la responsabilità è del governo». Berlusconi attacca il parlamento: «Troppo lento, decreti essenziali»

Il nuovo scontro istituzionale si consuma sul decreto anti-stupri, usato dal governo anche per legalizzare le ronde. E, in particolare, sulle parole con cui il ministro degli Interni, nel corso della conferenza stampa tenuta ieri a palazzo Chigi per annunciare il varo del provvedimento, lascia intendere un'intesa con il Quirinale sui contenuti del testo. Da parte di Napolitano, dice infatti Maroni, non c'è stato «alcun veto» sul decreto legge, il cui testo «è stato concordato» con il Colle senza «nessuna difficoltà, obiezione o forzatura di alcun tipo».
Parole che sottintendono un implicito via libera di Napolitano alle nuove misure contro le violenze sessuali, ma anche al nuovo giro di vite contro gli immigrati e alle ronde, e che invece suscitano la reazione del Colle. Passano poche ore, infatti, e una nota del Quirinale smentisce Maroni e prende clamorosamente le distanze dal decreto. Per quanto riguarda il provvedimento approvato, si spiega, resta «l'autonomia ed esclusiva responsabilità del governo». Poi segue una precisa ricostruzione dei compiti del Quirinale che, di fronte a un decreto legge, accetta «in uno spirito di leale collaborazione istituzionale» di svolgere «consultazioni informali» per verificarne i profili di costituzionalità. Ma, tiene comunque a precisare il Colle, «resta naturalmente l'autonomia ed esclusiva responsabilità del governo per le scelte di indirizzo contenute nel provvedimento di urgenza». Il tutto mentre Silvio Berlusconi anche ieri è tornato a prendersela con i tempi lunghi del parlamento e ribadito la necessità per il governo di poter varare tutti i decreti che ritiene necessari.
Dopo il caso di Eluana Englaro, ecco che un altro decreto fa improvvisamente rialzare la tensione tra palazzo Chigi e Quirinale. E dire che la giornata per il governo era cominciata bene, con il consiglio dei ministri che licenziava il decreto anti-stupri con dentro i due punti su cui il Viminale ha premuto di più in questi giorni. Il prolungamento dei tempi di detenzione nei Cie, che passano da due a sei mesi, e la legalizzazione delle ronde. Anche se, quest'ultime, sottoposte a vincoli maggiori di quanti inizialmente avrebbe voluto la Lega. Cambiamenti frutto anche delle perplessità espresse nei giorni scorsi dal Quirinale quando proprio al ministro degli Interni, salito due volte per illustrare i contenuti del decreto, Napolitano aveva espresso tutti i suoi dubbi sulla incostituzionalità delle ronde e su come queste potessero mettere in discussione il lavoro delle forze dell'ordine. Al punto che dopo il primo incontro di lunedì scorso, le ronde sembravano essere scomparse dal decreto. Salvo poi riapparire, in una forma più soft e sottoposte al controllo dei prefetti. Modifiche rivendicate soprattutto da An.
Da parte sua il presidente della Repubblica ha quindi cercato in tutti i modi di evitare un nuovo conflitto con il governo. Al punto che probabilmente la presa di distanze di ieri - contrariamente a quanto avvenuto il 6 febbraio scorso con il decreto su Eluana - difficilmente arriverà fino al punto di non fargli firmare il provvedimento. Anche se Napolitano non ha mai fatto mistero di preferire la via parlamentare a quella della legislazione d'urgenza.
Proprio quello che invece Berlusconi non sembra volere. Due settimane fa, quando si vide respingere il decreto sul Eluana, il presidente del consiglio minacciò di cambiare la Costituzione, arrivando a definirla (poi negando) «sovietica». Poi l'incontro di martedì con Napolitano per un riavvicinamento ufficiale, ma a quanto pare la ruggine era, ed è rimasta tutta, insieme all'insofferenza per quel potere di firma affidato al capo dello Stato.
Non a caso ieri Berlusconi è tornato all'attacco lamentandosi per i tempi lunghi del parlamento. I decreti legge, ha detto prima ancora di illustrare i contenuti del decreto, sono uno strumento «essenziale» perché «un governo possa intervenire tempestivamente, legiferando con norme che immediatamente siano applicabili e quindi possano consentire dei risultati nelle situazioni che si manifestano e che richiedono provvedimenti tempestivi».
Il premier ha poi spiegato che alcune delle norme confluite nel decreto approvato ieri erano già state presentate al parlamento. «Ma i tempi che il parlamento impiega per approvare queste norme si dichiarano da soli».
Fino a ieri sera tardi, invece, nessuna replica alla nota del Quirinale. Il che non significa che la pace sia fatta.

da www.ilmanifesto.it

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